“E’ possibile un attentato in Italia”

ROMA – La direzione dell’antiterrorismo italiano ha lanciato ieri l’ennesimo avvertimento: “Sono possibili attentati sul territorio nazionale”. Per far fronte all’emergenza è ora operativo il “pacchetto Pisanu”, approvato in tempi brevissimi e ad ampia maggioranza dal Parlamento. Una circostanza che il ministro dell’Interno Beppe Pisanu, intervistato ieri dal Giornale, ha accolto con piena soddisfazione. “Non c’è dubbio che le leggi italiane, come quelle degli altri paesi occidentali, sono state prese alla sprovvista dalla terribile peculiarità di questo terrorismo, e non sono ancora riuscite a metabolizzarla” ha detto Pisanu, che una volta di più ha ribadito: “Il vero problema è che dobbiamo salvaguardare il prezioso equilibrio democratico tra sicurezza e libertà. Non possiamo barattare l’una con l’altra e, dunque, non possiamo combattere i terroristi, che sono nemici della libertà, limitando le libertà dei cittadini”.


Le norme contenute nel “pacchetto Pisanu” avrebbero già ottenuto un primo risultato: è stato grazie a loro, ha detto direttore della Direzione centrale della polizia di prevenzione, il prefetto Carlo De Stefano, che è stato arrestato a Roma il cittadino etiope Hamdi Issac, tra gli autori dei falliti attentati di Londra del 21 luglio. Il prefetto ha spiegato che è stato fatto ricorso, in particolare, al colloquio investigativo in carcere che ha inoltre portato all’arresto del fratello di Hamdi per sospetto di documenti falsi. Novità anche dall’Egitto, dove la polizia ha ucciso in uno scontro al fuoco Mohamed Fulayfel, l’egiziano in cima alla lista dei sospetti per l’attentato di Sharm el Sheikh e tra i ricercati per l’attentato di Taba dell’ottobre 2004 (34 morti). Nella sparatoria è rimasta ferita in modo grave la moglie di Fulayfel.


Intanto Londra continua a vivere giorni carichi d’angoscia. Migliaia di agenti sono tornati ieri a pattugliare in maniera massicia e ostentata Londra; poliziotti armati hanno presidiato le metropolitane, le fermate degli autobus, gli ingressi sfavillanti dei grandi magazzini e dei cinema di Leicester Square, dove ormai le perquisizioni di borsette e zaini sono divenute una normalità. Tiratori scelti sono stati appostati sui tetti in aree di possibili obiettivi sensibili. Il timore è quello segnalato domenica dal Sunday Times, edizione domenicale dell’autorevolissimo Times di Londra: i servizi segreti hanno individuato una terza cellula di terroristi islamici pronta a colpire, e giovedì scorso le avrebbe impedito di agire solo un massiccio spiegamento di polizia. Secondo informazioni arrivate dai servizi segreti statunitensi, il nuovo gruppo di aspiranti kamikaze si sarebbe formato nella famigerata moschea di Finsbury Park, nel centro-nord di Londra, già frequentatata sia dagli attentatori suicidi del 7 luglio sia dagli attentatori mancati del 21 luglio. Ai pendolari tornati ieri, come ogni lunedì mattina, ad affollare gli uffici della city e i mezzi pubblici, la polizia ripeteva che la minaccia non è cessata. Scotland Yard è ormai sotto sforzo da quasi un mese e gli uomini – ha ammesso il capo sir Ian Blair – “sono molto, molto stanchi”. Nonostante siano giunti rinforzi da tutta la Gran Bretagna e siano state rimandate le ferie estive, sono in molti – sui mass media e a livello governativo – a chiedersi fino a quando le forze di sicurezza, già allo stremo, riusciranno a mantenere alta la guardia.


Nel frattempo, continuano senza sosta le indagini e gli interrogatori sugli attentati del 7 e del 21 luglio. Per quanto riguarda la cellula di cittadini britannici di origine pachistana di Leeds (gli uomini bomba del 7 luglio) le indagini hanno accertato che il coordinatore di base del gruppo era Mohammad Sidique Khan, un maestro di 30 anni, che aveva compiuto viaggi in Pakistan e frequentato la moschea di Finsbury Park a Londra. Il leader della cellula del 21 luglio, secondo le accuse di Hamdi Issac, sarebbe Muktar Said Ibrahim, il mancato attentatore dell’autobus numero 26, di origini eritree ma cittadino britannico, anche lui un fedele della Moschea di Finsbury Park e una lista di precedenti che affonda le radici nella gioventù di quell’uomo. Amici di Ibrahim hanno riferito alla polizia che, nel 2003, il futuro attentatore si recò in Arabia Saudita, dove diceva di avere famiglia. Vi rimase per tre mesi e tornò molto cambiato.