Per essere nato in Sicilia, per vivere e amare in Venezuela

CARACAS.- “…Noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva cosí non si sfuggiva agli esattori bizantini, gli emiri berberi, ai viceré spagnoli…ho detto “siciliani”, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l’ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse piú che le dominazioni estranee e gl’incongrui stupri hanno formato l’anima: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l’inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c’infigge sei mesi di febbre a quaranta gradi…sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste…da noi si puó dire che nevica fuoco!”.
Cosí il principe Salina, altero protagonista di “Il Gattopardo” di Tomasi Di Lampedusa tracciava l’ immagine della propria terra e dei suoi abitanti. “Il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana…tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche”. Ed è vero, siamo cosí: “Por haber nacido en Sicilia”, per portare nella pelle, nelle ossa, nell’anima, quell’indefinibile “mal de vivre”, come direbbero i francesi, dai quali molti di noi discendono. Sì, “Per essere nati in Sicilia”, come afferma Giuseppe Domingo senza scampo, senza rimedio…e “per colpa di quella ‘dannata’ sicilianitá che ci affratella, tanto nell’allegria come nel dolore”, come ha voluto sottolineare nella sua cara dedica quando, qualche anno fa, mi ha messo tra le mani accompagnandolo con l’inconfondibile sorriso di sempre il suo libro “Famiglia Nostra”.
Domingo…Giuseppe Domingo, questo “venezuelano nato in Sicilia”, questo siciliano giramondo le cui radici affondano nell’antica terra di Trinacria, i cui ricordi accarezzano l’Etiopia, le cui speranze di gioventú hanno galoppato tra la lussureggiante vegetazione “llanera”, non smette mai di sorprenderci pur non cambiando mai. E’ sempre lui, l’amico fraterno, il giocoliere della vita, il “cantastorie” inveterato dalle multicolori sfumature. E non ci ha sorpreso neppure questa volta, quando ci ha porto con un gesto  disinvolto il suo recente ultimo libro intitolato “Por haber nacido en Sicilia” (“la mafia en mis vivencias”). E’ bastato soffermarci sulle brevi righe d’introduzione per esserne stati calamitati dalla freschezza e la dinamicitá delle frasi. E’ vero, Domingo ha saputo sempre sorprenderci, del resto non ha mai fatto altro per venticinque anni, da quando ci siamo incontrati la prima volta tra i corridoi del nostro Giornale “La Voce d’Italia”, scambiandoci per caso una frase in siciliano e  “riconoscendoci” all’istante naviganti di una stessa isola, di uno stesso profondo azzurro fulgido mare.
Spiegare il fenomeno della “mafia”, non è cosa facile neppure per chi è nato in Sicilia, ed ancor meno lo è, per chi ha creduto d’interpretarne l’idea romanzata attraverso “Il Padrino “ di Mario Putzo. La mafia è una “onorata societá” dagli infiniti risvolti creati da innumerevoli e impreviste circostanze: sostenuta, condannata, idolatrata, rispettata, odiata e amata attraverso  momenti epici che ci lasciano perplessi: percorsi soprendenti, tra leggende e realtá. Del libro di Domingo apprezziamo affascinati la bellezza della copertina che da  sola  basta a schiuderci un mondo di gesta, innocenza ed eroismi: il mondo dei famosi romantici “cantastorie” siciliani. E l’idea non poteva essere che di Antonio Costante, meraviglioso geniale scrittore e regista, anima antica come il nostro sud, colta come la Magna Grecia dove ha visto i natali. Antonio, che per il suo raffinato modo d’essere una scrittrice di notevole prestigio, il cui libro é ancora fresco di stampa, dopo averlo intervistato ha soprannominato a giusta ragione:“il principe”.
“E’ il mio dodicesimo libro; l’ho meditato durante anni. Ho trattato di scrivere o riscrivere  a modo mio la vera essenza del siciliano, quella descritta in tante opere letterarie, come nell’antica tradizione popolare dei “cantastorie”, afferma Domingo e racconta in questa sua deliziosa opera il significato dell’”omertá”, la legge degli “uomini d’onore”, le veritá apprese dai racconti di suo padre, dai “vecchi”, memoria storica di Alcamo il suo paese natale. Lucky Luciano, Vito Genovese, Salvatore Giuliano, scivolano tra la freschezza d’una prosa che s’intreccia con significativi brani di vita dello scrittore, memorie familiari, detti antichi ed immortali proverbi siciliani che ricordano l’atavica saggezza di una terra ambita,  assediata, amata: “benedetta da Dio e maledetta dagli uomini”.
Molto s’è scritto sul fenomeno della “mafia”, cercando di comprenderne il vero significato. Giuseppe Domingo, in questo suo gioiello letterario che si aggiunge a “Famiglia Nostra” (e  a moltissimi altri come: “Cuentos de la Democracia”, “Alberto Adriani”, “Sottovoce”), in forma scorrevole, spontanea, per niente artefatta, dato che per chi legge è come ascoltare i racconti saggi dei vecchi nelle aspre sere d’inverno attorno al fuoco, ci spiega davvero cos’é ”la mafia”.  Ed è dolce, leale, savio quando afferma a proposito d’aver scritto “Por haber nacido en Sicilia”: “Lo dovevo alla mia terra d’origine, della quale si sono raccontate infinitá d’esagerazioni soltanto allo scopo di solleticare la curiositá degli ingenui lettori e  speculare sui possibili proventi della vendita…Lo dovevo alla mia terra d’adozione (Venezuela),  presa di mira da un tipo d’informazine senza scrupoli che per anni ha emarginato le eccellenti opere nazionali. E lo dovevo a me stesso, che l’ho pensato per trent’anni”…
E lo doveva anche a noi, osiamo aggiungere con convinzione : “per quella dannata sicilianitá che ci affratella, tanto nell’allegria come nel dolore”.