Il cacao è il futuro del Venezuela

CARACAS – Non di solo petrolio vive il Venezuela. Potrebbe essere questa la considerazione dei cronisti del futuro, se avranno seguito gli ambiziosi piani del governo Chavez per lo sviluppo della produzione del cacao e della cioccolata. Il piano messo in campo dal Ministero di scienza e tecnologia per studiare e valorizzare le tipologie tradizionali di cacao venezuelano, considerato tra i migliori al mondo per qualità, si chiama “Routa del chocolate”. E’ appena agli inizi ma ciò che importa è che l’Italia ha un ruolo importante nel farlo crescere.
Parla infatti italiano il progetto avviato dalla organizzazione non governativa bergamasca Cesvi, che nell’arco di tre anni cercherà di portare da 200 a 800 chilogrammi per ettaro la produzione di cacao nell’area di Barlovento, culla del miglior cacao del Venezuela. Lo stesso sforzo viene attuato nell’area di Chuao. L’intervento del Cesvi non si esaurisce qui, ma mira a meglio strutturare la produzione dei derivati del cacao, a dare alle piccole imprese locali gli strumenti e le informazioni per produrre direttamente cioccolato di qualità nella forma di barrette e, perchè no, cioccolatini e pralines.
“Tra i nostri obiettivi – spiega Luigi De Chiara, coordinatore dei progetti del Cesvi in Venezuela – c’è quello di creare un’identità del cacao di Barlovento, un marchio di produzione che possa identificare quanto si produce in questa località e facilitarle la commercializzazione sul mercato internazionale”. A sostenere gli sforzi del Cesvi c’è il governo italiano e l’Unione Europea, che hanno messo a disposizione un finanziamento di due milioni di dollari.
A livello mondiale la produzione di cacao è di circa tre milioni e 500 mila tonnellate all’anno. Il cacao di alta qualità, nella cui fascia si colloca quello venezuelano, viene prodotto in circa 60 e 70mila tonnellate. Di queste, 15mila tonnellate sono la quantità prodotta in Venezuela, il 21 per cento del mercato. Il 40 per cento della produzione nazionale esce da Barlovento. Ciò che incoraggia gli sforzi in questo settore, spiegano i promotori del progetto del Cesvi, è che un chilo di cacao di alta qualità  viene venduto sul mercato europeo a circa 2 dollari, ma se trasformato il suo prezzo può salire fino a 150 dollari. Si comprende, quindi, che per le piccole comunità impegnate in questo settore i margini di crescita e guadagano sono notevoli.
Negli scorsi giorni il Cesvi, in collaborazione con l’Istituto per il commercio estero e l’Ambasciata d’Italia, ha ospitato in Venezuela due maestri nell’arte della produzione artigianale del cioccolato, Roberto Catinari e Andrea Trinci. I due hanno visitato le zone di produzione del cacao, tenendo degli affollati corsi di formazione per i piccoli produttori. Toscani entrambi, hanno in diversi modi contribuito alla sviluppo della produzione di cioccolato nella regione natia, offrendo un esempio e un modello a molti artigiani in tutta Italia. Catinari, in particolare, che porta una lunga barba bianca da santone indiano, è considerato dagli appassionatidi cioccolato un vero punto di riferimento. La sua bottega artigianale, aperta più di trent’anni fa, ha dato il via a un fenomeno imprenditoriale che oggi vede una trentina di piccoli artigiani operare in quella che è stata definita la “Valle toscana del cioccolato”.
“Credo che il nostro esempio e i nostri insegnamenti – dice Andrea Trinci, discendente di una famiglia di cioccolatai, esperto di Slow Food e uno degli organizzatori del festival Cioccolosità, che si tiene ogni anno a Monsummano Terme  – possano essere molto utili ai produttori venezuelani. Abbiamo visto che c’è entusiasmo e alcune aziende preparate, il cacao locale è di qualità eccezionale, ma c’è molto da fare sulla sua lavorazione. Una buona soluzione sarebbe quella di creare un piccolo laboratorio pilota dove applicare metodologie di lavoro adeguate, unite all’uso di macchinari che permettano il trattamento del cacao nei termini corretti. Questo laboratorio potrebbe servire da scuola per i produttori locali”.
Luigi De Chiara è convinto che le attività formative porteranno dei risultati concreti. “Siamo partiti con questo progetto un anno fa – spiega – e fino ad ora abbiamo toccato circa 200 unità produttive, con 500 operatori. Assieme a loro cerchiamo di recuperare certi metodi tradizionali di coltivazione persi nel tempo e, contemporaneamente, di accompagnare questo sforzo di grande valenza culturale con l’esigenza di struttuare in modo moderno e il più possibile efficiente la produzione”.