Una collettività colpita al cuore

Filippo Sindoni è morto. È stato barbaramente ucciso poche ore dopo essere stato sequestrato da un commando che ha finto un posto di blocco di polizia. Lo sgomento è profondo. Tristezza e paura si alternano negli animi dei connazionali.


Il rapimento e poi l’uccisione di Sindoni hanno messo a nudo, in maniera lacerante, la fragilità della nostra collettività. Aver scelto lui, una persona amata, apprezzata, sia dagli italiani che dai venezuelani, una persona che ha mantenuto un rapporto sereno con lo stesso presidente della Repubblica che si è dichiarato pubblicamente suo amico, dimostra che per la malavita non esistono limiti. E la nostra collettività continua ad essere uno dei bersagli preferiti.


Filippo Sindoni è arrivato in Venezuela a 17 anni. Ha lavorato sempre. Proprio due giorni fa ricordava: “Sono venuto in Venezuela perchè c’era mio padre ma dopo un anno lui è andato via. Scherzando gli dicevo che quella era stata la mia fortuna perchè mio padre mandava tutto in Italia. Se guadagnava duecento bolívares li inviava tutti alla famiglia, io invece ne mandavo cento e gli altri li investivo”.  È ciò che ha continuato a fare tutta la vita. Alcuni investimenti in Italia e altri, tanti altri, in Venezuela. Amava questo paese che sentiva proprio come l’Italia e lo ha dimostrato con i fatti. La sua sensibilità sociale si rifletteva in molte opere che ne portano la firma. Come l’ospedale pediatrico di Maracay che, quando ne ha preso le redini, era un luogo dove i bambini morivano ogni notte. A volte per mancanza di ossigeno o peggio ancora dei regolatori di ossigeno. Altre perchè non c’erano incubatrici. Oggi quell’ospedale non ha nulla da invidiare a una clinica privata e, ci diceva Sindoni con orgoglio, i medici, quando arrivano al mattino, non chiedono più: quanti bambini sono morti durante la notte ma quanti si sono salvati.


La collettività gli deve molto, e non soltanto quella di Aragua. Gli deve soprattutto il senso della solidarietà, dell’unione. Uno dei simboli più rilevanti che ha permesso alla comunità araguense di mantenersi unita, è stata la Casa d’Italia di Maracay, istituzione che Sindoni ha fondato, diretto e difeso con passione. 


Con Sindoni muore un pezzo fondamentale della nostra comunità. Una comunità colpita al cuore. Per fare onore al suo ricordo, ai suoi insegnamenti, è necessario rispolverare e rafforzare il senso della solidarietà e dell’unione. Per far valere i nostri diritti, per far sentire ai familiari di Filippo Sindoni che non sono soli, che il loro dolore è il dolore di tutti.


È da molto, troppo tempo, che chiediamo alla Farnesina l’istituzione di una Missione Antisequestro permanente. Più e più volte è stato chiesto aiuto anche al Ministro per gli Italiani nel Mondo. Il sostegno dato alla nostra richiesta dall’editorialista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella ha fatto rimbalzare fortemente la notizia anche in Italia. I giornalisti di varie testate continuano a parlare dei nostri sequestri sottolineando la gravità della situazione. Una risposta positiva da parte dell’Unità di Crisi della Farnesina sembrava doverosa e ormai vicina. E invece nulla.


La missione antisequestro è andata avanti con carattere temporaneo. Durante qualche mese è stata a carico del funzionario di polizia Emanuele Trofè e attualmente ne è responsabile l’ispettore Bruno Pirrello. Entrambi hanno dimostrato capacità, serietà e impegno professionale. Entrambi hanno dovuto affrontare situazioni difficili. La morte della giovane Rosita Di Brino uccisa dai sequestratori ha aggravato sia la paura che il dolore della nostra comunità. Ma, sia Trofé che Pirrello si sono scontrati con un grave problema: la precarietà del loro incarico.


Eppure, come ben aveva previsto il vice-questore di Taormina Filippo Bonfiglio, esperto che ha seguito le due prime missioni antisequestro, da uno studio della situazione del Venezuela emerge che questo problema tenderà ad aumentare. Per iniziare a indebolire la fiorente industria dei sequestri si dovrebbero portare avanti iniziative, soprattutto dal punto di vista legale, che fino ad oggi non sono state affrontate con l’impegno e la serietà che meritano. È imprescindibile che l’Italia ci invii una missione antisequestro permanente. L’indifferenza di fronte a questa nostra richiesta è ormai intollerabile. Senza parlare delle affermazioni date dall’Ambasciatore Carante ad un’agenzia stampa italiana secondo cui gli italo-venezuelani sono vittime di questo fenomeno (dei sequestri ndr.) perché non volendo adottare elementari norme di sicurezza, come guardie del corpo o vigilanza in azienda, e pagando sempre qualsiasi richiesta di riscatto, anche se trattasi di parenti, continueranno a essere facile bersaglio dei rapitoriaffermazioni che, lo sappiamo tutti, sono ben lontane dalla realtà. Lo sa bene anche l’Ambasciatore Carante che più volte ha sostenuto la richiesta di una missione antisequestro permanente spiegando in Italia che la nostra situazione è a dir poco drammatica.


È necessario dire basta! È necessario capire che chi ha sequestrato e ucciso Filippo Sindoni ha sequestrato tutti noi. Bisogna ritrovare il senso della solidarietà e dell’appartenenza ad una collettività affinchè la nostra voce sia ascoltata. Dobbiamo lottare per ottenere una missione antisequestro permanente e affinchè i governi dell’Italia e del Venezuela firmino una serie di accordi che permettano a questa missione di lavorare seriamente.


È un momento difficile, è il momento di ritrovare la forza, il coraggio e la determinazione dei pionieri, di quei pionieri che, come Filippo Sindoni, hanno costruito tanto dal nulla e non si sono mai lasciati abbattere dalle difficoltà.


Alla famiglia di Filippo Sindoni giunga l’affettuosa solidarietà della famiglia Bafile.