Ecco perché abbiamo deciso di ritornare in Italia


ROMA – Giuseppina, Italia e Filomena Arnone. Tre donne, italiane, madre e due figlie. La storia che raccontiamo è una storia all’incontrario. Il ritorno, potremmo chiamarla. Prima la madre, emigrante con i fratelli, in partenza quaranta anni fa per il Venezuela, poi  assieme alle figlie di ritorno in Italia, qualche anno fa. Via  da un Venezuela dai prezzi troppo alti e gli stipendi in picchiata verso il basso. Il viaggio di ritorno nel 2000.  Come  tanti connazionali, anche Giuseppina ha rifatto le valigie, non più di cartone, ed è ripartita per tornare lì dove tutto era iniziato, quell’Italia un tempo povera ed equilibrata, problematica ma familiare. In Italia, dunque . Per la precisione  a Vignola, in Emilia Romagna, un paese di poche anime, dove si lavora, si lavora e si lavora, ma alla fine una vita riesci a pianificarla.  Certo, hanno scoperto che il caldo tropicale è un’altra cosa, e l’inverno italiano è duro, molto duro. Ma ci sono anche le mille possibilità che non ti aspetti, per un emigrante di ritorno.
Giuseppina, oramai cinquantenne ed un matrimonio alla spalle, inizia a raccontare:
– Nel 2000 siamo tornati in Italia, in vacanza, per la prima volta dopo tanti anni. Il biglietto ce lo hanno regalato i nostri parenti, ma il governo italiano ci ha sostenuti in parte. Su 7.000.000 di spese di viaggio ci hanno dato 1.500.000, allora c’erano ancora le vecchie lire. Il Comune invece ci ha aiutate  dandoci un piccolo contributo per l’affitto di casa, almeno fino a quando non abbiamo trovato  un lavoro, io e le mie figlie. Da questo punto di vista non possiamo lamentarci.
Fuori da certi luoghi comuni, che vogliono la povertà come romantica e genuina, questa tranquilla signora parla chiaro, senza soldi non si vive bene.
– Ma come potevamo fare ad andare avanti in Venezuela. Le mie figlie lavoravano come segretarie d’azienda, e guadagnavano 300.000 bolivares ciascuna, io facevo lavoretti occasionali come sarta. Alla fine neanche l’affitto ci potevamo pagare. Il padrone di casa voleva 180.000 bolivares al posto delle 60.000 pattuite. Abbiamo  abbandonato casa e ce ne siamo andati a Los Teques, in un appartamentino piccolo piccolo con una stanza e una cucina, non più di cinquanta metri quadri ma almeno con  il tetto.
Non solo difficoltà economiche, “ma al di là della casa, anche quell’insicurezza, insopportabile”.
– Le mie ragazze  dovevano andare ogni giorno a Caracas, tornare di sera… abbiamo iniziato a chiederci se questa fosse vita”.
Via, quandi, da un paese che amavano, perchè almeno per le figlie, questo era l’unico paese che conoscevano.
Certo, poi è arrivata l’Emilia Romagna che Moretti in un suo celebre film considera un vero paradiso “comunista”. E’ arrivata Vignola con le sue 20.000 anime, e quella vita tranquilla che la rende l’esatto opposto di una metropoli complicata come  Caracas. La troppa tranquillità può anche uccidere, però, di noia.
–  In parte è vero, qui la gente è più chiusa, per conquistare la confidenza di una persona bisogna lavorare tanto, e poi ci sono le stagioni? Bisogna fare il cambio della roba.  All’inverno non eravamo proprio più abituate.
Interviene Filomena, figlia trentenne, che adesso lavora come operaia metalmeccanica:
– Il mio lavoro è duro, e da questo punto di vista non mi soddisfa. Sa, io ho studiato per fare la segretaria, avrei preferito stare dietro una scrivania, prendere appuntamenti, in Venezuela quello che facevo mi piaceva, ma  non guadagnavo, cosa dovevamo fare? Andare a vivere in un rancho. Qui il lavoro è pesante, è vero…su un muletto tutto il giorno a caricare e scaricare ruote di ferro, ma almeno guadagno 1000 euro al mese, con tutte le garanzie sociali…un giorno avrò anche la pensione”.
1000 euro al mese lei, 1000 euro la sorella e Giuseppina invece?
– Lavoro in un asilo nido, faccio lavoretti di sartoria, mi arrangio, però non mi posso lamentare, qualcosa a fine mese la metto su.
E così adesso se ne sono andate anche a Rimini a fare le vacanze, una settimana con tutte le comoditá, dimenticando anche l’inverno duro, e il rumore grigio della fabbrica.
– Al lavoro duro- sottolinea sempre Filomena- si ci abitua, però la nostra casa adesso ce l’abbiamo e la paghiamo solo 400 euro al mese. Abbiamo deciso di comprarcene una, un mutuo trentennale, e questo è davvero un sogno che si avvera.
Oltre alla casa, anche la macchina, e “la tranquillità soprattutto”
– La tranquillità di un piccolo paesino, certo… – ribadisce la mamma – Il Venezuela di quando arrivai negli anni ’60, quello sì era un paradiso, ed in fondo anche gli anni ’80 per me non sono andati così male. Però gli ultimi  quindici, venti anni è stato un disastro, con lo stipendio non si riusciva più a fare un vita dignitosa.
Ma in Venezuela tornerete?
– Tornare in Venezuela?- sospira Filomena-  A volte ci penso, certe cose ti mancano. Io là ho vissuto tutta la mia infazia, però adesso abbiamo deciso di mettere radici qui, chissà un giorno, non si può mai dire.
Tutta la famiglia di Giuseppina è tornata in Italia.
– Eravamo tre fratelli emigrati, ne è rimasto solo uno.