Un mondo di parole e immagini


TORINO – Se pensi a Torino, non ci sono dubbi, pensi alla Fiat, ai Savoia, alle vette perennemente innevate della Alpi. Non pensi alla moda e al cinema, e fai male, perché dimentichi che invece lì sono nate, prima di trasferirsi a Roma e a Milano. Ma bisogna fare ancora un passo in più e scoprire che Torino è una città fondamentale per l’editoria e la cultura europea in generale. Case editrici come Einaudi l’hanno proiettata tra le città più importanti nel panorama internazionale. I risultati sono buoni e si vedono, basti pensare ad un solo evento: una delle più importanti fiere del libro al mondo che quest’anno come tema di riferimento ha avuto il sogno.


La fiera nasce diciotto anni fa, quando pochi ci credevano e la Torino industriale sembrava condannata a rimanere defilata rispetto a Roma e Milano. Proprio lei, povera Torino, vecchia capitale del regno. Ma almeno, riguardo alla fiera, si sbagliavano: ora è uno degli appuntamenti imperdibili .Ed è grazie a questo che l’anno prossimo la «città degli Agnelli» sarà capitale mondiale del libro, un avvenimento che rischia di passare inosservato, offuscato dalle più attraenti olimpiadi invernali.


In ogni caso anche quest’anno la fiera ha fatto parlare di sé, calamitando l’attenzione dei mass media, nonostante il calo di affluenze rispetto al passato. Migliaia di visitatori, più di mille espositori, case editrici grandi e piccole, tantissimi autori e giornalisti accreditati da tutto il mondo.


E anche noi de La Voce d’Italia non potevamo mancare. E così tra i salotti del Lingotto (simbolo della Fiat un tempo, della crisi ora) ci immergiamo in questo mondo che profuma d’inchiostro e carta stampata. Un mondo sommerso e da scoprire: lì dove il pubblico vede solo l’autore, l’occhio attento ci vede anche un editore (alla Le Monnier, il primo in assoluto) che promuove la cultura, anzi: la plasma, la forma, la crea, perché in fondo di creazione si tratta. E poi di seguito ci sono i distributori, i librai, i tipografi con il loro stuolo di correttori di bozze, redattori, esperti commerciali. Tutti assieme entusiasti, nonostante la crisi, perché si sa: sono tempi difficili per l’editoria, soprattutto per quella indipendente. I grandi gruppi editoriali fagocitano tutto ( Mondadori ha acquisito Einaudi, un sacrilegio ) e le briciole per gli altri sono veramente poche. Non importa, la voglia di fare c’è ed è tanta, lo dicono bene i ragazzi di una giovane casa editrice (Spartaco) in provincia di Caserta: « per tirare avanti dobbiamo fare il doppio lavoro, stiamo investendo molto, speriamo vada bene». Inutile chiedere perché lo fanno. Passione, semplicemente questo. La stessa che spinge a vagolare tra i vari padiglioni del Lingotto questa «umanità a parte», persone qualificate che potrebbero lavorare in una ricca multinazionale, fare carriera ed invece tentano di ritagliarsi un piccolo, millesimale spazio nel mondo della parola scritta. Ce lo dice anche Monica, due lauree alle spalle, da poco assunta all’Ega: «se avessi voluto fare soldi andavo alla Procte & Gamble, in questo mondo è difficile entrare e non si guadagna veramente niente, però è quello che voglio fare». E difatti vuoi metterci la soddisfazione di scoprire un autore, di tradurlo, di correggerlo e, alla fine, vederlo ordinare dalle librerie e, magari, arrivare a ristamparlo. E’ questo il vero sogno che li spinge avanti, tutti. Autori in cerca di editori, interpreti in cerca di traduzioni, editori in cerca di talenti, un pour- pourri dagli occhi accesi, anime in pena, sognatrici con la voglia di firmare in qualche modo l’antologia della letteratura italiana del 2050 e raccontarla ai nipotini non dicendo «io c’ero», bensì io «l’ho fatto». Qualcuno ogni tanto ci riesce a fare il salto, a scavalcare i grandi nomi e piazzare al primo posto delle vendite un proprio talento. La Sellerio lo fece con Camilleri ( e fu la fortuna per entrambi ); Fazi con Melissa P. (confessione a sfondo erotico di una adolescente). Sarà poi il tempo a decidere chi rimarrà ai posteri (Manzoni dixit). Si, è proprio una umanità controcorrente. Lo intuisce Alessandro Baricco che, citando Calvino, considera questa una umanità che vuole «cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e dargli spazio». Chapeau .


Ci aggiriamo tra gli stand delle case editrici, con la curiosità che i bimbi hanno tra i dolci. Per essere presenti a Torino un editore deve pagare tanto, circa tre mila euro, con la certezza che non li recupererà in vendite, ma in immagine (si spera). Una ragazza della casa editrice Derive&Approdi afferma: «non puoi mancare, perché se manchi a Torino gli altri notano l’assenza». Intanto scopriamo tantissime cose, un assaggio: la Cosmo Iannone Editore si occupa di emigranti italiani e per lei ha scritto in italiano anche il nostro Michele Castelli; la Donzelli ha prodotto una ricerca immensa sull’emigrazione italiana; mentre gli emigrati italiani in Svizzera sono tra i più attivi nel tramandare la loro memoria con scritti e foto. Ma ancor di più, il Sud America ha segnato la vita di grandi autori del Novecento, come Albert Camus. Pochi lo sanno, ma lui in Sud America c’è stato e ne è rimasto colpito.


Ma alla Fiera del Libro di Torino per il Venezuela ci sono due brutte sorprese. Ho cercato, invano, tra quelle specializzate in Sud-America pubblicazioni di autori venezuelani. Nulla. Cileni, argentini, brasiliani, peruviani, colombiani, ma di venezuelani nulla, e sul Venezuela ancora meno. Una mancanza che fa riflettere. In verità gli editori si sono mostrati molto interessati, mi chiedevano quali fossero i più grandi scrittori venezuelani, di segnalare loro qualche autore, qualche saggio interessante ( lo farò). Però mi chiedo, e pongo questa come domanda e riflessione, perché tanti italiani in Venezuela, in tanti anni, non sono riusciti a fare da ponte ed esportare la letteratura venezuelana in Italia, conquistandosi un merito che nessuno avrebbe potuto mettere in discussione? A voi le risposte.