Chévere, un grido difficile da spiegare

Camerota – “Con il Venezuela abbiamo una relazione profonda, quasi d’identità, il dieci per cento degli abitanti di questo paese è nato in Venezuela, quelli che hanno vissuto…quasi tutti”. Con questa dichiarazione Antonio Troccoli, sindaco di Camerota, enuncia il mistero della ubiquità di Camerota: essere contemporaneamente sul Mediterraneo e sull’Oceano. Chiude il cerchio la voce dei  migranti che si affollano  agli stand, basta solo chiedere per provocarli: ma a voi che ve ne importa del Venezuela?


Ragazzo, questo paese non esisterebbe senza le rimesse degli emigranti, provi a chiedere a qualsiasi vecchietto che incontra per strada”.


Ma non basta a ringraziare la seconda madre patria il busto di Bolívar nella piazza principale? O il nome della strada principale dedicato sempre a Bolívar? O l’albergo centrale ancora una volta dedicato a Bolívar? O il cinema dedicato a… indovinate un po’?


No, non basta per niente. Questo festival è il miracolo della resurrezione, difficile da spiegare se non condividi l’esperienza del ritorno in patria definitivo. Quando sono tornati in Italia, i camerotani, come i trecchinesi, e le tante comunità italo-venezolane, qualcosa l’hanno persa per sempre. Quel qualcosa che nessuno sa cosa sia, ma ti rende nostalgico delle rive tropicali, anche se a volte non lo dici, e se lo dici suona come una confessione: ritornare lì, dove tutto è iniziato. Chévere allora è la cristallizzazione di questa nostalgia collettiva, che diventa grido. Un unico grido che taglia il porto di Camerota, diventa musica quando metti su  salsa e tambores , e termina la propria traiettoria in un’arepa (due euro e cinquanta, la parrilla tre euro, l’empanada due euro e cinquanta). Un grido per rimanere attaccati al Venezuela che non è solo una terra, è l’allegria della giovinezza, la felicità di chi si ricorda quanto era bello crescere, umanamente e lavorativamente.


L’associazione Francisco de Miranda ha messo su in poco tempo il Chévere Village, un grande spazio che occupa tutto il porto turistico. Una posizione strategica: da qualsiasi parte del paese guardi giù ti trovi la scritta arancione “Chévere”.


Per il secondo anno consecutivo l’appuntamento ha fatto il pieno, anche se purtroppo, a causa della pioggia, sono state cancellate tutte le memorie sull’emigrazione. C’è anche la televione (Italiani nel mondo Channel), c’è un giornalista della Rai, invitato nella giuria, e c’è soprattutto l’entusiasmo, che ha spinto gli emigranti ad organizzarsi l’evento da soli anche se a volte qualche sponsor non paga, o i finanziamenti arrivano tardi.


Un festival organizzato con l’appoggio di Comune, Regione, Provincia ed Ambasciata. E tanti promotori tra cui l’immancabile Pampero.  Ma adesso zitti, tuona l’altoparlante: inizia il concorso Bellezza Latina. Una domanda viene sussurrata tra il pubblico: sono più belle le venezolane o le italiane? Per l’ambasciatore Chaves è questione soprattutto di fondoschiena, ma le venezolane presenti, tra cui Jenny Montoya, bellissima modella, alza il tiro


E’ questione d’allegria, di spirito, di giovinezza e poi– conclude- noi venezolane siamo più ‘picante’, abbiamo il pepe nel sangue”.


Sara Linares, venezolana proprietaria del centro di bellezza dei vip di Roma (Maracaibo Sun), sostiene:


Noi siamo più solari, le italiane sono più diffidenti”.


No, in realtà la differenza è una perpendicolare che tracciata dalle spalle verso il pavimento, si trova bloccata da un grosso ostacolo. Le italiane non ci stanno:


“Vabbè, il fondoschiena, ma avete visto i nostri occhi, e il nostro portamento?”.


 Macché – insiste Sara Linares – il nostro portamento non ha nulla da invidiare alle europee”. Pareggio. A vincere il concorso, per la cronaca, è stata una ragazza brasiliana, scura come il mogano, grande ballerina, mentre il premio eleganza è andata all’Argentina. A secco il Venezuela. Ma un premio speciale, diciamo così, la terra di Simón se lo è aggiudicato. Dal prossimo settembre Camerota festeggerà la “Nostra Signora di Coromoto”. Augustin D’Onofrio, presidente dell’associazione Simón Bolívar, più che delle bellezze latine è entusiasta della sua madonna: “Stiamo preparando una statua alta più di  un metro, sarà una grande festa religiosa che si farà a fine settembre, e che deve continuare anche per i prossimi anni. Come in Venezuela”.


Welcome to Marina, dove il sacro e il profano viaggiano assieme.