Compravendita senatori: i soldi provenivano da Berlusconi

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NAPOLI. – La compravendita dei senatori, ideata e realizzata allo scopo di far cadere il governo Prodi, rappresenta un tipico esempio di corruzione. Non intesa in senso generico come categoria morale, bensì una precisa infrazione al Codice Penale che nulla ha a che fare con la libertà di scelta riconosciuta a ogni parlamentare.

E non vi è dubbio che i tre milioni di euro versati all’ex senatore Sergio De Gregorio, eletto nell’Idv, per indurlo tra il 2007 e il 2008, a trasmigrare nelle fila del centrodestra, provenissero da Silvio Berlusconi.

Nelle 157 pagine delle motivazioni della sentenza, depositate in cancelleria, i giudici della prima sezione del Tribunale di Napoli spiegano perché l’ex premier e leader di Forza Italia e l’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola, che nella vicenda avrebbe avuto un ruolo di intermediario, sono responsabili di aver corrotto De Gregorio (che evitò il processo patteggiando la pena) e condannati in primo grado a tre anni di reclusione.

Pagine in cui i giudici (presidente Serena Corleto, estensore Antonio Baldassarre, componenti del collegio insieme con Nicola Russo) in buona sostanza condividono l’impianto accusatorio emerso dall’inchiesta dei pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock, Fabrizio Vanorio e Alessandro Milita.

Il dibattimento, nel corso del quale sono stati ascoltati anche esponenti politici di entrambi gli schieramenti – afferma il Tribunale – ha confermato i fatti storici, ovvero l’ideazione e la messa in opera della cosiddetta “Operazione Libertà” per cooptare esponenti del centrosinistra e determinare in Parlamento la caduta dell’esecutivo guidato da Romano Prodi.

In questa decisione che non ha precedenti giurisprudenziali, i magistrati affrontano anche complesse questioni di diritto, dal momento che si è dovuto valutare il problema, più volte sottolineato dalla difesa, dell’assenza di vincolo di mandato e della insindacabilità delle scelte dei parlamentari garantita dalla Costituzione. La presunta compravendita dei senatori “in qualche modo – si legge nella sentenza – dimostra lo sprezzo con cui il ricchissimo Berlusconi poté affrontare quei pagamenti corruttivi senza doverne avvertire minimamente il peso”.

Lavitola viene descritto come la ‘mente’ e “ispiratore” della Operazione libertà. I giudici sottolineano che nel processo non si è indagato sulla provenienza della provvista “ma non vi sono dubbi – scrivono – che essa provenisse dalle risorse personali di Berlusconi”.

A tal proposito evidenziano che Berlusconi “vanta delle risorse economiche ingentissime in relazione alle quali insomma tre o anche cinque milioni di euro sono poco più che il costo di una cena per una tavolata di amici in rapporto alle finanze non esigue di un parlamentare”.

“Questo naturalmente non sminuisce la gravità della vicenda – aggiungono i giudici – perché anzi in qualche modo dimostra lo sprezzo con cui il ricchissimo Berlusconi poté affrontare quei pagamenti corruttivi senza doverne avvertire minimamente il peso, ma consente di collocare nel giusto contesto lo sforzo economico compiuto dallo stesso per quella corruzione e dunque di assimilare la sua posizione a quella di Lavitola”.

Per il Tribunale il reato non consiste nell’aver ricevuto soldi per cambiare schieramento politico ma nell’aver “abdicato in cambio di denaro, precisamente di tre milioni di euro, alla libera e incoercibile facoltà di scegliere se fare eventualmente anche tutto ciò, laddove egli lo avesse ritenuto meglio rispondente agli interessi della Nazione, o di non farlo nei casi in cui non ne ricorressero le condizioni”. I giudici affrontano il nodo cruciale della qualificazione giuridica del comportamento del parlamentare che agisce in cambio di soldi o altri vantaggi.

La vicenda non sarebbe accostabile ai frequenti “cambi di casacca” e salti della quaglia” che caratterizzano le cronache politiche. “Solo una lettura superficiale e impropria – scrivono – potrebbe condurre a una semplicistica equazione secondo cui le utilità promesse o corrisposte in tutti questi casi e in numerosi altri analoghi possano essere intese come ‘pactum sceleris’, come corrispettivo di un accordo corruttivo.

“Quel che connota la corruzione, insomma – evidenzia il Tribunale – non è il corrispondere il denaro o altra utilità e vantaggi economici e politici, né che proprio questo influisca e determini le scelte e le alleanze dei politici, ma solo e unicamente l’aver il parlamentare rinunciato alla propria libera determinazione e scelta in cambio e in stretta e inscindibile correlazione con queste promesse e queste dazioni”.