Asse bolivariano spiazzato dopo disgelo Usa e Cuba

Mercosur-Mendoza

BUENOS AIRES. – Barack Obama e Raul Castro spiazzano e mettono in difficoltà l’asse bolivariano composto da Venezuela, Bolivia ed Ecuador, orfano di Fidel. Il disgelo dei rapporti fra Cuba e Stati Uniti – annunciato ieri a sorpresa dai due leader – rappresenta una vera bomba diplomatica il cui impatto va ben al di là delle relazioni bilaterali, in un’onda espansiva con ripercussioni in tutta l’America Latina, una regione dove il posizionamento riguardo a Washington ha sempre avuto riflessi politici, economici ed ideologici determinanti. Basta vedere l’effetto dirompente che hanno avuto gli annunci di ieri sul vertice del Mercosur -il blocco economico integrato da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Venezuela, che ora accoglierà anche la Bolivia- in corso nella città argentina di Paranà. L’agenda dell’incontro è stata ridimensionata in un batter d’occhio: i discorsi sull’integrazione regionale e il necessario rilancio di un organismo che molti considerano ingessato e inefficace sono stati spazzati via dalle novità annunciata da Castro e Obama: i leader regionali, di colpo, avevano ben altro da commentare. Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, pur riconoscendo “il gesto coraggioso di Obama” ha salutato il disgelo fra Cuba e Usa come “una vittoria storica di Fidel e del popolo cubano”. Una posizione condivisa dalla presidente dell’Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner e dai loro colleghi di Bolivia ed Ecuador, Evo Morales e Rafael Correa. Lo storico riavvicinamento fra Washington e L’Avana, però, mette in crisi il dogma antimperialista che caratterizza il cosiddetto “asse “bolivariano” creato da Hugo Chavez, ed è servito da collante per la sinistra latinoamericana durante decenni. Molti analisti, infatti, leggono il disgelo con Washington anzitutto come una mossa astuta e pragmatica di Castro per evitare che un eventuale collasso economico in Venezuela, accelerato dal crollo del prezzo del greggio, inneschi un nuovo periodo di crisi a Cuba, comparabile con il “periodo speciale” che seguì la dissoluzione dell’Urss, partner strategico del castrismo dagli anni ’60. Il disgelo cubano-americano, e soprattutto le sue potenziali conseguenze economiche, è visto con ottimismo da Dilma Rousseff, il cui governo ha scommesso sulle riforme economiche a Cuba, come dimostrano i mega-investimenti brasiliani nella zona di libero scambio che si sta costruendo intorno al porto di Mariel, a 25 km dall’Avana. Lo stesso ottimismo è condiviso da Juan Manuel Santos: il presidente colombiano si sta giocando tutto il suo prestigio politico sul successo della trattativa di pace con le Farc, nelle quali è risultato cruciale il ruolo di Cuba. Non stupisce, a questo proposito, che la guerriglia marxista abbia annunciato ieri stesso, e dall’Avana, un cessate il fuoco sine die. E anche il presidente uruguaiano, José Mujica -ormai alla fine del suo mandato, che si conclude nel marzo prossimo- ha potuto sottolineare con soddisfazione di aver anche lui messo “il suo granello di sabbia” per arrivare a un avvicinamento fra Cuba e Usa: accettando di accogliere 6 ex detenuti di Guantanamo, l’ex tupamaro aveva chiesto a Obama di porre un termine all’embargo contro l’isola e liberare gli agenti dell’intelligence castrista condannati per spionaggio in Florida.