Mons. Scalabrini: Il sacerdote degli emigranti


L’Italia dei bastimenti e dell’emigrazione era un paese in cui si moriva di fame e di malattia. Tentare il cammino dell’esodo per molti fu l’unica alternativa di vita. Partirono a migliaia. Persone che non avevano mai visto il mare affrontarono l’oceano con carrette che di poco si discostano da quelle che oggi scaraventano sulle nostre spiagge disperati di altri paesi. Erano tanti gli italiani che preferivano affrontare la paura dell’ignoto alle certezze della fame che Pascoli, all’inizio del secolo, esclamò: “

continuando di questo passo, ad emigrare non saranno più gli italiani ma l’Italia”. Scegliere l’emigrazione per alcuni significó la morte, per altri sacrifici enormi. Nella maggior parte dei paesi in cui approdarono, i nostri connazionali si scontrarono con una xenofobia ottusa e violenta che ha mietuto molte vittime.


È a questo mondo di difficoltà e solitudine che scelse di appartenere Mons. Scalabrini, sacerdote salesiano che già in passato, all’interno della sua diocesi, aveva portato aiuto e solidarietà ai meno fortunati: poveri, carcerati, malati, orfani.


In un opuscolo dedicato alla sua vita leggiamo: “Emigrare era una necessità (o emigrare o rubare; o emigrare o morire di fame – si diceva), ed era un dramma perchè emigrare è sempre uno strappo e poi perchè emigrare allora, specie con una legislazione migratoria che consentiva libertà di far emigrare a quegli agenti di emigrazione che erano degli autentici speculatori, o, come li definiva Scalabrini “sensali di carne umana”, significava renderlo ancor più lacerante. Si aggiunga che lo Stato italiano, improvvido e latitante quando si trattava di emigranti, non si curava poi affatto degli emigrati…


Scalabrini percorse l’Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità del fenomeno migratorio, sull’urgenza di una legislazione che lasciasse libertà di emigrare ma non di far emigrare, e per sollecitare consensi, aiuti e volontari per un’opera di assistenza ai porti di imbarco e sbarco: appunto la Società San Raffaele, società di laici e laiche che inizió aprendo due segretarati ai porti di Genova e di New York e poi anche di Boston… Non va dimenticato anche lo spirito ecumenico che animava la San Raffaele i cui membri si obbligavano a prestare aiuto anche agli italiani di altre confessioni, e questo per volontà esplicita di Scalabrini.”


È grazie alla indomabile volontà di questo sacerdote salesiano, toccato egli stesso dal fenomeno migratorio all’interno della sua famiglia, che in ogni luogo in cui si sono radicati emigrati italiani sono approdati anche dei sacerdoti scalabriniani che, vivendo come loro e insieme a loro l’emigrazione, hanno portato aiuto e conforto alle famiglie degli italiani.


A Caracas gli scalabriniani hanno costruito la Chiesa Nostra Signora di Pompei, con l’aiuto di tutta la collettività che ormai da anni vi celebra i suoi matrimoni, Prime Comunioni, battesimi e vi festeggia le ricorrenze religiose delle diverse città e regioni d’Italia. Grazie ad un ambulatorio e ad una mensa sorta con l’aiuto di un gruppo di indomite volontarie, gli Scalabriniani offrono un coraggioso sostegno ai connazionali bisognosi, quelli che non sono mai riusciti a raggiungere l’altra punta dell’arcobaleno, quelli per i quali i colori dei sogni si sono ingrigiti per strada. I nostri scalabriniani hanno anche una scuola che oltre ad un ottimo livello di istruzione imparte lezioni di italiano.


A Valencia, invece, opera un’attiva comunità di scalabriniani laici che, organizzati intorno alla Chiesa di San Francesco, e grazie alla forza di volontà di Francesco Santoro ed altri connazionali, ha organizzato una scuola per bambini di migranti indocumentati, una mensa per i più poveri e altre opere di solidarietà.


Ben più amara sarebbe stata l’emigrazione per molti italiani se un sacerdote come Mons. Scalabrini non avesse deciso di seguire il loro cammino coinvolgendo altri sacerdoti e volontari.


Oggi, a sessant’anni dalla sua morte, noi, italiani all’estero, ne celebriamo, riconoscenti, il ricordo.