Con gli italiani nel cuore, nel cuore degli italiani

CARACAS.- “É il mio primo libro”, sottolinea Guadalupe Burelli all’inizio della nostra intervista. Ha lo stesso sguardo profondo e leale di suo padre: il Cancelliere della Repubblica del Venezuela, l’uomo colto, letterato, amico degli italiani e di tutti gli emigranti perchè, d’emigrante anche lui aveva un poco. E lo ricordiamo, Miguel Angel Burelli Rivas, attraverso le frasi di Guadalupe, le sue osservazioni accertate sul dramma  dell’emigrazione e la bellezza di ciascun essere umano: un mondo da scoprire, da amare, da portare alla luce per quanti non sanno o non hanno avuto modo di avvicinarsi alla complessa storia degli “arrivederci a chissá quando..”, degli “addii” alla propria terra d’origine. Guadalupe lo ha fatto con il suo libro: “Italia  y Venezuela: 20 testimonios”, edito  dalla “Fundación para la Cultura Urbana”.
– In veritá questo lavoro fa parte di una trilogia – precisa Guadalupe – e di Rafael Araiz Luca è stata l’idea.
Rafael è suo marito ed ha preceduto il lavoro di Guadalupe con un suo primo libro dedicato all’emigrazione spagnola in Venezuela
– Il secondo – spiega Lupe – è un libro di Karel Krispin dedicato alla presenza tedesca in terra venezolana. Ho iniziato a scrivere il mio libro nel 2004 ed a giugno del corrente anno è andato in stampa.
– Lupe, Cosa ha significato per te questo lavoro?
– Una maniera molto personale di poter collaborare nell’apprezzare e valorizzare la presenza degli emigranti italiani in Venezuela. A casa mia la figura dell’emigrante è stata sempre molto importante per i suoi valori umani, per l’attaccamento alla cultura delle proprie origini, per l’incredibile forza nell’affrontare destini sconosciuti ed il coraggio d’inserirsi in una realtà nella quale esisteva l’incognita del futuro. E poi, il fatto d’avere un padre figlio d’emigranti è stato determinante. Papà ci raccontava per esempio, che quando avvenne il terremoto a Caracas, noi eravamo in viaggio di piacere in Italia. A Bologna abbiamo appreso la notizia della sciagura. A quell’epoca, mio padre aveva voluto appunto organizzare tale viaggio per farci sentire partecipi delle nostre radici:  delle sue in particolare.
Infatti,  “el trujillano de abue¬los toscanos” che era appunto l’illustre Burelli Rivas nato a Merida, scandagliò in quella occasione tutta l’Isola d’Elba, terra d’origine dei propri nonni e riuscì a trovare anche alcuni parenti: uno guardiano del faro ed un altro  residente a Firenze dove, qualche tempo dopo, suo nipote Cri¬stobal, figlio di Guadalupe e Rafael, decideva recarsi per la durata di un anno allo scopo d’apprendere la lingua italiana, gli usi ed i costumi di una terra che più di qualsiasi altro, identifica con il suo adorato nonno e, naturalmente, con se stesso così simile per molti aspetti al nostro indimenticabile amico Miguel An¬gel Burelli Rivas.
– Guadalupe, cosa hai appreso intervistando tutti questi italiani?
– Che il Venezuela sarebbe stato un Paese molto diverso senza l’emigrazione italiana. Conoscendo uno per uno i venti personaggi descritti nel mio libro, ho compreso ancora di più mio padre. Ogni volta che mi riunivo con un italiano  mi sentivo profondamente commossa; era come aver visto papà, aver parlato con lui e lo percepivo tanto vicino… sentivo che stava partecipando a tali incontri, che stava seguendo il mio lavoro soddisfatto, fiero di me e delle sue origini.  E poi, questa integrazione cosí spontanea degli italiani con il nostro Paese… naturale al punto tale che oggi, a volte, ci si confonde cercando di definire cosa appartiene veramente all’Italia e cosa al Venezuela
– É vero, Lupe. Più che i fatti, sono i sentimenti che ci avvincono nel tuo libro… tanto cuore in tante storie diverse eppure con un comun denominatore: l’¬emigrazione.  Dei venti personaggi che hai intervistato, chi ti ha colpito di più?
– Non saprei  indicarne qualcuno in particolare: sono stati tutti. Ognuno con il proprio modo di essere, con il proprio inconfondi¬bile stile,   è riuscito ad  entusiasmarmi. Da Giacomo Clerico, il più anziano, l’industriale; a Giannetto, l’ex Rettore dell’Università Centrale del Venezuela. I racconti affascinanti e rocamboleschi di Gaetano Bafile, il fondatore della “Voce d’Italia”; la raffinatezza del regista e scrittore Antonio Costante, “il principe” come mi piace definirlo; l’autenticitá di Gioia Lom¬bardini; la verve siciliana ed unica di Giuseppe Domingo, il nostro “Gattopardo”, e Antonio Pasquali, che alla mia domanda “perché non ha scelto di lavorare in un altro Paese essendo un professionista di fama internazionale”,  ha risposto: “ …perchè si cambia nazionalità una solta volta: perchè lottare per lasciare ai miei figli, ai miei nipoti un Paese migliore, rappresenta per me l’unico scopo: perchè in Venezuela ho i miei amori, le mie amicizie, i miei vivi e i miei morti”.
Tutto questo ha conquistato e commosso Guadalupe. Sono tracciati  nel suo stupendo lavoro  i profili di venti personaggi, ciascuno con la propria storia… infine, tante storie condivise nell’ambito di una grande comunitá: l’italiana del Venezuela.
E con Eddo Polesel, con il compianto Sindoni, con Graziano Gasparini, Ru¬bar¬telli, Corrado Galzio, Marisa Vannini, Piera Fer¬rari, Egidio Romano, Vittoria De Stefano ed altri noti  personaggi, Guadalupe Bu¬relli ci ha regalato un eloquente spaccato della nostra presenza in  questa “terra di grazia”.
Ci definisce, l’attenta scrittrice nelle cui vene scorre anche sangue toscano: “Eroi civili di carne ed ossa; eroi senza uniformi ne’ armi, con il cuore in mano e con il Venezuela nel cuore. I suoi due figli, Eugenia e Cristobal, hanno appreso, prima dal nonno, e poi dai racconti della madre, gli autentici valori di una emigrazione giunta in Venezuela per trapiantarvi salde orgogliose radici”.
– Attraverso gli italiani ho capito la mia famiglia. Sebbene papà non era un emigrante la sua storia è stata simile,  per molte circostanze, ad una emigrazione. Sua madre, mia nonna, era rimasta vedova con sette figli e la vita di papà fu molto dura. Venne a Caracas giovanissimo lasciando lo Stato Trujillo per avere la possibilità di progredire. C’è riuscito a costo di tanti sforzi, di tanto studio, di tanto impegno. Per questo ho visto mio padre sempre come il classico emigrante: quello che non demorde, che si fa strada a fatica, che non dimentica le proprie origini.
– Pensi ad un tuo prossimo lavoro?
– Non so ancora. Ma una cosa é certa: mi affascina il giornalismo.