I maccheroni del nonno

 Andando con la memoria a quand’ero bambino, vedo chiarissima l’immagine di mia madre che prepara la pasta per farne dei “maccheroni”: così si chiamavano in Casentino le tagliatelle, che dopo lessate venivano condite, in modo particolare, con sugo di carne. Questo piatto era considerato una festa per la famiglia ed era un piatto unico, perché a quell’epoca c’era poco da scialare in fatto di pasti quotidiani.

Io dovevo stare a “soffiare” per tenere acceso il fornello a carbone perché la mamma ci aveva messo a soffriggere il battuto di cipolla, prezzemolo, sedano, basilico, carota ed olio buono d’oliva, poi ci metteva mezzo chilo di carne macinata, un po’ di vino bianco, pomodoro, sale e pepe e lo facevo cuocere tre o quattro ore a fuoco tenuto basso mettendo un coperchio sul carbone acceso.


La casa veniva inondata dell’odore di questo sugo e la mamma un giorno mi confidò il suo grande cruccio: suo suocero, cioè il mio nonno Pasquale, era a letto malato e sentendo questo profumo chiese: Rita, che c’hai sul fuoco, il sugo pei maccheroni?” – lei disse di si, e lui – “Quando sono pronti portamene un piatto!”


La mamma gli disse che il suo figliolo non voleva perché gli potevano far male, ma lui disse che ormai niente gli avrebbe più fatto male, e i maccheroni lo avrebbero soddisfatto.


La mamma s’impietosì e gli promise il piatto. Prese un chilo di farina bianca, quattro uova, cinque cucchiai d’olio d’oliva, sale e acqua tiepida. Impastò bene tutto finché venne una palla liscia che mise a riposare per mezz’ora. Poi la riprese e la lavorò con il matterello, la toccò ogni tanto con le dita come si fa con la stoffa perché fosse fine, fine e dopo tirata la tagliò a strisce larghe due dita e le mise a bollire poche per volta nell’acqua salata. Via via le metteva a strati in una larga zuppiera, ci spargeva il sugo ed il formaggio grattato e poi altri strati fino ad esaurimento delle strisce.


Aspettò un po’ affinché i “maccheroni” s’insaporissero bene, poi con una mestolina piatta ne tagliò uno spicchio (come fosse una torta) e la portò al nonno. Lui li mangiò con molta soddisfazione e la mamma era contenta, ma il giorno dopo il nonno morì e lei si sentì in colpa.


Quando finì il racconto io, benché bambino, le dissi di non pensarci più perché lo aveva reso felice negli ultimi momenti della sua vita.