“I movimenti possono condizionare le multinazionali”

Caracas– Lorella Zanardo potrebbe essere il nemico dei movimenti, l’infiltrato che, nascosto dietro occhiali da sole Ray Ban, partecipa al forum di Caracas con l’intenzione di individuare  i punti deboli dei movimenti, e colpirli al fianco con un colpo secco, di quelli che solo le multinazionali sanno librare. Potrebbe ma non lo è, e la spontaneità con cui si presenta ai delegati italiani, nonostante un curriculum impresentabile, è la chiave di lettura di una possibile nuova fase per le multinazionali.


Curriculum  impresentabile per i paladini di un mondo migliore, che osservano con diffidenza questo partecipante sui generis. Professoressa di etica delle imprese per i master della Bocconi, appassionata di marketing, con anni di lavoro nella dirigenza delle multinazionali tra Unilever e Mondadori:


Ho iniziato all’Unilever – dice interrotta dai canti indiani dell’accampamento- Feci domanda per essere assunta nella seconda metà degli anni ’80, ma alle selezioni mi dissero che non prendevano donne. Pensavo: “Che strano, l’Unilever fa detersivi che in fondo usano le donne e non ha donne nella dirigenza”. Poi avvenne un cambio nella direzione, arrivò un direttore danese, e mi chiamarono. Inizia per me così un’esperienza molto formativa. Ho sempre lavorato nel campo del marketing. Mi sono occupata per esempio di Coccolino, l’ammorbidente con l’orsetto presente in tutto il mondo. Nasceva in quegli anni il coordinamento dei prodotti Unilever a livello europeo, e me ne occupai da Parigi. Furono anni interessanti, bisognava coordinare un mercato europeo fatto di tanti comportamenti differenti, per esempio nelle modalità di lavare, nei profumi che piacevano ai consumatori. In quegli anni si faceva  strada la coscienza ecologica, soprattutto in Germania, con la nascita dei Verdi. Questa coscienza ecologica fu un cambio a cui le multinazionali non erano preparate, l’Unilever ha avuto seri problemi, ha dovuto investire miliardi contro l’inquinamento, per prodotti che rispettassero l’ambiente.


Le multinazionali sapevano di inquinare?


Dire che non si sapeva non sarebbe vero, però una certa consapevolezza del problema è maturata negli anni, grazie ad un movimento esterno che arrivò a modificare il comportamento aziendale. Ci spinsero al cambiamento, e noi ci adeguammo molto rapidamente, con prodotti differenti. La coscienza “etica” è adesso maturata ancor di più, negli Stati Uniti esistono manager che si occupano solamente di questo. La responsabilità sociale oramai è quasi una moda. In Italia c’è per esempio una piccola azienda nel bresciano, la  Sabaf, un’azienda non grande, che da anni è molto attenta alla responsabilità sociale, alle condizioni dei lavoratori. Lì, per esempio, sono tutti assunti, nessuna collaborazione temporanea, i prodotti fatti all’esterno sono prodotti rispettando alti standard per i lavoratori.


Perché tu, consulente per il grande capitale, adesso ti avvicini ai movimenti?


Per  vedere se c’è la possibilità di creare un ponte di dialogo tra questi due mondi, fermo restando che gli obiettivi sono diversi, perché le multinazionali puntano ai profitti e le organizzazioni qui presenti hanno obiettivi sociali. Molti mi chiedono  perché le multinazionali dovrebbero interessarsi ai movimenti? E’ chiaro, non vogliono perdere utili, e in passato ne hanno persi. Basta guardare agli effetti di alcune campagne di boicottaggio, tipo quella della Nike. Campagne che hanno utilizzato la rete per far sapere al mondo intero che venivano sfruttati bambini per cucire le scarpe che poi noi compravamo ai nostri figli. Immagini forti che attraversarono il mondo. Sono campagne che hanno provocato danni enormi. Perché allora non tentare il dialogo, in modo che la multinazionale possa prevenire, ascoltando i movimenti, e questi ultimi a  loro volta possano destinare le proprio risorse verso altri obiettivi?


– Come si crea questo ponte in concreto?


Io penso che sia utile creare un osservatorio su alcuni movimenti, quelli che vogliono comunicare con l’azienda, che accettano un presupposto aziendale necessario, cioè che l’azienda fa profitti. Ovviamente bisogna coinvolgere imprenditori che io chiamo illuminati, perché molti non vogliono ascoltare né dialogare. Quando mi trovai ad occuparmi del problema dell’inquinamento per l’Unilever, mi sono chiesta, non sarebbe stato meglio comunicare con i Verdi, ascoltarli prima, essere lungimiranti, ed evitare le perdite che abbiamo avuto. Nascevano, ricordo, in quegli anni prodotti a basso costo, non inquinanti, che a  noi provocarono un terribile calo nel fatturato, poi siamo dovuti correre al riparo con tanti investimenti.


A chi ti rivolgi, ai proprietari d’azienda o alla dirigenza?


Bisogna coinvolgere l’alta direzione, perché intraprendere un cammino etico deve partire dal vertice, quindi,  per un tipo di dialogo come il mio, è necessario coinvolgere la direzione di movimenti , e delle aziende. I proprietari nelle imprese più piccole, mentre nelle multinazionali penso al direttore generale o l’amministratore delegato.


Come superare la diffidenza reciproca?


– Il movimento spesso viene mostrato come composto da facinorosi, dagli alimentatori di sommosse, ovviamente non è così, si sono tenuti duemila worshop molti dei quali dai contenuti elevati.  Ho visto relatori preparati, in grado di poter reggere un discorso su base economica e finanziaria con una multinazionale. Qui tante aziende dovrebbero avere un proprio rappresentante, per rendersi conto di cosa stia succedendo, Ci sono 100 mila partecipanti, sono rappresentanti, cioè muovono davvero centinaia di migliaia di persone, non si può non monitorare. I movimenti dovrebbero interessarsi alle multinazionali, per capire con quali dinamiche funzionano. Il dialogo è utile ad entrambi, fermo restando che  rimangono due strutture con obiettivi differenti Si tratta semplicemente di prevenire, su quel che è possibile, le fratture.


Pensi che agendo così i movimenti si rafforzerebbero?


Sì, credo proprio di sì