San Francesco emigrante dimenticato


CARACAS.- Scrive, Gaetano Bafile, nel suo articolo “La Plaza de la discordia” (El Nacional 8 agosto 1995), riportato nel suo recente libro “Rojo y Negro”:”…Unos meses antes que falleciera el insigne Maestro Giorgio Gori expresó la voluntad de ver en la tan deseada plaza (Plaza Italia), una de sus obras más querida, el bronze de San Francisco de Asís, Patrono de Italia, y llegó a señalar una hermosa zona de Campo Alegre, trazando un bosquejo. Pareciera que el sueño estuviera a punto de concretarse en realidad, al regarse la voz que el Presidente Oscar Luigi Scalfaro, en su permanencia en Caracas, habría cortado la cinta inaugural de una plaza Italia con anexo paseo, homenaje de la Alcaldia de Baruta. Pero fué brusco el despertar cuando se hizo evidente que la donación se reducía a unos escasos metros al comienzo de la Avenida principal de las Mercedes y casi pegados al Guaire. Un sentimiento de indignada frustración invadió los ánimos de los italianos y para aplacar las protestas fue cancelada la inauguración del programa de los actos oficiales.”


Sono trascorsi quasi dieci anni d’allora. Caracas ha visto infinitá di tramonti e d’aurore; il suo cielo é stato costellato di innumerevoli fantasmagorici fuochi artificiali e scosso da terrorizzanti boati d’angustia. Le sue strade sono state allagate dalla pioggia, spaccate dalle prorompenti radici degli alberi, seccate dall’inclemenza del sole tropicale, assordate dal traffico. E,  San Francesco, il Santo Poverello, Patrono d’Italia, predicatore dell’umiltá e dell’amore tra tutte le creature viventi, é sempre lá: povero come gli si addice, umile come Lui solo, rassegnato emigrante in un ridotto spartitraffico ai margini del fiume Guaire. Senza la compagnia di un modesto alberello, immagine di quella natura cosí immortalata nel suo “Cantico delle Creature”; senza un fiore. Agli indifferenti sguardi dei passanti: una statua desolata, corrosa dalla sporcizia, senza neppure la targa che ne commemorava la nascita ed il dono che gli italiani ne avevano fatto a nome del Maestro Giorgio Gori, all’”Alcaldia” di Baruta.


San Francesco, emigrante involontario e innocente da una tranquilla nicchia della Nunziatura Apostolica,  circa dieci anni fa, é li, a Baruta: il capo chino, le braccia abbandonate, le mani aperte, come sempre, in segno d’umiltá, d’amore, nell’attesa che qualcuno dei suoi fratelli emigranti si ricordi di lui, del Maestro Giorgio Gori che ne conió il calco, ignaro che  il futuro l’avrebbe visto cosí dileggiato, indifeso, umiliato, abbandonato tra gli assordanti rumori di una strada che brilla con le sfolgoranti insegne di uno dei piú sofisticati centri commerciali della capitale.


La sensibilitá, il richiamo alle origini comuni, alla nostra storia, ci hanno fatto abbassare il capo passando davanti al triste spartitraffico, come colpiti da uno schiaffo, da una umiliazione che ha risvegliato l’orgoglio d’essere italiani, d’appartenere a secoli di  storia d’arte, di cultura, d’Umanesimo. Abbiamo evocato, tra i nostri ricordi piú cari, Assisi, dove nacque il primo Presepe vivente e, accantonata giá da tempo l’ambizione d’avere una Piazza che testimoni la nostra presenza in Venezuela, come lo é  la piazza Francia per i francesi, ci siamo spinti piú in lá, dove sbocciano la sempilicitá, la solidarietá, la fratellanza.  Sentimenti puliti, senza ambizioni, senza grandi commemorazioni: sentimenti  che nascono all’unisono dal cuore di tanti nostri connazionali. Tanti, tantissimi, ne siamo certi,  i quali credono nella bellezza dell’innocenza , nella infinita misericordia di chi ci ha guidato nel cammino dell’amore che dá senza nulla chiedere. La Statua di San Francesco d’Assisi deve essere collocata in un luogo piú idoneo, un luogo dove il verde della natura, il canto gioioso degli uccelli,  il volo delicato delle farfalle, le risa dei bambini la circondino di letizia. Quest’anno si compiono quaranta anni di nascita del nostro Centro Italiano Venezolano. É  in quegli spazi, dove  batte il cuore dei nostri pionieri emigranti, che il San Franceso del Maestro Giorgio Gori deve trovare degno rifugio: magari nel Parco Infantile, proviamo a suggerire, senza peccare di prosopopea. Ne chiediamo gli auspici alla Giunta Direttiva del C.I.V., al suo Presidente prof. Vincenzo Libretti, la cui sensibilitá e amore per la cultura conosciamo ed apprezziamo sinceramente; alle nostre Associazioni regionali, a tutti i nostri connazionali. Se la statua di Cristoforo Colombo é stata divelta dal proprio piedestallo da una delle piú primitive e obsolete manifestazioni  di assurdo rancore, quella di San Francesco giace ancora piú umiliata  nel baratro del dimenticatoio. Non restiamo con le mani in mano. Le sue mani aperte sembrano implorare il contatto delle nostre. Non abbandoniamo il Santo Poverello!