Auguri Tardelli, copertina di un’Italia felice

ROMA. – L’uomo che con un gol nella finale mundial a Madrid e il susseguente urlo e’ stato la copertina dell’Italia felice degli anni ’80, mercoledi’ entra virtualmente nella terza età. Compie 60 anni, Marco Tardelli: qualche chilo e tre decenni abbondanti dopo, e’ ancora illuminato dalle luci di quella notte del Bernabeu, gli azzurri che scherzano con la Germania dopo aver superato le colonne d’Ercole contro l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico. “Ma – racconta all’Ansa – come tutti ho avuto i miei alti e bassi, e la vita che ho condotto non e’ stata certo in Paradiso. Se pero’ mi guardo indietro e faccio confronti con gli altri, con la maggior parte della gente, certo non mi posso lamentare: la mia e’ stata una bella vita”. Marco Tardelli ricorda con rimpianto quell’avventura meravigliosa del mondiale 1982. Ripensa al Presidente Pertini primo tifoso in tribuna e a un sogno concretizzatosi nell’incredulita’ generale: “Ma quello che mi manca davvero e’ l’atmosfera di quel calcio. Lasciamo stare la societa’ in genere, il discorso ci porterebbe lontano: ma per restare al mondo del pallone, non c’e’ dubbio che il nostro sport allora fosse piu’ felice e divertente. Anzi, diciamo proprio che era sport: adesso invece e’ spettacolo, e non nel senso migliore del termine”. Uno dei primi “universali” del calcio, Tardelli ha battuto con la sua corsa frenetica (lo chiamavano Schizzo) tutte le zone del campo, ma sempre con grande classe e stile. Perche’ a pallone sapeva giocare bene e lo testimoniano non solo i successi azzurri e quelli nei dieci anni con la Juve, ma anche una splendida doppietta al Real Madrid con la maglia dell’Inter quando la carriera si avviava alla conclusione. Definisce quell’Italia di Bearzot “veramente una grande squadra”, adesso fa il commentatore televisivo alla ‘Domenica Sportiva’ e gli va bene così, anche se “per i prossimi 60 anni” vorrebbe “rimanere nel mondo del calcio”. “Mi piacerebbe ripropormi”, aggiunge: ma stavolta senza urlare. In attesa di una panchina, è tempo di bilanci, calcistici e di vita, e alla fine vince quest’ultima perchè “i miei ricordi più belli in assoluto sono quelli di quando sono nati i miei figli”. Nessun dubbio anche quando si restringe il campo allo sport, “perchè quella del Bernabeu e del terzo titolo mondiale dell’Italia rimarrà una notte indimenticabile. Ma ricordi belli della mia carriera sono anche quando feci il mio esordio nel Pisa (all’epoca faceva anche il cameriere part-time in un ristorante vicino Piazza dei Miracoli, ndr) e poi nella Juve. Le mie esperienze da allenatore? E’ stato bello aver vinto l’Europeo con l’under 21, ma io ci metto anche il periodo all’Inter, visto che dalle storie negative si costruisce sempre qualcosa”. Ha dentro anche il ricordo dei sostenitori dell’Irlanda, nazionale nella quale ha fatto il ‘vice’ di Trapattoni: “per amore, passione e sportività sono speciali, anzi unici, e io me li porto nel cuore”. Parlando di tifosi, arriva il momento del ricordo più brutto della sua vita da calciatore. “L’Heysel poteva essere una delle vittorie più belle, ma ciò che è accaduto, quella tragedia immane, ha cancellato tutto – dice -. Però dico anche che è stato giusto giocare: cosa sarebbe accaduto se non fossimo scesi in campo? Io mi rispondo che avrebbero potuto esserci grossi problemi, quindi non potevamo fare diversamente. Prima dell’inizio non eravamo tranquilli, sapevamo che era successo qualcosa di pesante anche se non immaginavamo quanto, e negli spogliatoi ci dicevano che comunque la partita sarebbe stata giocata”. L’uomo a cui l’imminenza delle partite provocava l’insonnia, per molti anni tra i più gettonati oggetti del desiderio femminile, ha smesso quando, a San Gallo, si è accorto che “non mi andava più di giocare alla domenica, anche se non smettevo di allenarmi”. Ma quell’urlo di gioia (“non mi pentiro’ mai di quella scena”) rimane nei sogni. Suoi, e di chi non riesce a smettere di amare quella magnifica follia chiamata calcio. (di Piercarlo Presutti e Alessandro Castellani/ANSA)