Venezuela, il punto sulla presenza italiana


CARACAS – “Il Festival costa molti soldi, se lo si può fare è grazie al contributo delle imprese italiane che operano in Venezuela. Due anni fa erano in difficoltà, ora, in questo paese, investono e guadagnano”. L’ambasciatore Gerardo Carante, presentando la nuova edizione del Festival Italiano, ha reso omaggio agli undici sponsor della manifestazione, ognuno dei quali testimonia della nuova, più che positiva stagione dei rapporti Italia-Venezuela.


L’Iveco, illustra Carante, due anni fa vendeva, in Venezuela, 200 autocarri. Adesso ne vende più di tremila, pari al 25% dell’intero mercato nazionale di veicoli pesanti, ed è in procinto di raddoppiare la fabbrica di La Victoria per venire incontro a una domanda crescente che già ha superato le possibilità produttive di quello stabilimento. “Tutte le imprese che sponsorizzano il Festival Italiano – dice Carante – da un anno a questa parte stanno investendo molto. Un anno fa era un periodo molto difficile, ora, ad esempio, Fiat presenta, qui in Venezuela, nuovi modelli con l’obiettivo dichiarato di tornare a coprire il 10% del mercato venezolano”. Allo stesso modo, aggiunge, Alfa Romeo, Maserati, Ferrari, e nei settori dei pneumatici la Pirelli, stanno tornando in Venezuela. “Parmalat: tre anni fa tutti pensavano che avrebbe chiuso in Venezuela, invece ora ha ripreso a investire”. Di più, a Collecchio, sede centrale dell’impresa, “pensano di fare di Parmalat Venezuela il centro di Parmalat in America latina”. Vero, ha chiuso lo stabilimento di latte in polvere; ma solo perché in quel settore i prezzi sono bloccati, e l’attività era forzatamente in perdita. Sono poi da citare il colossale appalto (9 miliardi di dollari) andato a Impregilo, Ghella e Astaldi per la costruzione del nuovo tratto ferroviario al quale ormai ci si riferisce, qua in Venezuela, semplicemente come al “ferrocarril”: “Un’opera la cui grandezza sarà apprezzata dai venezuelani al termine di questa decade”, quando dovrebbero essere pronte le tratte ferroviarie Caracas-Puerto Cabello e, “spero”, La Guaira-Puerto Cabello. Si sta inoltre discutendo della costruzione del secondo ponte sul lago di Maracaibo, e poi “si è firmato da appena una settimana un accordo nel settore sanitario”, che vedrà ditte italiane collaborare alla realizzazione del nuovo Ospedale Cardiologico Infantíl di Caracas, “il più grande dell’America latina”.


In generale, le relazioni tra Italia e Venezuela sono “molto buone, anche in politica”. Esistono però delle zone d’ombra, che l’ambasciatore affronta con franchezza di fronte ai tanti giornalisti venezolani presenti.


Il caso Eni: in sostanza, sintetizza Carante, per la sua concessione Eni-Dacion, “il pozzo più ricco del paese” con una capacità produttiva di 100 mila barili al giorno, Eni e il governo venezolano non hanno trovato l’accordo. Eni in quel pozzo, sostiene Carante, aveva investito 1,5 miliardi di dollari; poi, quando, il primo aprile, decise di abbandonarlo per non sottostare al regime delle “empresas mixtas”, “non accettò la quantificazione che Pdvsa fece di quanto l’impresa italiana aveva investito nel pozzo e dei mancati introiti successivi”. Tuttavia, l’ambasciatore è fiducioso che i buoni rapporti tra i due paesi possano aiutare a trovare una soluzione.


Il caso Digitel-Tim: me molestó mucho, “mi ha dato molto fastidio che Tim abbia venduto Digitel”, operazione conclusasi definitivamente la scorsa settimana con un esborso da parte del gruppo che fa capo ai Cisneros di 425 milioni di dollari. Però “il management e la tecnologia restano italiane”, né deve intendersi – sottolinea Carante – che quest’operazione sia da attribuirsi a riserve che Tim nutre nei confronti del Venezuela; semplicemente, spiega l’ambasciatore, Tim aveva urgente bisogno di liquidi per ammortizzare i suoi alti debiti e l’uscita dal Venezuela rientra nella strategia di Tim di uscita da tutta l’America latina.


L’insicurezza: è la sola critica pronunciata dall’ambasciatore al Venezuela. “Se si vuole sviluppare il turismo, bisogna risolvere questo problema. Ho letto recentemente che il Venezuela è tra i paesi definiti ‘pericolosi’ per un turista. Mi è dispiaciuto molto, perché amo questo paese. In Venezuela arrivano ogni anno, in media, 400 mila turisti. In una piccola isola come Barbados, grande più o meno come Margarita, ne arrivano due milioni. Molti di più ne arrivano a Bali, un’isoletta in estremo oriente”. Di italiani in Venezuela ne arrivano tanti, però “il 90 per cento se ne va a Los Roques”. Sarebbe il caso di aprire al turismo il resto del paese.