Ipotecato l’oro del Banco Central de Venezuela a cambio di un prestito di un miliardo di dollari

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Tanti i segnali. Alcuni più evidenti di altri. Il governo è in affanno. Lo è alla vigilia di un importante appuntamento elettorale. Le parlamentari, se non sopravvengono contrattempi d’ultim’ora, dovrebbero svolgersi a dicembre. Non oltre. Così lo stabilisce la Costituzione. E mentre si responsabilizza direttamente e indirettamente l’industria privata di tutti, o quasi, i mali dell’economia e si denuncia una presunta “guerra economica”, la crisi nel Paese assume proporzioni preoccupanti; crisi che obbliga il governo ad essere sempre più creativo.

Discrezione e riserbo. Non sempre si riesce a eludere che ciò che si evita di render noto dentro le proprie mura diventi pubblico fuori di esse. La prudenza degli enti pubblici, il più delle volte, è stravolta dalla rissa di voci sussurrate lungo i corridoi. Questo è quanto è accaduto con l’accordo apparentemente raggiunto tra il governo del presidente Maduro e il Citibank, la nota banca americana.

Ipoteca, garanzia, impegno. Non importa come lo si chiami. Alla fine, il risultato è lo stesso. Il Venezuela, stando a indiscrezioni che la Banca Centrale non ha confermato ma neanche smentito, avrebbe dato in garanzia oro al Citibank a cambio di un prestito d’un miliardo di dollari. E’ la somma di cui il governo del presidente Maduro stima aver bisogno per far fronte, attraverso importazioni massicce, al fabbisogno della popolazione nel 2015. Non si conoscono i dettagli dell’operazione. Si da comunque per certo che il prestito dovrebbe essere restituito a stretto giro di posta e che il tasso d’interesse richiesto dall’istituto bancario americano si aggirerebbe attorno al 6 o al 7 per cento.

Il deficit pubblico, cioè la differenza tra le entrate e le spese, dovrebbe attestarsi quest’anno attorno ai 25 miliardi di dollari. Anche il Venezuela, come ha fatto l’Italia in ripetute occasioni prima di entrare nell’ “area Euro”, ha accelerato la stampa di carta moneta. E inondato il mercato di denaro. Questa politica, che permette in qualche modo di frenare il deficit, ha comunque risvolti disastrosi sul potere d’acquisto della popolazione. Si traduce in una incontenibile spirale inflazionaria. E l’inflazione, com’è ormai noto, è un’imposta che pagano tutti, dal più ricco al più povero.

In Venezuela, il costo della vita, a dispetto dei tanti controlli imposti dal governo, continua a crescere a ritmi obiettivamente preoccupanti. Nascondere l’entità dell’inflazione, evitando rendere pubblici gli indici della Banca Centrale, non vuol dire che non esista. Se ne accorgono i consumatori che fanno fatica a riempire il carrello della spesa, quando hanno la fortuna di trovare nei supermarket tutti i prodotti di cui hanno bisogno. Gli esperti coincidono nel pronosticare una inflazione, a fine anno, superiore al 100 per cento. Così, il Paese si trova di nuovo ad affrontare un fenomeno ch’è stato assai comune in America Latina negli anni ’80-’90: la “stagflaction”. Ovvero, la spirale inflazionaria in presenza di una acuta recessione. In altre parole nel caso del Venezuela, una caduta del Prodotto Interno Lordo pari al 7 per cento, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale e la Cepal, in contemporanea con il fenomeno dell’”iper-inflazione”, anticipata dalla maggior parte degli esperti in materia.

Il governo del presidente Maduro, ma questo è un fenomeno purtroppo comune a tanti governi, ha applicato fino ad oggi politiche economiche congiunturali, legate essenzialmente a obiettivi di carattere elettorale. E’ mancata una strategia di lungo respiro, orientata a riscattare l’economia e alla ricerca del giusto equilibrio tra pubblico e privato. Le conseguenze, purtroppo, le conosciamo tutti.

L’imminente annuncio di nuovi e inevitabili incrementi salariali, senza però provvedimenti macroeconomici orientati a stimolare l’economia, non aiutano alla ripresa dell’apparato produttivo. Neanche contribuiscono le continue minacce del presidente Maduro.

Il capo dello Stato, in uno dei suoi recenti interventi pubblici, ha annunciato che non saranno più assegnati dollari a Fedecámaras. Non vi è equivoco nelle affermazioni del capo dello Stato. Anzi, il messaggio è molto chiaro. E’ vero che Fedecámaras, l’equivalente in Venezuela della Confindustria in Italia, non fa richiesta né ottiene dollari da Cencoex, l’organismo preposto ad amministrare il controllo dei cambi. Ma le industrie che vi fanno parte, e rappresentano la maggior parte del settore produttivo privato del Paese, sì. E’ a loro che si è rivolto indirettamente il presidente della Repubblica.

L’effetto delle parole del capo dello Stato è facilmente immaginabile. La maggior parte dell’industria in Venezuela, fatte le dovute eccezioni, ha bisogno di materie prime importate per produrre. E se lo Stato, che oggi amministra la valuta attraverso un ferreo controllo dei cambi, nega i dollari gli industriali si troveranno in grosse difficoltà. Dovranno ridurre la produzione. E, loro malgrado e nonostante il decreto che lo proibisce, licenziare personale. E così si avrà un incremento della disoccupazione che renderà ancor più difficile l’uscita dalla crisi.

Se nell’ambito economico, le strategie del presidente Maduro alimentano la polemica; in quello diplomatico non contribuiscono a creare un clima di concordia. La Spagna è oggi l’obiettivo delle sue invettive.

La vicepresidente del Governo iberico, Soraya Sàenz de Santamarìa, nel tentativo di smussare le polemiche, ha affermato che “le iniziative parlamentari a favore dei politici nelle prigioni del Venezuela, come Leopoldo Lòpez e Antonio Ledezma, non sono incompatibili con le relazioni istituzionali tra paesi e popoli”. Ma ha anche ricordato che “la Spagna è preoccupata per quanto sta accadendo in Venezuela”.

Nonostante le parole prudenti della vice-presidente, orientate a raffreddare il clima di polemica tra i due Paesi, il ministero degli Esteri spagnolo ha ritenuto opportuno richiamare con urgenza per consultazioni il proprio ambasciatore. Nel linguaggio delle Cancellerie, questo rappresenta l’ultimo passo prima della rottura delle relazioni diplomatiche. Una decisione delicata, visti gli interessi iberici nel Paese e l’enorme comunità spagnola residente in Venezuela. Una minaccia che, se dovesse avere seguito nei fatti, potrebbe rappresentare l’inizio dell’isolamento internazionale del paese. Isolamento, questo, che avrebbe risvolti ben più significativi delle pressioni internazionali che possono esercitare prestigiosi ex presidenti della Repubblica o autorevoli ex capi di Governo, come è il caso dello spagnolo Felipe Gonzàlez.

(Mauro Bafile/Voce)

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