Videopolitica, populismo e democrazia

“Videopolitica” è il titolo di un importante saggio di Giovanni Sartori, uno dei nostri più illustri studiosi e docenti di filosofia politica e politologia. Questo scritto addita come uno dei pericoli che corrono le democrazie contemporanee lo sviluppo dei media, in particolare della televisione. Quest’ultima, in Italia, secondo l’ultimo sondaggio, requisisce il novanta per cento del mercato pubblicitario, lasciando solo il rimanente dieci per cento alla carta stampata.


 


Questo monopolio della televisione comporta degli effetti immediati nella maniera di far politica e, sopratutto, di farla democraticamente. Diciamo che la “videopolitica” sottolinea, o comunque permette, la continua crescita della personalizzazione del potere.


 


Immagine uguale potere, qualcosa di risaputo sin dai tempi dei romani che proibivano la riproduzione della propria immagine, riservata invece solo all’imperatore di turno. Si era però pensato che, almeno in Europa, dato per scontato l’illuminismo – ovvero il predominio della ragione sulle passioni e sui sentimenti, includendo la simpatia, – si fosse in gran parte immuni al personalismo in politica (mi sta simpatico e lo voto, mi sta antipatico e non lo voto), che, a sua volta, conduce al populismo, male cronico dei paesi del terzo mondo (o alter-mondi come bisognerebbe dire e scrivere se si seguisse il vocabolario del “politicamente corretto”).


 


Per eludere la trappola dell’idealizzazione della democrazia, è bene ricordare con Mèny e Surel, che, “contrariamente all’immagine mitica di una democrazia nata, per così dire, in una forma già compiuta e quasi ideale, i sistemi politici cosidetti democratici sono polimorfi tanto nello spazio come nel tempo”.


 


In altre parole, la democrazia non è un pacchetto confezionato pronto per essere usufruito, bensì un constante progetto da realizzarsi con il contributo di tutti i cittadini, di ciò che una volta, in maniera dispregiativa, si chiamavano le masse.


 


Queste “masse” entrano in politica in concomitanza con la formazione dei partiti proletari, inizialmente socialisti, socialdemocratici e poi comunisti dal 1917 in avanti. Dinnazi a questi fatti, anche i partiti borghesi, quelli, per intenderci, di “destra”, sino a quel momento poco organizzati, sono costretti a imitare il modello di “sinistra” rinnegando il proprio elitismo.


 


In questa direzione, può affermarsi che le dittature fasciste e naziste non possono essere intese come semplici parentesi di una democrazia previa, compiuta, affermata (“confezionata e pronta per l’uso”, come già detto), in quanto hanno utilizzato sotto forma di partito unico, l’esperienza della mobilitazione e organizzazione delle masse operarie, quindi di una esperienza in principio “democratica”.


 


Sostenere, però, che quando il popolo delibera direttamente (plebiscito) – o partecipa al di là del voto – si è in piena democrazia, è sostenere qualcosa d’incorretto se si pensa che il progetto democratico si premunisce dai tentativi autoritari mediante le Costituzioni. Parlare in nome del popolo senza restrizioni costituzionali, cioé chiare regole di gioco, è una sortita autoritaria. E’ come dire che si ha avuto una rivelazione e che quindi una sola persona è capace di sapere cosa il popolo vuole. Insomma, è fare come il Papa e la Chiesa, che di fatto, sono un “popul-cristianismo”, un “Cristo popolare”, da pregare molto e imitare poco, altrimenti si finisce sulla croce. Poi a che serve farsi crocifiggere se è venuto lui, il figlio di Dio, a farlo per noi tutti?


 


Mica male il pensierino, è scarica barile! Meglio non pensare con la propria testa, tanto c’è il Papa che pensa per tutti noi e ci dice cosa è giusto o ingiusto, bello o brutto, buono o cattivo. E se non c’è il Papa c’è il Duce, che poi, in fin dei conti, è la stessa «forma mentis», ovvero, struttura mentale. Infine, se non c’è il Papa, né il Duce, c’è la Tv, che più che l’inviato di Dio sulla terra, o suo figlio, è Dio stesso: sa tutto lei ed è dappertutto, onnisciente, onnipresente. E compra questo e non l’altro, e vestiti così e non cosà, e vai in vacanza qui e non là (comunque “qui” no, mi raccomando!)


 


Soprattutto vota questo qui e non quello là, perché questo qui è bello (si fa le plastiche) è buono (si sacrifica, rinuncia a dirigere le sue imprese per il “bene del paese e del suo popolo”) è giusto (non vedete quando è in TV che creerà un milione di posti lavoro; non vedete che darà la casa a tutti gli italiani; non vedete che aumenterà la pensione minima a 800 euro?). Vedere per credere. Se avete visto, cosa volete di più?


 


Però, però… Chi l’ha detto che tutti i popoli sono uguali? Ce ne sono alcuni che hanno incorporato una cultura del dialogo e della parola più che altri, ovvero, ci sono popoli più “democratici” che altri. Quest’ultimi non hanno bisogno di “duci”, “conduttori”, nemmeno dei “conduttori televisivi”. Altri, invece, sebbene alfabetizzati, non sanno comunque “tessere un discorso”, ovvero parlare. Sanno forse leggere e scrivere ciò che altri “dettano”, cioé “sanno vedere le lettere”. Per questo è meglio che queste vocali e consonanti siano stampate molto grandi, a caratteri cubitali, così si vedono meglio (poi se si accompagnano con qualche figurina di lui, solo lui, è il massimo).


 


Ci sono popoli che sanno leggere la propria Costituzione e ce ne sono altri che invece la sanno solo stampare e farla vedere in TV. I primi popoli non sono populisti; i secondi sì. I primi popoli con il voto esprimono il proprio “parlare”; i secondi popoli con il voto esprimono solo il voto. I primi popoli sono meno televisivi; i secondi sono molto catodici (e anche cattolici).


 


Comunque, per chiarire con Mèny e Surel un punto fondamentale, “a differenza dei movimenti tradizionali di destra o dei partiti fascisti, il populismo non si presenta come un movimento antidemocratico. Al contrario, gran parte della sua retorica si concentra nella denuncia delle perversioni che affliggono le democrazie e sulla necessità di trovarvi rimedio. Lungi dal raccomandare un’altra forma di regime, i populisti si impegnano il più delle volte in una sorta di gioco al rialzo delle aspettative democratiche, utilizzando le ambiguità e la polisemia che caratterizzano il termine democrazia. Propongono quindi di ‘rigenerarla’ ripulendola da tutte le scorie per tornare ai suoi ‘veri’ principi e valori”.


 


Il populismo e la televisione costituiscono una forma di “democrazia” che, secondo il mio parere, niente affatto modesto, sono prescindibili, per la semplice ragione che questi vogliono prescindere dal mio, qui assolutamente modesto, apporto. Vogliono che veda, vogliono che creda che il popolo e la sua incarnazione sono la veritá. Mi vogliono piú “video” e meno “politico”.


Non vogliono invece che legga e scriva. Chissà perché?


 


Per quello mi sono rifugiato nella mia biblioteca, ho trovato il testo di Mèny e Surel, e ci ho scritto alcune riflessioni che riporto in questa “Voce”. Non la vedete? É naturale, perché, in quanto “voce”, non si vede, bisogna ascoltarla, e ci vuole qualcuno che la legga, oltre ad altri che la scrivano, e che sono voci, parole, e non solo pagine da sfogliare, metafora, sinonimo di “dare un’occhiata”.


 


Comunque se non la vedete nell’edicola, chiedetela! Altrimenti dobbiamo reclamizzarci in TV.


 


PS. Al famoso proverbio “Vox populi, vox Dei”, ribatto “Vox clamantis in deserto”. Ovvero, meglio fare un buco nell’acqua, almeno pulisce, che vivere la “verità” di chi ha sempre ragione perché si “raduna” in TV (molte volte vietata ai minori, ma in questo caso, assolutamente sconsigliata ai maggiori d’età).