L’ultimo barbiere di Sabana Grande

CARACAS – Tutti i vecchi frequentatori di Sabana Grande conoscono Nando il barbiere. La sua “Barberia Ariston”, sita nella calle El Colegio, è la più vecchia della zona e forse una delle più vecchie della città: l’anno prossimo saranno 45 anni che è stata fondata. Ma Nando, diminutivo di Ferdinando che di cognome fa Alterio ed è originario di Napoli, ha deciso di chiudere. Proprio nell’anno in cui dovrebbe celebrare un anniversario importante ha scelto di andare in pensione e di fare rientro in Italia. Non è facile retorica dire che con lui si chiude un’era, quella degli artigiani italiani arrivati negli anni cinquanta e diventati delle piccole istituzioni nel loro campo.


“Quando ho aperto questo locale, nel 1962”, racconta Nando, “eravamo tutti italiani a lavorare qui e la clientela era composta soprattutto da italiani, gente importante, costruttori, industriali, che ora non ci sono più, molti sono morti altri sono tornati in Italia. Oggi tutto è cambiato. Con me lavorano due venezuelani e tre italiani, e i clienti sono quasi tutti venezolani, ma è la zona ad essere cambiata completamente da allora”.


Nei racconti dei vecchi italo-venezolani il ricordo nostalgico del “Boulevard Sabana Grande “ è un luogo comune abituale. In effetti, osservandolo oggi riesce difficile immaginare quello che era: un viale pensato a modello delle vie più famose delle capitali europee, via Veneto in primis. Le vetrine dei migliori negozi, i tavolini dei bar all’aperto, vie laterali dagli ampi marciapiedi con aiuole ordinate e alberate. Questo il progetto originario di Sabana Grande. Oggi è il cuore pulsante del commercio ambulante di Caracas, bancarelle piene di ogni tipo di mercanzia occupano quella che un tempo era la camminata preferite della borghesia capitolina. Soprattutto, però, nelle ore serali questa zona è diventata una delle più pericolose della città.


Di fronte alla “barberia Ariston” mucchi di immondizia fanno mostra di sé dentro le aiuole e sul marciapiede. Nando osserva sconsolato e spiega le ragioni che stanno al fondo della sua scelta di chiudere bottega. “La vita si è fatta più difficile, si vive nell’insicurezza, io preferisco andare in Italia e vivere gli ultimi anni in un ospizio piuttosto che stare qua e sentirmi come in prigione. Si lavora e poi ci si chiude in casa, di sera non si può uscire. Ho 70 anni, ho lavorato abbastanza”, confessa.


C’è solo un problema nel suo progetto, la mancanza della cittadinanza italiana. Come molti emigranti, acquisì la cittadinanza venezolana per poter avviare un’attività in proprio perdendo automaticamente quella italiana. Quando, nel 1992, il parlamento di Roma approvò una legge che consentiva il recupero della cittadinanza originaria, Nando non si affrettò a inoltrare la richiesta e ora si trova nella situazione che il passaporto italiano è stato concesso a sua moglie, venezolana di origine, e ai loro due figli, ma non a lui.


“Loro si sono preoccupati di fare subito le carte necessarie, io no, ma non possono rifiutarmela, non possono dire che non sono nato in Italia, ho tutti i documenti. L’anno prossimo vado in Italia e risolvo la questione della cittadinanza e della pensione minima”, afferma convinto.


Nando Alterio è arrivato in Venezuela nel 1951 sulle orme di un fratello e di uno zio, emigrati tra il 1947 e il 1948. Portava con sé un mestiere, quello di barbiere, imparato in bottega a Salerno, città dove risiedevano i nonni. “Ho cominciato a lavorare da ragazzino, la bottega del barbiere era vicino alla casa dei nonni e così ci sono andato, per imparare. Nei primi anni in Venezuela ho lavorato nel negozio di altri e poi mi sono messo in proprio. Sono stati anni di sacrifici e di preoccupazioni per mettere su il negozio, la casa e poi le rimesse. Coi nostri soldi abbiamo mantenuto la famiglia in Italia, questa è stata la vita dell’emigrante”.


In Italia, a Napoli, vivono quattro fratelli e due sorelle, mentre in Venezuela risiede il fratello maggiore. Nando non rientra nel paese natale dal 1982 – “è l’anno della vittoria ai mondiali di calcio”, scherza, “sono un po’ come la nazionale, torno dopo 25 anni”. Non sa bene cosa troverà nella città natale, ma è convinto che l’Italia sia diventata “una grande nazione”. Dice proprio così, sottolineando con orgoglio come è cambiata la madrepatria da quando lui l’ha lasciata. “Quando sono partito, in Italia si faceva la fame ma oggi non c’è miseria, è un paese ricco. Almeno così lo vedo dalla Rai”.


Prima di lasciarci chiedo a Nando se non gli dispiace chiudere bottega senza passare il testimone a qualcuno, a un figlio o un “allievo”. “Ma no”, dice con un mezzo sorriso che non nasconde un filo di amarezza, “oggi anche il mestiere è cambiato, io sono un barbiere tradizionale, uso la forbice e il pettine, come una volta. Quelli come me sono gli ultimi Mohicani del mestiere”.