Armageddon Venezuela: la ripresa, forse, dal 2017

VENEZUELA-CRISI

 

CARACAS – Un convegno drammatico. Duro, durissimo il ritratto della realtà dipinto dai relatori del Foro Panorama 2015 organizzato da Fedeuropa con l’intento di analizzare il contesto economico, politico e sociale del paese e del suo impatto sull’attività imprenditoriale privata.

Per poter descrivere questa realtà possiamo pensare ad un lungo tunnel buio dove si intravede una piccola luce solo alla fine, ma la strada da fare è tanta ed è molto difficile da percorrere.

Quello che si evince, alla fine del dibattito, è che le difficoltà non sono finite, anzi il peggio ancora non si è visto. Speranze? Poche. Si deve resistere almeno fino a quando non aumentino di nuovo i prezzi del greggio, cosa che è prevista solo nel 2017, o se assistiamo ad un rinnovamento del chavismo.

I relatori hanno criticato duramente le scelte economiche che attualmente stanno dominando la vita dei venezuelani e hanno snocciolato dati a dir poco agghiaccianti. Un’inflazione reale prevista al 250% alla fine dell’anno, totale perdita del potere d’acquisto, stipendio minimo valutato intorno ai 25 dollari al mese e diffuso aumento della povertà.

Ma andiamo per ordine

Dopo le parole di benvenuto del presidente di Federeuropa, Giorgio Trevisi, e i saluti dell’Ambasciatore dell’Unione Europa, Aude Maio Coliche, il dibattito si è suddiviso in 4 settori: Panorama Socio – Politico affidato a Victor Maldonado politologo e membro di “Cedice Libertad”.

Panorama Macro – Economico affidato agli economisti Anabella Abadì e Richard Obuchi.

Contesto lavorativo affidato agli avvocati Maryolga Giran e Juan Carlos Prò Risquez.

Panorama finanziario e cambiario affidato ad Asdrubal Oliveros, direttore di Ecoanalitica.

Inizia il dibattito Victor Maldonado e spiega ai presenti che “il Socialismo nega qualsiasi nesso logico e razionale tra la produzione e la distribuzione. Si dà oggi, ma non c’è per domani”.

Ma come si è arrivati a questi risultati?

Per Victor Maldonado il processo socialista deriva da varie tappe:

1)       gli introiti derivanti dalla vendita del petrolio;

2)       si paga attraverso le riserve internazionali e si sostituisce l’azienda privata con il capitalismo di stato;

3)       lo Stato attuale è uno stato civico – militare;

4)       fase distruttiva

L’ultima tappa, per Victor Maldonado è quella che stiamo vivendo oggi.

“I guadagni derivanti solo dal petrolio generano un’immensa spesa pubblica – afferma -. Con il crollo del prezzo del greggio questa spesa pubblica non è più possibile. Nell’ultimo periodo l’inflazione è arrivata alle stelle, su una popolazione di 30 milioni di abitanti ci sono 9 milioni di poveri e la disoccupazione reale è arrivata al 15,7%”.

Ma non è tutto, Maldonado pone l’accento soprattutto sulla povertà.

“Abbiamo, oggi – dice -, un 33% di nuovi poveri. Quasi due milioni di famiglie vivono in povertà estrema, un governo che si definisce socialista non avrebbe dovuto produrre tali risultati”.

Maldonado, poi, si sofferma sul crollo della rete Mercal.

“Nel 2014 Mercal riforniva il 51% della popolazione, a marzo del 2015 abbiamo notato una caduta del 38% – commenta -. Oggi Mercal è in grado di soddisfare a pieno solo il 13% dei venezuelani”.

E poi le grandi, abissali differenze tra lo stipendio minimo e carrello della spesa:

“Oggi ci vogliono 35.000 BsF a famiglia per comprare tutti i prodotti necessari per il consumo mensile – spiega -. Conosciamo bene il valore dello stipendio minimo, quindi come possono le famiglie che vivono di stipendio minimo condurre una vita dignitosa?”

Maldonado chiude con un ultimo dato, drammatico:

“Secondo Bloomberg, il Venezuela oggi per l’indice mondiale di miseria è il paese più povero del mondo”.

Ma quali sono le sfide da affrontare? La ricetta di Maldonado, per uscire dalla crisi, é apparentemente semplice:

“Migliorare la capacità produttiva del paese e togliere potere al governo”.

Anabella Abadì prende la parola e introduce il secondo argomento, ovvero l’anatomia dell’economia venezuelana. Anche lei, come Maldonado, racconta un paese disastrato.

“Il Venezuela ha chiuso il 2012 con un Pil pari a +5,6% – spiega -. Da quell’anno è partita la nostra crisi. Il governo adduce le difficoltà attuali al crollo del petrolio, ma dimentica che la crisi è iniziata quando il petrolio viaggiava sopra i 100 dollari al barile. Infatti già nel 2013, nonostante l’anno si sia chiuso con un +1,3%, il dato finale disattendeva le stime iniziali che vedevano il Venezuela crescere del 6%, ma soprattutto si è avvertita la prima contrazione economica. Da una crescita del 5,6% del 2012 si è passati al 1,3% del 2013. Il 2014 è stato l’anno della recessione: -2,3% e quest’anno il dato peggiorerà ulteriormente, tanto che pensiamo ci sia una contrazione dell’economia venezuelana pari almeno al 4%”

E se si parla di petrolio la Abadì snocciola dati anche sul colosso Pdvsa:

“Si produce meno di quello che si può ed ogni volta che si produce meno si promette sempre di più. Già nel 2014 con il petrolio oltre i 100% al barile ci siamo resi conto che non sono state sfruttate le ingenti entrate e non c’è stato alcun investimento nel paese.”

Ed aggiunge:

“Riserve non ce ne sono più, il 96% degli introiti del paese derivano dalla vendita del petrolio e adesso con un sistema di proprietà statale, una necessità costante di alimentare i sussidi, un controllo egemonico politico; ci ritroviamo con il dramma della mancanza di alimenti e prodotti di prima necessità. Se mancano anche le medicine essenziali significa che questo programma economico è fallito”.

Quali sono le misure che ha adottato il governo per evitare il default?

“Si è immessa un enorme massa di moneta sul mercato – spiega -. Questo ha comportato un picco dell’inflazione. Già nel 2014 abbiamo calcolato che per ogni 13 bolivares che si sarebbero dovuti emettere se ne emettevano 124. C’erano più soldi da spendere ma meno cose da offrire”.

Come mai solo adesso è scoppiata in maniera violenta la crisi?

“Con il petrolio a 100 dollari si poteva importare tutto. Con il crollo delle entrate sono venute meno le importazioni e di conseguenza in un paese che non produce nulla eccetto petrolio, adesso non c’è niente”.

Altro problema, le politiche di controllo cambiario:

“Abbiamo il sistema più complicato del mondo, si sono create distorsioni tali tra cambio e prezzi reali che è diventato più economico importare che produrre. Ci sono seri problemi ad assegnare divisa e questo genera e fomenta corruzione. Tutto ciò si traduce in mancanza di prodotti”.

Abadí spiega che “Il controllo cambiario era nato nel 2013 con l’intento di fermare l’inflazione”.

“in realtà – prosegue – dal 2013 ad oggi i prezzi sono aumentati del 4204%! E la svalutazione è stata rapida e violenta. Nell’agosto del 2012 con 10 bolivares avevamo un dollaro, oggi ad aprile del 2015, quindi in meno di tre anni, per avere un dollaro ci vogliono 250 bolivares”.

Afferma, quindi, che “la distorsione tra cambio ufficiale e cambio parallelo continua a crescere: nel 2012 la differenza era solo del 3%, oggi la differenza è del 4308%”.

Questi risultati cosa dicono?

“Il Venezuela è l’ottava economia peggiore del mondo, la peggiore del sudamerica”.

La parola passa ad Obuchi che conclude:

“Ci sono evidenti problemi strutturali: profonda distorsione dei prezzi, forte crisi nella gestione pubblica, controllo cambiario, inflazione, instabilità politica, corruzione, insicurezza. Tutto ciò contribuisce a fare del Venezuela un paese in cui gli investitori stanno alla larga”.

E aggiunge:

“In dieci anni sono state chiuse 4000 industrie e si sono persi 1 milione di posti di lavoro, abbiamo la metà delle riserve internazionali del 2008”.

Previsioni per il 2015?

“Nella seconda metà dell’anno dovrebbe avvenire un ulteriore riduzione delle importazioni private ed un aumento di quelle pubbliche”.

L’attuale situazione del debito? :“

Abbiamo un debito pari a 140 mila milioni di dollari”.

Quali sono le misure da prendere?

“Razionare il consumo di benzina e ridurre l’invio di barili di petrolio alla Cina e ai paesi di petrocaribe. Con il crollo del petrolio in un solo anno si sono persi 42700 milioni di dollari e le entrate derivanti dalla vendita del greggio vengono subito spese”.

Il terzo punto è stato sviluppato da Maryolga Giran e Juan Carlos Prò Risquez. Si è discusso della terzerizzazione e dei suoi nuovi principi, delle nuove norme lavorative e di come queste creeranno ancora più problemi agli imprenditori.

“I controlli saranno ancora più rigidi, la terzerizzazione che abbassa i costi dell’impresa è illegale, è una manovra fraudolenta, inoltre se un’azienda ha problemi strutturali che influenzano il suo buon funzionamento può essere confiscata. Se i lavoratori inducono uno sciopero giusto l’azienda verrà confiscata”. Le parole di Maryolga Giran preoccupano gli imprenditori presenti in aula.

Juan Carlos Pro Risquez cerca di calmare l’ambiente, ha un atteggiamento sereno, calmo, in alcuni momenti diventa divertente, ma nemmeno lui può esimersi dal raccontare la cruda realtà:

“Il problema dell’impunità lavorativa è serio perchè influenza la produzione, ormai un imprenditore è schiavo dei suoi dipendenti. Per questi motivi si chiudono 77 aziende al giorno in Venezuela. Se qualche anno fa facevo delle riunioni solo con i manager dell’azienda, oggi i proprietari mi chiedono di parlare anche ai dipendenti affinchè capiscano realmente la situazione come sta. Una situazione che apparentemente li tutela, ma alla fine li fa perdere il lavoro perchè l’azienda non ha altro da fare che chiudere”.

Consiglio da dare?

“Oggi è fondamentale che proprietà e dipendenti comunichino, per il bene di tutti”.

Risquez prosegue:

“Negli ultimi 15 anni ci sono stati 22 aumenti del salario minimo, il problema che questi aumenti non sono serviti per mantenere invariato il potere d’acquisto per il lavoratore e per l’azienda è risultato una spesa in più da affrontare, tra l’altro in una condizione di contrazione dei ricavi”.

Secondo Risquez le misure prese dal governo non pesano solo sull’immprenditore, ma soprattutto sui lavoratori:

“Secondo il Simadi, organismo legale, quindi non sto facendo calcoli con il cambio parallelo lo stipendio minimo di un venezuelano è pari a 28 dollari, meno di un dollaro la giorno, una cifra nettamente inferiore alla media del salario minimo in America Latina”.

Risquez ci lascia con un verso del poema 20 di Neruda:

“Nosotros los de antes ya no somos los mismos”. Bisogna capire come cambia ciò che ci circonda ed essere sempre pronti ed aggiornati.

Chiude la giornata Asdrubal Oliveros con la sua presentazione “L’esplosione del modello?”.

Dove siamo in questo momento.

“Economia in recessione strutturale, riduzione dei prezzi del petrolio, accorgimenti cambiari lenti ed insufficienti, inflazione alta e persistente, mancanza di beni di prima necessità”.

Questa è la situazione attuale ma per Oliveros la crisi perdurerà:

“Per il Fondo Monetario Internazionale la crisi durerà fino al 2019, siamo a livelli record del default fiscale, caduta verticale delle importazioni: 30% nel 2014, 40% nel 2015 e stimiamo che le importazioni private crolleranno per la fine dell’anno dell’80%.”

Speranze di una ripresa?

“La cosa assurda, purtroppo, è che ancora non abbiamo visto il peggio, abbiamo un governo che pensa più alla sopravvivenza che a risolvere i problemi. Il prezzo stimato dell’equilibrio fiscale è il doppio della media del prezzo annuale del petrolio”.

Ma qualcosa di positivo sembra che ci sia.

“A fari spenti – commenta – il governo ha già lo scorso anno ristrutturato il debito con la Cina, con i tagli delle importazioni e alcune modifiche fiscali si è ridotto il gap per arrivare al pareggio di bilancio a 5 miliardi di dollari, se pensiamo che all’inizio dell’anno il gap era superiore ai 20 miliardi di dollari qualcosa è stato fatto, ma purtroppo quel qualcosa ha distrutto la popolazione che è stata presa letteralmente a bastonate con umilianti file per acquistare prodotti di prima necessità”.

Ma il gap ancora non è stato chiuso.

“Per chiudere questo gap – spiega -si è ipotizzato un aumento del prezzo della benzina, ma è un’ipotesi da scartare poichè non sarà fatto per due motivi. Il primo è che per avere risultati dall’aumento della benzina questa dovrebbe essere aumentata di 35 volte il prezzo attuale e questo è fuori da ogni logica. Il secondo è che qualsiasi aumento, che comunque non chiuderebbe il gap, potrebbe portare a violente proteste sociali. Quindi questo gap sarà chiuso solo in due modi: o con un ulteriore prestito della Cina o con un ulteriore riduzione delle importazioni private”.

Quando si riaccenderà la luce?

“Prevediamo un miglioramento nel secondo semestre del 2015 per due motivi: il primo si dovrebbe colmare il gap per il pareggio di bilancio e quindi tutto il surplus derivato dalla vendita di greggo del secondo semestre verrà utilizzato per importare ed il secondo è perchè a dicembre ci sono le parlamentari e il governo non si può presentare in queste condizioni. Ma è solo una piccola boccata di ossigeno, agli inizi del 2016 dovremmo affrontare gli stessi problemi di oggi”.

Per Oliverso la crisi ha due letture:

“Una è economica: ci sono meno consumi. L’altra è politica: c’è un evidente aumento della povertà; l’illusione di abbondanza è finita”.

Si è avvertito quasi sollievo quando si è parlato di un miglioramento verso la fine del 2015, ma ecco che la scure si abbatte di nuovo imperterrita.

“La crisi non è partita con il crollo del petrolio, ma nel 2012. Io credo che molti aspetti di questa crisi siano dovuti alla morte di Chavez. Se facciamo questo ragionamento notiamo come nel 2012, la fase più acuta della sua malattia, dove sicuramente il Presidente Chavez ha dovuto delegare la maggior parte dei suoi impegni, sia partita la crisi che si è insediata con la sua morte e che è esplosa fragorosamente con il cambio di presidenza. Se aggiungiamo il crollo del prezzo del greggio, il quadro, drammatico, è completo”.

Oliveros continua a diffondere dati, e più notizie offre alla platea e più aumenta il pessimismo. Si avverte uno stato di depressione.

“Dal 2012 il flusso di divisa è crollato di oltre 20 milardi di dollari, l’importazione ordinaria è crollata del 41,6%, l’importazioni di alimenti del 54%, nonostante ci sia stato un forte aumento dell’importazione pubblica, e le importazioni dei prodotti di salute del 46,7%”

La stampa internazionale, soprattutto quella speciallizata, ha spessso utilizzato la parola default.

“Le spese aumentano e gli ingressi diminuiscono, ma il default almeno quest’anno è scongiurato e, sinceramente non credo che questa ipotesi sia plausibile anche perchè nei prossimi due anni i prezzi del petrolio dovrebbero stabilizzarsi tra i 60 e i 70 dollari al barile. Il vero problema del nostro paese è il tasso del cambio ufficiale artificialmente basso che fomenta la corruzione ed è la vera arma di potere di questo governo. Almeno con questo esecutivo il cambio ufficiale non verrà mai modificato. Al governo non piace il mercato libero perchè darebbe autonomia alle imprese. Questa autonomia si conquisterebbe con una modifica seria del sistema cambiario. Ma sarebbe un suicidio politico. La paura infatti è che se il settore privato acquisisce libertà ed autonomia, cresce e rovescia il governo. Addio rivoluzione. Quindi non è possibile intraprendere questa strada. Tutti i sistemi cambiari sono stati un fallimento e ogni novità non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Basti pensare che il Sicad 2 distribuiva 15 mln di dollai al giorno, oggi il Simadi non arriva a 3 milioni. Un fracasso totale”.

Cosa dobbiamo attenderci nei prossimi mesi del 2015?

“La mancanza di alimenti è ormai un problema cronico, non si risolverà in un breve periodo di tempo. Mi aspetto una riforma fiscale, maggiori importazioni pubbliche, accelerazione dell’inflazione, una forte repressione imprenditoriale, la cancellazione dei pagamenti verso i creditori, un rilancio del potere comunale ed un aumento della consegna di dollari a cambio ufficiale”.

Come può migliorare la condizione economica del Venezuela senza dover pensare a stravolgimenti politici catastrofici per la popolazione?

“Dobbiamo chiederci se il chavismo può reinventarsi senza dover rinunciare ai suoi dogmi, ai suoi obiettivi, alle sue linee generali. Si, penso che possa reinventarsi. Cosa si può fare? Eliminare il finanziamento monetario, modifiche del sistema cambiario, revisione dei sussidi e revisione della spesa pubblica. Tutte queste misure non intaccano minimamente la linea politica guida del governo. Sono accorgimenti puramente economici che porterebbero benefici alla popolazione ed in realtà anche un consolidamento del processo politico che questo governo sta portando avanti.”

Se non ci dovessero essere accorgimenti?

“Beh, l’unica cosa che possiamo dire è che dobbiamo resistere almeno per i prossimi due anni. Le stime, al momento dicono questo: se non cambia nulla ci aspettano altri due anni di profonda crisi economica”.

(Gennaro Buonocore/Voce)

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