Yemen, ostaggi

SANA’A – Una serie di notizie spesso contraddittorie hanno caratterizzato la quinta giornata del sequestro dei turisti italiani nello Yemen. In mattinata, l’ambasciatore d’Italia a Sanaa riferiva che le trattative erano andate avanti anche nel corso della notte e, dopo una breve pausa, erano riprese già di buon’ora. Nel primo pomeriggio però si spargeva la voce che era in corso un blitz dell’esercito yemenita per ottenere la liberazione degli ostaggi. Alla fine si è visto che non c’è stato alcun blitz e che la sparatoria era solo una scaramuccia di poco conto, ma l’episiodio ha dato il segno della tensione che ormai circonda la vicenda. In serata è intervenuto il ministro degli Esteri Gianfranco Fini per precisare che “la trattativa è lunga e complessa, ma procede”. Anche l’ambasciatore Mario Boffo ha fatto notare più volte che non si è mai giunti a uno stallo e questo “è un buon segno”.


Alcune fonti che non desiderano essere citate riferiscono che ormai i sequestratori pensano solo al loro destino e non più alla liberazione degli otto membri della loro tribù in prigione per omicidio, come avevano invece chiesto in prima battuta. Ormai, sono accerchiati non solo dall’esercito nel loro villaggio montano nella provincia di Marib, ma anche dal risentimento di gran parte degli yemeniti, che giudicano la loro azione come un grave danno all’immagine dell’intero Paese. “Meritano la pena di morte. Devono essere presi e condannati, senza troppi complimenti. Questi signori stanno compromettendo il mio futuro e quello dei miei figli”, ha commentato ieri il giornalista di un quotidiano di Sana’a, riferendosi al danno enorme per l’industria del turismo yemenita.


I giornali locali stanno dando grande risalto a tutta la vicenda, dando spazio alle trattative, ma anche e soprattutto alle manifestazioni popolari che nei giorni scorsi ci sono state nelle maggiori città del Paese per esprimere solidarietà con i sequestrati ma soprattutto per condannare il gesto dei rapitori. Il maggiore giornale yemenita, al Thawra, sotto un titolo a tutta pagina che recitava “I rapimenti, un peccato mortale”, (probabilmente riferendosi anche alla condanna a morte con cui questo reato è punito) ha ieri pubblicato numerose foto delle manifestazioni e una serie di interviste in cui si esprime un forte sdegno per i sequestri di turisti.


I giornali hanno anche sottolineato il disagio a cui i cinque italiani sono costretti, soprattutto di notte, quando a causa di una escursione termica notevole il freddo si fa pungente. Sembra però accertato che prima di essere portati via dai loro rapitori, i cinque turisti siano riusciti a prendere i loro bagagli e quindi ad avere almeno un minimo di confort.


Un quotidiano ha anche scritto che in uno scontro a fuoco tra rapitori ed esercito uno degli ostaggi sarebbe stato nei giorni scorsi ferito, ma anche questa notizia non solo non ha trovato conferma ma è stata al contrario smentita sia dalle fonti ufficiali italiane che da quelle yemenite. Le notizie allarmistiche non sembrano peraltro scuotere più di tanto Raffele Polato, il medico di Padova marito di una delle tre signore tenute in ostaggio. Da cinque giorni vive in attesa della telefonata che gli annunci la liberazione dei suoi amici e di sua moglie, ma si dice ottimista e per una serie di motivi. Primo per i buoni rapporti che storicamente l’Italia ha con lo Yemen e poi soprattutto perché i sequestratori non sono fanatici integralisti kamikaze. Con orgoglio, dice che sua moglie “è un gigante”, per la forza di carattere che ha dimostrato con la decisione di rimanere anche quando aveva la possibilità di andare via, presa ssieme alle altre due signore affermando che, o andavano via tutti, o nessuno. E per questo, dice bisogna tenere duro, e “io tengo duro”.