“I pugliesi nel mondo? Ci hanno fatto amare”

BARI – E’passato poco più di un anno da quando Nichi Vendola, governatore della Puglia, sorprese l’Italia con una performance inaspettata. Non era facile salire sulla poltrona più alta della regione, partendo da Rifondazione comunista, in una terra che tutti consideravano di centrodestra. Eppure lui, poeta, attivista per i diritti omosessuali, giornalista, non solo ha ribaltato i pronostici, ma col tempo è riuscito a conquistare molti di quelli che non l’hanno votato. La sua popolarità è in costante aumento. Alla Voce d’Italia affida le sue riflessioni sull’emigrazione pugliese.


La Puglia è una regione con alto tasso di emigrazione. Quanti pugliesi ci sono nel mondo, in America Latina, e in Venezuela?


In effetti la Puglia si colloca al terzo posto tra le regioni con il più alto tasso di emigrazione. La ripartizione degli iscritti alle anagrafi consolari stima in 370.000 il numero dei pugliesi emigrati all’estero. In realtà sono milioni i pugliesi che hanno ingrossato le due grandi ondate di flusso migratorio nel corso del Novecento. La prima ondata, che ha il suo picco negli anni immediatamente precedenti e seguenti la prima guerra mondiale, ha  per meta esclusiva le Americhe (Stati Uniti, Argentina, Brasile) per poi dirigersi  verso l’Europa che diviene così la destinazione principale dell’emigrazione pugliese. Sono 80.000 i pugliesi in Germania, altri centomila si dividono fra Svizzera, Francia e Belgio; notevoli sono ancora le presenze negli Stati Uniti (18.000), in Canada (18.000) e in  America Latina, dove  nel solo Venezuela la presenza di pugliesi è stimata in 8.000 cittadini. Con la seconda ondata, che ha il suo picco nel secondo dopoguerra, si scopre un nuovo continente, l’Australia e – fenomeno senza precedenti – l’emigrazione diviene anche interna, attratta dallo sviluppo industriale di alcune aree del paese. Dal 1951 al 1967, 1.200.000 pugliesi lasciano la Puglia per trasferirsi prevalentemente in Piemonte e in Lombardia. Per la Puglia, così come per il  Mezzogiorno, l’emigrazione non è solo memoria storica, ma, pur con diverse connotazioni, un fenomeno in ripresa.


– E’ cambiato il rapporto tra la Regione e le sue comunità all’estero in questi anni, e in special modo con il Venezuela?


– Il rapporto si è istituzionalizzato, nel senso che con legge regionale sono stati  istituiti l’albo delle associazioni e il Consiglio dei pugliesi nel mondo, organismo di cui le associazioni iscritte all’albo designano direttamente la propria rappresentanza e che fornisce indicazioni per il piano annuale degli interventi a favore dei nostri corregionali d’oltre frontiera. Siamo passati quindi dalla fase delle associazioni di prima generazione, che, in assenza assoluta di ogni tipo di sostegno pubblico, costituivano la risposta mutualistica alle difficoltà del distacco e d’integrazione, alla fase attuale. In questa fase, pur rimanendo il carattere di volontariato dell’associazionismo, questo viene sostenuto con finanziamenti della Regione. Ricordavamo prima come siano stimati in 8.000 i pugliesi in Venezuela, in realtà se consideriamo la seconda  generazione sono molti di più. In Venezuela abbiamo una federazione che raggruppa sei associazioni con 3.000 iscritti, che operano soprattutto in attività di diffusione della lingua e della cultura italiana e dei tirocini formativi.


– Concretamente, quanto spendete per gli italiani all’estero, e per cosa spendete queste risorse?


– Il piano degli interventi a favore dei pugliesi nel mondo ha  una previsione di spesa di circa 1.150.000 euro destinati in parte a finanziare le attività istituzionali che nell’anno in corso sono costituite dalle Assemblee continentali  per il rinnovo del Consiglio generale dei pugliesi nel mondo (GCPM), l’ultima delle quali è programmata il 3 e 4 giugno a Buenos Aires e vi parteciperanno le associazioni del Venezuela, dell’Argentina, del Brasile, dell’Uruguay e del Cile. Altra quota dello stanziamento è destinato a finanziare, per circa 160.000 euro, i contributi per la casa e il reinserimento in attività produttive degli emigrati di ritorno. La quota più consistente infine è destinata a finanziare le attività di comunicazione, i tirocini, le borse di studio e i progetti a regia regionale, ma soprattutto a sovvenzionare progetti di enti locali per rassegna periodiche della cultura pugliese all’estero, di scuole pugliesi per gemellaggi e scambi culturali. Azioni privilegiate del piano sono infine i corsi di lingua italiana e cultura italiana.


– Molti figli di italiani vorrebbero scoprire la terra dei padri, la Regione ha previsto borse di studio per i giovani? 


– Nel piano, in fase di  attuazione,  circa 200.000 euro sono destinati a coprire la richiesta di stage e tirocini formativi dall’estero verso l’Italia o dall’Italia verso l’estero per azioni di supporto e di diffusione della cultura italiana e pugliese e del suo sistema produttivo. Le associazioni sono ad un punto critico del loro sviluppo, devono aprirsi ai giovani di terza generazione, a quei giovani  perfettamente integrati nel paese di residenza e che il più delle volte non conoscono la lingua italiana, con iniziative che vadano oltre la cerchia degli iscritti e siano riconosciute dall’intera comunità di pugliesi, che è molto più vasta. Solo attraverso queste azioni il patrimonio di esperienza rappresentato dalle associazioni potrà entrare in circolazione e costituire una prospettiva di sviluppo. Non è un caso che l’attuale associazionismo resti circoscritto ai pugliesi di prima e seconda generazione. Su 170 Associazioni iscritte all’albo, quelle giovanili non arrivano a 10.


– La nostra emigrazione è stata un po’ tralasciata dai libri di storia, perché questa assenza e la conseguente attuale riscoperta?


– I libri di storia cominciano a parlarne, le ricerche e gli studi sull’emigrazione ormai non si contano, l’emigrazione ispira opere letterarie e di spettacolo. Semmai solo oggi si è pronti a riconoscere quale straordinaria risorsa per la nostra economia abbia rappresentato il flusso di rimesse inviato al paese di origine dai nostri emigrati e solo oggi siamo pronti a considerare la risorsa costituita dalla rete di nostre associazioni all’estero per gli interventi di promozione turistica, dei nostri prodotti agro-alimentari, del nostro sistema produttivo. Ma questa è una pagina ancora da scrivere.


– Quanto è stata importante l’emigrazione, e i vecchi emigrati di un tempo, con le loro nuove generazioni, possono essere un valore aggiunto per la vostra regione oggi?


– L’emigrazione è stata per la Puglia una risorsa straordinaria che non si esaurisce e non è misurabile solo nel flusso finanziario delle rimesse, l’apporto vero che tutti i pugliesi hanno dato è nell’aver fatto conoscere la Puglia nel mondo, inserendosi con pari dignità nel tessuto sociale e istituzionale dei paesi di residenza. Il valore aggiunto è dato quindi dall’appartenenza identitaria che è il bene più immateriale ma più efficace nello scambio e nel confronto tra culture e conoscenze e che ancora tiene assieme i discendenti di ultima generazione.


– Il voto degli italiani all’estero ha mostrato che forse in Italia si sa poco dei nostri connazionali d’oltre frontiera, lei come li descriverebbe?


– Forse sappiamo poco dei nostri corregionali all’estero o siamo ancora presi dallo stereotipo dell’emigrato dei primi del Novecento, mentre in realtà, come abbiamo cercato di dire, i nostri corregionali hanno un elevato grado di istruzione e sono integrati nei paesi di residenza, anche nella vita istituzionale, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia. Forse da questo discende la tendenza a rispondere solo con l’assistenzialismo alle richieste delle nostre comunità. A ben guardare forse i nostri corregionali vogliono altro, si propongono come partner in azioni di promozione della cultura e del sistema produttivo pugliese. Gli italiani all’estero, e fra questi i pugliesi, vogliono contare anche nelle scelte interne di quello che è anche il loro paese e lo hanno dimostrato con il voto delle elezioni di aprile.


– La Puglia è una regione approdo di tanti immigrati. Una regione che ha visto i suoi cittadini emigrare, può dimenticarsene nell’accogliere i nuovi migranti? 


– L’esperienza della Puglia al confronto di culture e di civiltà è un tratto distintivo che ci deriva, ben prima della esperienza migratoria, dall’essere stata crocevia di culture diverse sin dal Medioevo. Il fatto di aver contribuito con milioni di cittadini al fenomeno dell’emigrazione, di per sé non ci predispone nella condizione di avere le politiche di integrazioni adatta ad accogliere i circa 55.000 immigrati in Puglia, ma non è senza significato che sia partita dalla Puglia la richiesta di una nuova normativa regionale ed europea sull’immigrazione.