Sequestri di persona, “Serve una risposta”

CARACAS – Una risposta definitiva ed efficace al problema dei sequestri di persona con il contributo delle forze di sicurezza italiane. E’ quanto hanno chiesto i rappresentanti della collettività italo-venezolana alla delegazione della Scuola di perfezionamento della polizia italiana, in visita di studio in Venezuela. Emanuele Marotta, direttore della scuola e capo della delegazione, ha assicurato attenzione al problema e massima disponibilità alla collaborazione con le istituzioni venezolane.


Nell’incontro, svoltosi presso l’ambasciata d’Italia, i rappresentanti della collettività hanno fatto presente il loro stato d’animo e le loro aspettative. Sono intervenuti, tra gli altri, Gennaro Russo, Anna Maria  Nepi, Teresina Giustiniano, Michele Buscemi, Rosita di Geronimo. Sebbene attualmente vi sia un solo connazionale rapito, è stato detto, l’allerta rimane alta, e viene reiterata la richiesta di una missione antisequestri permanente nel paese. Da questa visita ci si aspetta un’impulso alle autorità venezolane e ai legislatori per trovare le soluzioni adeguate al problema.


L’incontro è uno dei primi che la delegazione, composta dai 25 partecipanti all’XXI corso di alta formazione della polizia, ha in programma a Caracas e in altre città nell’ambito di una visita di studio della durata di dieci giorni. Sono previsti incontri col viceministro degli Interni e con la commissione parlamentare che sta redigendo una legge sulla materia. La visita segue un invito formale dell’ambasciatore venezolano in Italia, Rodrigo Chaves, e si inserisce nel quadro delle iniziative di collaborazione avviate dal governo italiano con le autorità venezolane in materia di polizia, con particolare riferimento all’azione antisequestro. A fine mese è attesa in Venezuela una delegazione dell’Unità di crisi del Ministero degli Esteri.



INTERVISTA


Un’offerta di collaborazione alle autorità venezolane per risolvere il problema dei sequestri e della criminalità organizzata. Di questo si fa latore il direttore della scuola di alta formazione della polizia italiana, Emanuele Marotta, che guida una delegazione di 25 alti funzionari in visita di studio in Venezuela. Il contributo di cui parla Marotta si sostanzia soprattutto nell’ambito della formazione del personale e del coordinamento delle forze di polizia. L’esperienza italiana nella lunga stagione dei sequestri, le leggi speciali e le azioni coordinate messe in campo per bloccarla, sono altri elementi utili che verranno portati alla riflessione delle autorità venezolane negli incontri in programma.


Dottor Marotta, cosa vi aspettate da questa visita?


Per quanto riguarda i miei colleghi che hanno fatto attività limitatamente al territorio italiano ci aspettiamo un’apertura mentale diversa, uno sguardo sui problemi altrui che serve anche a meglio inquadrare le cose che viviamo in una scala di valori più aderente alla realtà. Il concetto è estremamente semplice: riusciamo a capire i fenomeni criminali del nostro paese se riusciamo a compararli e inquadrarli con il contesto più generale, questo soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione clandestina e i grossi fenomeni migratori tipici della nostra epoca.


Rispetto alle aspettative della collettività italo-venezolana sul tema della sicurezza che cosa può significare la vostra presenza?


Avremo numerose incontri, anche di alto livello. Sicuramente possiamo fornire un contributo come scuola di perfezionamento delle forze di polizia per quanto riguarda i temi della formazione del personale, soprattutto la formazione dei formatori, che una volta assimilati i concetti fondamentali della nostra polizia potranno trasferirli nella realtà venezolana. Questo è un punto. L’altro punto è che incontremo persone inserite nel decision making nazionale con le quali potremo avere uno scambio di esperienze e soprattutto fornire l’esperienza italiana di lotta alla criminalità organizzata e di lotta alla criminalità spicciola. Noi abbiamo elaborato delle strategie e le esporremo agli interlocutori venezolani, non per dare soluzioni ma per dare degli esempi dai cui trarre ispirazione per poi calarli eventualmente nella realtà del paese.


A che punto è la collaborazione tra la polizia italiana e quella venezolana?


Già in passato ci sono stati dei contatti, c’è stato l’invio di funzionari in particolare per affrontare la lotta ai sequestri di persona. Da questo è nato un percorso che porterà in un fuuro immediato ad una missione tecnica della polizia criminale. Per quanto riguarda la scuola di alta formazione, questa visita nasce da una espressa richiesta dell’ambasciatore venezolano a Roma, che era molto interessato agli aspetti del coordinamento delle forze di polizia italiane. Questo modello di coordinamento può essere utile a chi in questo paese deve decidere se mantenere la pluralità delle forze di polizia oppure perseguire la via della unificazione, che a mio modesto avviso è molto più difficile da attuare. Basta ricordare che nel 1923, all’inizio del regime fascista Mussolini tentò di unificare polizia e carabinieri e dovpo otto mesi dovette desistere.


Che messaggio potete dare alla collettività sul tema dei sequestri?


Il messaggio che si vuole dare è di grande attenzione individuale tesa alla prevezione del fenomeno. Ciascuno può e deve fare la sua parte. Il privato cittadino può adottare delle misure di sicurezza preventive sua propria e dell’abitazione, dell’ufficio, dell’industria dove lavora. Questo nell’ottica di evitare certe ostentazioni che possono indurre i criminali a individuare un facile obiettivo. Dall’altro, e questo va inserito in quello che in Italia viene definito modello di sicurezza partecipata che si sta diffondendo sempre più, la collaborazione del cittadino con le forze di polizia è preliminare a qualunque altra attività. Noi cerchiamo di sviluppare sempre più un senso di identità e di collaborazione tra le forze di polizia e i cittadini, i quali che non possono vedere la polizia come un qualcosa di diverso o addirittura un nemico da evitare al quale mascherare certe realtà.


Negli anni settanta l’Italia ha vissuto il problema dei sequestri ed è stata attuata una legislazione speciale. Cosa potete consigliare al Venezuela? Quali sono gli strumenti fondamentali per poter applicare anche in questo paese una strategia antisequestri?


Dobbiamo distinguere tra soluzioni legislative e soluzioni tecniche. Quelle legislative realizzate in Italia sono state sicuramente un grande vantaggio, a partire dal blocco dei beni della famiglia della persona sequestrata, che rende quantomeno molto difficile al gruppo criminale di avere in temi brevi il prezzo del riscatto. D’altro canto, questo comporta l’obbligo per la famiglia di collaborare con le forze dell’ordine. Altre misure legislative sono il riconoscimento al criminale che si dissocia dal gruppo e collabora attivamente con le forze di polizia, di un programma di protezione, di sconti pena. In alcuni casi si sono pagati veri e propri stipendi che hanno inciso moltissimo nel ridimensionare la reddittività del crimine. Le misure tecniche sono altrettanto importanti, a partire da una task force investigativa alla quale appartengono esponenti delle diverse forze dell’ordine e dispongono di mezzi adeguati. Faccio un esempio, mettere sotto controllo un grande numero di telefoni è uno sforzo tecnico notevole che non può prescindere dalla collaborazione delle compagnie telefoniche. Va fatta una scelta di campo: se si decide di agire in una direzione è chiaro che si tralasciano altre piste. E’ una scelta politica, ma questo è stato forse nel passato il fattore vincente: dedicare alla repressione di questi crimini forze veramente importanti sotto l’ottica della lotta totale.


Attualmente in Venezuela è presente un funzionario della polizia italiana impegnato sul tema dei sequestri, ma è forte la richiesta di una missione permanente. Cosa ci può dire in merito?


E’ una questione di politica criminale, nel senso che dedicare risorse all’estero in  questo momento piuttosto difficile dell’economia nazionale significa sottrarle all’investigazione sul territorio nazionale. Rispetto al recente passato il livello di cooperazione è molto più elevato ma si tratta soprattutto di fornire un ausilio in chiave tecnica per la formazione ad alto livello degli investigatori. E su questo credo l’Italia possa offrire un grosso contributo, anche tenendo conto di certe similitudini tra il sistema di giustizia che quello di polizia.