CARACAS – Senza documenti, senza lavoro, senza una casa. E’ la vita di Salvatore Chiovaro, un di quegli emigranti che non trovano posto nelle pubblicazioni patinate dedicate alla “grande” epopea dell’emigrazione italiana. Salvatore è nato nel
“La casa e tutto ciò che avevo era intestato alla mia donna, perché io non ho mai voluto prendere la cittadinanza venezolana, sono italiano, sono sempre stato orgoglioso di essere italiano. Così quando le cose hanno cominciato ad andare male mi sono trovato senza niente, abbandonato da tutti. Nemmeno i miei figli mi vogliono più vedere. Mia sorella è tornata in Italia anni fa. Dormo dove capita, non mangio da due giorni”, dice.
Salvatore è entrato in redazione timidamente, come timidamente ha cominciato a raccontare la sua storia. Ha un fisico minuto, smagrito dalle avversità vissute, che si leggono bene nel viso scavato. E’ venuto con dignità a cercare qualcuno disposto ad ascoltarlo. Ha con sé un sacchetto di plastica, l’unico bagaglio. Contiene alcuni fogli piegati malamente e anneriti per le molte volte che sono stati maneggiati: i referti medici che spiegano il suo precario stato di salute, ha un enfisema polmonare e vari acciacchi. In tasca tiene i documenti più importanti, quelli che dovrebbero dimostrare il suo status di italiano ma, nei fatti, dimostrano ben poco.
Apre un foglio A4 e lo getta sul tavolo, con impeto. E’ disperato mentre spiega che il “Documento de identidad provisional” rilasciatogli dal Consolato “non serve a niente”. Con un’espressione colorita ripetuta più volte spiega che
Racconta di aver perso i documenti alcuni giorni fa, la “cedula” venezolana non la possedeva più da tempo, ora è rimasto anche senza i documenti italiani. Nei fatti, per le autorità venezolane è un senza-stato, un apolide coatto, un immigrato irregolare. Mostra la dichiarazione della polizia che afferma che lui è un senza documenti, oltre che un senza dimora. Ad accrescere la sua disperazione è un “infortunio” burocratico a causa del quale è finito pure in prigione.
“Il Consolato mi ha dato questo foglio, ma hanno scritto la data sbagliata, secondo quanto stava scritto lì il documento era stato emesso il 4 agosto 2007! Quando le guardie mi hanno fermato nei pressi della stazione La Bandera, dove dormo, e gli ho mostrato quel foglio mi hanno portato dentro, mi hanno pestato e mi hanno anche tolto i pochi soldi che avevo. Pensavano che fosse un documento falsificato. Adesso il foglio ha la data giusta ma non serve a niente, questa carta non ha valore. Io voglio andare in Italia! Non voglio morire qua!”.
Salvatore non riesce a trattenere le lacrime, si alza e mi mostra dei lividi sul braccio, effetti delle botte subite. Da un paio d’anni, racconta, si reca al Consolato e chiede di essere ricevuto, ascoltato. “Tutti hanno le ali ai piedi, nessuno ha tempo per parlare con me. E il console chi è? E’ forse Dio, che non può ascoltarmi? Il carabiniere oggi mi ha preso è buttato fuori, ma io sono un italiano, là tutti conoscono la mia storia. Io non posso lavorare senza documenti, cosa faccio, vado a rubare?”.
In un paese come il Venezuela, che conta decine di migliaia di immigrati illegali, soprattutto colombiani, Salvatore non è certamente una mosca bianca. I “senza documenti” abbondano. Tuttavia, nel suo caso, il fatto di vivere da 32 anni in questo paese da emigrante di passaggio e di trovarsi ora anche senza quell’identità di origine a lungo coltivata con orgoglio, ha acuito la sua disperazione. Ora ha un unico desiderio, ed è per quello che continua a resistere.
“Voglio andare in Italia, là ho molti parenti. Non li sento da anni, ma voglio andare là e mi metterò in contatto con loro. Non voglio morire qui, il mio paese è l’Italia”.
Salvatore Chiovaro non ha altre parole da spendere per spiegarsi.
“Sono un povero ignorante, ne ho passate troppe nella vita, vorrei solo tornare nel mio paese, è il mio ultimo desiderio”.