New Orleans, “Centinaia, forse migliaia di morti”

WASHINGTON – Nelle acque torbide come la morte che ancora ricoprono all’80% New Orleans, marciscono “centinaia, forse migliaia, di cadaveri”. L’affermazione è del sindaco Ray Nagin, tre giorni dopo il letale passaggio dell’uragano Katrina sulla città fino ad allora più spensierata degli Stati Uniti.


La capitale del jazz, una Venezia d’America, non tornerà alla normalità per almeno 12 o, forse, 16 settimane, fino alla Festa del Ringraziamento di fine novembre, o addirittura fino a Natale. La previsione sconsolata del sindaco Nagin resta valida, anche se, a metà giornata, i responsabili della Louisiana annunciavano di avere stabilizzato l’inondazione della città. Era una buona notizia, dopo ripetuti fallimenti nei tentativi di colmare le brecce nelle dighe che proteggono New Orleans dal mare. Ieri mattina, il governatore della Louisiana, Kathleen Blanco, affidava le speranze a una giornata di preghiera.


Dopo che il flusso sarà stato completamente arrestato, ci vorrà un mese -si calcola- per asciugare l’acqua. Intanto, le autorità federali hanno fatto scattare l’emergenza sanitaria, giudicando “estremamente pericolose” le condizioni di vita, là dove l’uragano ha colpito. E’ un incubo per mezzo milione di persone che qui vivevano e che qui vogliono tornare.


“Ci vorrà tempo”, ha avvertito Nagin, azzardando 12 o 16 settimane e lasciandosi per la prima volta andare a un’indicazione agghiacciante sul numero delle vittime. La Blanco e Nagin ieri tradivano un’aria stanca, scorata. Il sindaco lamenta una mancanza di coordinamento fra i soccorritori – protezione civile, Guardia Nazionale, Croce Rossa e organizzazioni statali e locali – attribuibile, in parte, alle difficoltà di comunicazione per la mancanza di elettricità e le difficoltà di movimento nell’area allagata. Ma emergono anche polemiche perché la città, pur costruita in gran parte sotto il livello del mare, mancava di un piano di emergenza per circostanze del genere. Altre polemiche mirano più in alto, alla Casa Bianca, con la Guardia Nazionale mobilitata in Iraq invece che schierata a difesa dell’Unione nelle catastrofi (ma cosa avrebbe potuto fare contro Katrina?).


La Blanco respinge le critiche di tolleranza dei saccheggi, che non sarebbero stati prevenuti o tempestivamente repressi: “Gli sciacalli sono un problema. Ma la priorità sono i superstiti da mettere in salvo”. C’è, però, chi sollecita l’invio di più agenti di polizia, anche di più soldati; e regole di ingaggio da legge marziale, ovvero sparare a vista. Ci sono anche timori di malattie ed epidemie, con i cadaveri che gonfiano nell’acqua. Su questo punto, comunuqe, il Centro di Atlanta responsabile dei controlli ha smorzato l’allarme: misure di prevenzione e medicinali possono essere efficaci.


C’è da sottolineare che la sensazione di rassegnazione diffusa che si respira in una città che ha, letteralmente, l’acqua alla gola, non si traduce in inazione. L’evacuazione dei rifugiati nel SuperDome, lo stadio della squadra di football dei Saints, è stta organizzata con un convoglio di autobus: un viaggio di 500 chilometri, per circa 23mila persone, fino all’AstroDome di Houston, un altro mega-stadio, ma asciutto e con luce e aria condizionata. Nel retroterra, tutto intorno alla città ferita e sommersa, il popolo dei rifugiati è inquieto: la gente vorrebbe tornare a casa. Ma non c’è nulla da fare: bisogna aspettare. Decine di migliaia di persone rischiano di dovere essere alloggiate sotto le tende forse per mesi.


Nel Mississippi, con la Louisiana lo Stato più colpito, e altrove, dove l’acqua non è più una minaccia, si fa la conta dei cadaveri (almeno un centinaio, ma potrebbero essere due o tre volti tanti) e s’avvia l’azione di sgombero dei detriti e di ricostruzione. New Orleans a parte, la maggiore concentrazione di perdite umane s’è verificata nella contea di Harrison nel Mississippi, dove ci sono Biloxi e Gulfport, due località molto colpite. Dopo un sopralluogo aereo, il governatore Haley Barbour ha detto: “E’ come Hiroshima dopo la bomba”.


Washington si mobilita, per riparare al disastro e ridurre i disagi. A New Orleans e altrove, mancano servizi essenziali, come acqua potabile, gas, elettricità, di cui restano privi quasi due milioni di utenti. I trasporti, stradali ed aerei, sono difficili: subiscono rallentamenti, ritardi, sospensioni. A Mobile, in Alabama, viene parzialmente riaperto un grosso ponte chiuso dopo essere stato investito da una piattaforma petrolifera fuggita agli ormeggi. La U.S. Navy manda unità con acqua potabile, viveri, medicinali, generi di prima necessità. La Guardia Costiera compie missioni di ricerca e soccorso con elicotteri, valuta i danni e distribuisce rifornimenti. La protezione civile allestisce tendopoli e invia squadre mediche da tutto il Paese: 500 camion con ghiaccio, 500 con acqua e 350 di razioni militari saranno distribuiti nei prossimi dieci giorni. La Croce Rossa è pronta a diffondere un milione di pasti al giorno. La stima dei danni resta intorno ai 25 miliardi di dollari e l’amministrazione Bush ha deciso di sbloccare parte delle riserve di petrolio per attenuare la riduzione della produzione da parte delle raffinerie sul Golfo del Messico. Gli Stati Uniti hanno 700 milioni di barili in caverne di sale sotterranee nel Texas e lungo le coste della Lousiana. L’immissione sul mercato di una parte di esse dovrebbe avere un effetto calmierante sui prezzi del carburante: se non del petrolio greggio, che resta oltre i 70 dollari al barile, almeno della benzina alla pompa (già più cara del 60% rispetto all’anno scorso).