Conto alla rovescia per l’Onu


CARACAS.- Perché il sottosegretario Bettamio è venuto così spesso in Venezuela? Perché assieme all’Ambasciatore Carante ha viaggiato fino a Gerogetown? Dietro l’apparente calma estiva, a due passi dal Venezuela si è giocata una partita decisiva per l’Italia. L’Ambasciata italiana di Caracas ha preparato il terreno per la firma di un importante accordo tra il governo e i 15 paesi del Caricom (tra cui Antigua e Barbuda, Santa Lucia, Suriname, Trinidad e Tobago, Guayana). Un trattato di cooperazione che prevede anche il “coordinamento delle proprie posizioni presso le Nazioni Unite“.


Quest’ultima noticina, di appena tre righe, è pesante come un macigno in questi giorni d’intensa attività diplomatica: all’Onu si sta giocando una delle partite più importanti del secolo, e riguarderà il Consiglio di Sicurezza , l’organo che ha “la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”, come recita l’articolo 24 dello Statuto delle Nazioni Unite.


Il rischio è che l’Italia veda ridotta la propria influenza internazionale, se non dovesse passare la riforma del Consiglio di Sicurezza caldeggiata da Fini e compagni, sponsorizzata dal Canada. Sinteticamente questi i termini della questione. Sono in sospeso due proposte di riforma presso l’Assemblea Generale dell’Onu. Una avanzata dal cosiddetto gruppo dei G4 (Brasile, Giappone, India, Germania) che prevede l’aumento di 10 membri del Consiglio, che passerebbe dagli attuali 15 (5 con diritto di veto, 10 senza e a rotazione) a 25. Dei nuovi seggi, 6 sarebbero permanenti (senza diritto di veto) e verrebbero assegnati a Brasile, India, Giappone, Germania (G4), piú due paesi africani, non ancora individuati. Dall’altro lato c’è invece il progetto “United for Consensus“, illustrato al Palazzo di Vetro dall’ambasciatore del Canada, appoggiato dall’Italia, e che prevede un sistema a rotazione con l’elezione di dieci nuovi paesi membri non permanenti, con mandato biennale e possibilità di rielezione.



Attenzione ai giri di valzer


L’Italia sa di giocarsi una partita importante e difficile: sull’altra sponda ha contro un gruppetto estremamente aggressivo capitanato dalla Germania, e seguito dal Giappone, Brasile ed India. Se la loro proposta passasse, dopo la caduta del muro di Berlino, il colosso teutonico aggiungerebbe un altro tassello al proprio rilancio come grande potenza internazionale mentre l’Italia si vedrebbe declassata. Ma c’è anche altro: il cancelliere Gerhard Schröder sta facendo grandissimi sforzi per raggiungere questo obiettivo. La sua é una partita doppia, oltre al futuro della Germania c’é in gioco la sua rielezione alle prossime politiche. Entrare nel Consiglio di sicurezza come membro permanente è l’unico modo per tentare di risalire la china, e battere il prossimo autunno la sfidante conservatrice Angela Merkel. L’Italia ovviamente non sta a guardare. Se fosse una partita calcio, sarebbe una nuova edizione della finale dell’82. Italia – Germania. Allora l’Italia vinse 3 a 1. Adesso, però, le cose sono un po’ diverse . Il punto non è quale delle due riforme sia più giusta, tutto deve essere visto attraverso il filtro della realpolitik (un termine tedesco, non a caso): c’è un gioco della fune, e per vincere devi riuscire a portare nel tuo schieramento più alleati possibile. Ci sarebbe un galateo da rispettare, ma in certi momenti tutto salta, e anche le buone maniere si mettono da parte. Ne sa qualcosa Marcello Spatafora, Ambasciatore italiano alle Nazioni Unite. Ha accusato il G4 “di ricattare alcuni settori” della comunità dei paesi membri. Più nello specifico, Spatafora ha detto che il G4 fa ricorso “a strumenti finanziari ed a pressioni finanziarie, allo scopo di indurre un governo ad aderire, o a non aderire, a talune posizioni, o a patrocinare o a votare a favore di una certa bozza di documento“. Ha poi aggiunto:


Quando è troppo è troppo, noi abbiamo il dovere morale di non consentire che una riforma del Consiglio di Sicurezza sia decisa in questo clima malsano e avvelenato“.


Dopo un breve silenzio sono arrivate le risposte degli altri diplomatici. L’ambasciatore giapponese all’Onu ha respinto al mittente le accuse “prive di fondamento” e di ‘’basso livello’’ cui “non c’è alcun bisogno di rispondere“. Quanto a Berlino, il ministero degli Esteri tedesco ha replicato con una lapidaria dichiarazione del suo portavoce, Jens Ploetner:


Accuse inammissibili


Ma quanto puoi spendere per sedurre gli altri paesi? La Germania almeno tre volte più dell’Italia in cooperazione internazionale (solidarietà, tanto per capirci). Comunque affinchè la riforma passi è necessario avere 128 voti su 191. E poi champagne! A votare sono anche paesi piccolissimi, come Montserrat (4.501 abitanti), atollo caraibico che in poco differirebbe da un paesino italiano se non fosse per il voto, e i capitali che riesce a attrarre, da buon paradiso fiscale che si rispetti. Ora non resta che aspettare il 9 agosto, salvo ripensamenti, e vedere se il Caricom voterà unitariamente a favore della proposta italiana. Il timore é che questo non avvenga. Come ogni tentativo di integrazione, si alimenta di spaccature,di giri di valzer, soprattutto in politica estera. Molti di questi paesi, tralaltro, sono fortemente legati alla Germania, avranno il corggio di voltargli le spalle?



Carante: “Abbiamo bisogno


del loro aiuto nelle Nazioni Unite”


Immersi nel silenzio spettrale dell’Ambasciata, Carante ci ha ricevuti per illustrarci i termini dell’accordo firmato a Roma a fine luglio tra il ministro degli Esteri Fini e Edwin Carrington, segretario del Caricom.


Ambasciatore, ci spieghi un po’ come è andata.


– Sono qui da due anni, e sono accreditato presso 8 dei Paesi che fanno parte del Caricom. Sono tutte nazioni di lingua inglese. La Caricom ha la sede in Georgetown, la capitale della Guyana. Questi paesi stanno acquistando sempre piú importanza nell’ambito della politica estera. Sono un vero e proprio blocco. Hanno 14 voti nelle Nazioni Unite, e sono presenti anche negli altri organismi internazionali. Un blocco notevole che cerca di agire in unità, e sempre più riesce ad avere successo .


– Si stanno integrando, quindi.


– Si, ma è chiaro che ci sono enormi difficoltà, sono piccole isole. Stanno progredendo, hanno il mercato unico, hanno il vantaggio di parlare la stessa lingua. Però hanno anche svantaggi. Ad esempio, Trinidad fino a poco tempo fa non aveva un battello che portasse a Tobago. In generale, però, il dato importante è che c’è una progressiva presa di coscienza circa la necessità di unirsi, mentre da parte dei paesi terzi c’è l’esigenza non soltanto di parlare con ognuno di loro, cosa molto difficile, ma stabilire una relazione duratura con il Segretariato del Caricom, dove c’è un segretario generale molto competente


– E l’Italia lo ha giá fatto?


-Alcuni paesi si sono mossi per primi, come l’Italia. La Spagna e gli Stati Uniti ci hanno seguiti. Hanno deciso anche loro di accreditarsi come osservatori. Era importante trovare uno strumento che ci permettesse una maggiore integrazione. In questo caso è stato il memorandum of understanding firmato dal ministro Fini, e dal segretario generale Carrigton. Documento che ci permette di far intervenire la nostra cooperazione in progetti di sviluppo. Naturalmente abbiamo bisogno che l’accordo venga ratificato, ed intendiamo farlo al piú presto.


Un accordo di cooperazione. Su quali settori?


-La nostra non è un’opera di colonialismo. Noi riceviamo richieste e rispondiamo. Le richieste sono nel campo dell’ e-government, in cui abbiamo un progetto, per poter fornire ai paesi mezzi tecnologici che rendano possibile la comunicazione immediata tra tutte le arie del governo. Un altro progetto è quello del settore dell’ambiente, e già lunedì prossimo inaugureremo nel Belize una centrale tecnologica del Caribe, e grazie al meomorandum saremmo in grado di finanziare un’altra centrale per provvedere a problematiche che riguardano la protezione civile. Altro settore è quello dell’agricoltura, abbiamo messo a disposizione 5 milioni di euro dei nostri fondi presso la Fao. Poi ci sono le borse di studio.


– Come mai questo avvicinamento proprio adesso?


-Ovviamente l’interesse è mutuo. Loro stanno diventando un blocco molto importante a livello internazionale. Abbiamo bisogno del loro aiuto nelle Nazioni Unite, stiamo facendo una battaglia per il seggio nel Consiglio di Sicurezza. Ma al di là di questo in tante occasioni abbiamo bisogno di un aiuto che loro possono darci. L’importante è che l’Italia dimostri un interesse allo sviluppo dei loro paesi.


– Quel che peró ora c’interessa sono le votazioni per il Consiglio di Sicurezza.


-A dire il vero, l’interesse va oltre. Anche perchè questa questione si risolverà nelle prossime settimane, il 9 agosto, ma il nostro appoggio dopo non finirà. Questo blocco continuerà ad esistere, e ne dovremo tener conto.


– C’è talaltro una spinosa questione commerciale che si gioca tra l’Unione Europea e questi paesi.


– Prima i paesi del Caricom avevano delle facilitazioni, alcune quote della loro produzione trovavano sbocco garantito in Europa. La tendenza nell’Unione Europea, però, è di abolire queste garanzie per favorire la liberalizzazione. Non sempre i prodotti dei paesi caraibici sono competitivi rispetto a quelli di altre nazioni, ad esempio dell’Africa o del Sud America. Nei Caraibi la vita è molto cara: il costo del lavoro è più alto. E’ dunque chiaro che le quote che l’Unione Europee liberalizzerà metterá a repentaglio le loro economie.


– E l’Italia chi sosterrá?


– Cercherá di far cambiare idea alla Commissione Europea.Giá ci siamo espressi contro, anche se per altri motivi.


– Quali?


– Se liberalizzi, anche la nostra produzione è messa in pericolo. Come fai a competere con i paesi del sud? L’agricoltura europea è sopravvissuta grazie alle protezioni. Se le togli improvvisamente, è difficile che il settore agricolo europeo si mantenga.Bisogna farlo in maniera progressiva.


– A dire il vero la diatriba tra liberalismo e protezionismo non riguarda solo l’Europa, anche gli Stati Uniti sono messi male. Hanno approvato il Cafta, per liberalizzare verso i paesi del centro america, ed hanno trovato la forte opposizione interna del settore dello zucchero e tessile.


-Si, il problema è soprattutto per l’Europa e gli Stati Uniti, che hanno difeso in ogni sede internazionale il liberalismo, e adesso sono accusati di mettere in pratica politiche protezioniste. C’è una contraddizione, è fuor di dubbio. Contraddizione che non c´è per il Giappone, per esempio. Sono stati sempre coerentemente protezionisti.