Il mestiere di sagrestano nell’era dell’elettronica e dei timer

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ROMA. – Una volta suonavano le campane. Oggi, nell’era dell’elettronica e dei timer, comunque hanno un ruolo importante nelle chiese: tengono in ordine le cappelle, preparano i paramenti del sacerdote, custodiscono i libri delle liturgie. Sono i sagrestani, oltre 20mila persone in Italia di cui 2.400 a tempo pieno e contrattualizzati. Per questi ultimi è arrivato il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Lo stipendio resta fermo a 1.260 euro lordi al mese ma domani, con la busta paga di marzo, scatta l’una tantum di 300 euro per compensare un salario che non si muove da anni. E anche per Pasqua è prevista una gratifica di 50 euro. La piccola categoria dei ‘sacristi’, questo il termine corretto, è organizzata in un sindacato, la Fiudacs (Federazione italiana unioni diocesane addetti al culto sacristi), le cui origini risalgono addirittura agli anni ’50, con l’interessamento dell’allora cardinale Angelo Roncalli, poi divenuto Papa Giovanni XXIII. La ‘Confindustria’ di questo settore è invece la Faci (Federazione tra le associazioni del clero in Italia). Il mancato aumento salariale nel contratto, che sarà in vigore fino al 2017, “vuole essere un gesto di solidarietà nei confronti dei nostri datori di lavoro, che poi sono i parroci. Con la crisi economica sono anche diminuite le offerte in chiesa e di questo dobbiamo prenderne atto”, spiega all’ANSA il presidente dell’associazione, Maurizio Bozzolan, da trent’anni sagrestano a Milano, ora nella parrocchia di Sant’Agostino. “Ci occupiamo della custodia della chiesa, della pulizia, degli arredi e dei paramenti ma la nostra presenza, otto ore al giorno, è anche un deterrente contro i furti di opere d’arte”, spiega. Per un giovane che volesse intraprendere questa professione “il rapporto con il parroco è fondamentale perché è lui che lo forma e che, se ne ha le possibilità, lo assume”. In ogni caso non è un lavoro qualunque perché è previsto, da contratto, che l’impiegato mantenga “un ottimo comportamento sotto tutti gli aspetti”, anche “religioso”. Insomma se uno è entrato l’ultima volta in chiesa per la sua prima comunione è meglio che cerchi un’altra professione. Lavorano 44 ore settimanali ed è previsto un giorno e mezzo di riposo che generalmente non coincide con la domenica e le cosiddette altre feste ‘comandate’. Analogo discorso per le ferie: 30 giorni che “in nessun caso” possono essere concesse nel periodo di Natale, durante la settimana di Pasqua o a ridosso della festa del santo patrono. La categoria ha due livelli di inquadramento, a seconda delle competenze acquisite negli anni, e sul territorio contratti integrativi “un po’ più favorevoli – sottolinea il presidente del sindacato – di quello nazionale”. Tra i benefit in qualche caso l’alloggio. Per tutti invece otto giorni di permessi retribuiti, utilizzabili però solo per ritiri spirituali o corsi di aggiornamento liturgici. (di Manuela Tulli/ANSA)