Strage in Egitto, polizia e esercito sparano

ROMA – L’Egitto precipita nel caos: la temuta mannaia dei militari, rimasta sospesa per alcuni giorni, all’alba è calata con ferocia sui presidi dei manifestanti pro- Morsi, ed è un bagno di sangue. Il bilancio è da guerra: si va dagli almeno 149 morti dichiarati dal governo agli oltre duemila denunciati dai Fratelli Musulmani e non verificabili. Con due reporter internazionali e le figlie di massimi esponenti della Fratellanza uccisi, migliaia di feriti, centinaia di arresti, accuse di uso di gas letali, posti di polizia attaccati e chiese copte date alle fiamme per rappresaglia, mentre sulle principali città è stato imposto il coprifuoco e su tutto l’Egitto un mese di stato d’Emergenza, in vigore per 30 anni sotto Hosni Mubarak e tolto solo l’anno scorso.

Unanime la preoccupazione per l’eccidio da parte delle cancellerie di tutto l’Occidente – in cui spicca il monito della Casa Bianca e quello del ministro degli esteri italiano, Emma Bonino – dell’Onu, della Nato e dei Paesi arabi e musulmani, con ripercussioni anche nei vertici egiziani, da cui si è dimesso il vicepresidente, il “laico” Nobel per la Pace Mohamed El Baradei. In una lettera l’ex capo dell’Aiea scrive:

“Mi è diventato difficile continuare ad assumere la responsabilità di decisioni con le quali non sono d’accordo”.

Anche l’università Al-Azhar, massima istituzione religiosa dell’Islam sunnita che nei giorni scorsi aveva invitato le parti a un tavolo di pace, ha preso le distanze dall’azione dei militari. La Banca Centrale ha annunciato la sospensione delle operazioni bancarie e la Borsa è chiusa.

Il giorno del sangue è iniziato all’alba. Giorni dopo la scadenza dell’ultimatum dei militari ai manifestanti, che da un mese e mezzo chiedono nelle piazze la liberazione e il ripristino del presidente Morsi, le forze di sicurezza, appoggiate dai soldati e con l’ausilio di elicotteri, mezzi blindati e bulldozer militari, hanno iniziato lo sgombero a forza dei due presidi-accampamenti dei dimostranti: quello minore di piazza Nahda e quello maggiore attorno alla moschea di riferimento della Fratellanza, Rabaa al-Adawiya. La prima viene sgomberata già alle 9, mentre per prendere il controllo di piazza Rabaa la battaglia dura fino alle 14 e oltre.

Le tv mostrano agenti in tenuta antisommossa armati e con maschere antigas che si avvicinano a piazza Rabaa proteggendosi dietro mezzi blindati, dimostranti mascherati che danno alle fiamme copertoni e un camion mentre nell’aria volano candelotti lacrimogeni e nugoli di sassi in un fumo denso. Un’immagine iconica che ha fatto il giro del mondo mostra i manifestanti che spingono un blindato giù da un viadotto. Alcune riprese tv riferite da testimoni mostrano quelli che sembrerebbero gli effetti di gas letali contro donne e bambini, mentre al contrario la tv pubblica manda in onda immagini di quelli che vengono definiti “terroristi” che sparano con armi automatiche contro i poliziotti.

Il bilancio appare subito pesante: in ospedali e obitori improvvisati si accumulano decine di cadaveri, anche di ragazzini, con ferite da armi da fuoco. E malgrado il regime tenti di bloccare le piazze fermando treni e trasporti pubblici, il fuoco si espande subito in tutto l’Egitto: scontri violenti fra forze di sicurezza e manifestanti pro-Morsi e fra opposte fazioni scuotono altre città: in serata si parla di 10 morti ad Alessandria, dove viene attaccata anche la storica Biblioteca, 15 ad Ismailya, 17 in provincia di Fayum, 5 a Suez, con scontri anche a Minya, Assiut e nelle province di Buhayra e Beni Suef.

Al Cairo la tv annuncia un attacco armato a un posto di polizia con quattro poliziotti uccisi che si sommano a due uccisi in mattinata, mentre i dimostranti per vendetta attaccano tre chiese copte. Il bilancio ufficiale e provvisorio del governo a metà pomeriggio annuncia la morte di 149 persone, compresi i poliziotti, mentre la Fratellanza grida che i morti sono oltre 2.000 e i feriti oltre 10.000. Fra i morti vi sarebbero anche le figlie adolescenti del segretario di Giustizia e Libertà, il partito della Fratellanza, Mohamed el Betagui, e del numero due del movimento, Khairaht Shater.

– Giuro su Dio che (il capo delle forze armate) Abdel Fatah al-Sissi spingerà questo Paese alla guerra civile – ha tuonato el Beltagui, che è poi stato arrestato insieme ad altri due dirigenti della Confraternita e al suo portavoce. Almeno 540 manifestanti sono stati fermati in tutto l’Egitto. E fra i morti vi sono anche due reporter: il cameraman di Sky News, Mick Deane, e la giovane reporter del gruppo emiratino Gulf News, Habiba Ahmed Abd Elaziz.

Ieri in serata viene dichiarato lo stato d’Emergenza per la durata di un mese e il coprifuoco notturno dalle 19 alle 6 di mattina sulle principali città  con inizio alle 21, che sarà mantenuto dai militari in appoggio alla polizia

 

Bonino: “Basta  sangue”

Tutto il mondo segue con ansia il bagno di sangue in corso al Cairo e in modo unanime, Stati Uniti in testa, condanna il ricorso alla violenza ad opera dei militari contro civili, esortando tutte le parti in campo a rispettare i diritti umani e riprendere il cammino verso una transizione pacifica e democratica.

Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, dicendosi ”profondamente addolorata per le vittime” lancia un appello a tutte le forze in campo perché facciano tutto quanto in loro potere per fermare immediatamente la violenza ed evitare un bagno di sangue”. Parigi ”deplora fortemente le violenze e mette in guardia tutti contro l’uso sproporzionato della forza”. Anche il ministro degli Esteri inglese, William Hague, esorta alla fine della violenza e la ripresa del dialogo.  Contro l’escalation della violenza e perché torni al Cairo la politica anche il capo della diplomazia di Berlino, Guido Westerwelle.

L’Unione Europea definisce le notizie dei morti durante gli sgomberi ”estremamente preoccupanti”. Durissimo il commento del governo turco, alleato cruciale della Nato in Medio Oriente, secondo cui l’intervento armato dell’esercito è ”completamente inaccettabile”. Il premier Recep Tayyip Erdogan arriva a chiedere l’intervento immediato dell’Onu e della Lega Araba per far cessare il massacro.

Allarme anche nel Palazzo di Vetro, dove il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon condanna fermamente il ricorso della violenza per liberare le strade dai manifestanti. Più tardi interviene anche la Casa Bianca che esprime la sua ”ferma condanna” sulla scelta di imporre lo stato d’emergenza e chiede il rispetto dei ‘basilari diritti umani”. Tuttavia, la parola d’ordine sembra essere la prudenza. Il portavoce americano Josh Earnest, in un briefing a Martha’s Vineyard, dove Obama sta trascorrendo una settimana di vacanza, sottolinea che gli Stati Uniti, nel bocciare il ricorso alla violenza e allo stato d’emergenza, continueranno comunque a mantenere colloqui con le autoritaà del Cairo. Il loro primo interesse è quello di ”arrivare a una transizione pacifica verso un governo democraticamente eletto e il rispetto dei diritti umani”. Ieri, a fine giornata, il ministro degli esteri francese Laurent Fabius chiede l’arresto immediato della repressione e auspica il coinvolgimento dell’Onu.