L’amore per Dio passa per Petare

CARACAS – Barrio Union, Petare. E’ qui, in uno delle zone notoriamente più pericolose e “difficili” di Caracas, che nasce la storia d’amore e di fede tra Giorgio e Monica, due missionari laici dalla storia singolare. Giorgio Galvagno ha oggi 37 anni ed è arrivato in Venezuela nel 2000, come volontario dell’Associazione Papa Giovanni XXIII.  “Dopo la laurea in Economia e Commercio avevo cominciato a lavorare nello studio di commercialista di mio padre, in Piemonte”, dice, “ma dopo un po’ ho lasciato, non faceva per me. Sono entrato come volontario in una comunità di accoglienza a Torino e da lì al mia vita è cambiata”.


Esaurita questa esperienza è arrivato il Sud America, e precisamente il Cile, dove ha vissuto per un anno operando nelle periferie di Santiago prima di accettare la proposta di recarsi in Venezuela.


“Don Oreste Benzi chiese a me e a un altro fratello dell’associazione di venire in Venezuela e così, con l’aiuto di don Aldo Conti, responsabile per la pastorale in questo paese, ci trovammo a Petare, accolti da un prete spagnolo che lavora accanto alle persone più povere ed emarginate”, racconta Giorgio. “L’anno dopo arrivò Monica, che oggi è mia moglie. Anche lei era una volontaria dell’associazione”. Tra i compiti svolti dai missionari laici c’erano le attività di animazione per i bambini del barrio e la presenza nelle carceri assieme alle famiglie dei detenuti.


“A parte il classico colpo di fulmine, penso che il fiorire del nostro fidanzamento sia avvenuto nelle gite domenicali fuori porta che facevamo assieme. ‘Gite fuori porta’ un po’ particolari, perché andavamo settimanalmente a visitare il carcere di Jare, fuori Caracas. La nostra presenza nelle carceri ci ha fatto guadagnare il rispetto delle persone del barrio. La gente era sorpresa di vedere degli italiani che vivevano nel barrio e facevano quello che facevamo noi”.


Nel 2002 Giorgio e Monica si sposano, proprio a Petare, e qui l’anno dopo nasce la loro prima figlia, Chiara. Con la nuova situazione familiare arriva la decisione di spostarsi in una località meno problematica, ma con l’obiettivo di continuare la missione creando una casa-famiglia per accogliere bambini abbandonati. Nel 2003 si spostano a Merida. “Stavamo bene a Petare, per noi aveva un significato pastorale chiaro, stare vicino ai più poveri, portare il nostro messaggio di fede, ma l’idea di fare casa-famiglia in quel barrio ci sembrava troppo presentuosa. Inoltre eravamo rimasti soli, senza fratelli di comunità e da soli è tutto più difficile”.


La nuova vita a Merida, città di circa mezzo milione di abitanti con condizioni climatiche e di vita piuttosto diverse dalla capitale, è legata principalmente all’idea di mettere in piedi una casa-famiglia, una famiglia aperta a bambini che non hanno qualcuno che si occupa di loro. In altre parole si tratta di affidamento familiare, una modalità relativamente nuova in Venezuela ma che in altri paesi è la principale alternativa agli istituti e alle fondazioni che si occupano dell’infanzia abbandonata.


“Ci siamo recati in un settore della città dove nemmeno le missioni del governo ancora mettono piede. Un agglomerato di baracche dove siamo stati accolti molto bene. Nella nostra visione sono loro, i poveri, a dirci di cosa hanno bisogno, così siamo andati casa per casa a chiedere cosa potevamo fare per aiutarli e le madri ci hanno detto: ‘guardate quanti bambini in strada, fate qualcosa per loro’. Così nell’arco di vari mesi abbiamo messo in piedi un centro diurno dove fare attività di animazione ma anche di sostegno scolastico che oggi sono seguite da tre sorelle arrivate dall’Italia, mentre nella casa dove viviamo accogliamo bambini in difficoltà”.


Per Giorgio la motivazione fondamentale nella sua missione è la fede religiosa. Lo afferma chiaramente quando gli chiedo “perchè lo fate?”. “E’ la fede e il desiderio di portare il nostro essere cattolici tra i più poveri a sostenerci”, dice sereno.


I rapporti con le autorità venezolane hanno più sfaccettature. Giorgio non calca la mano su questo aspetto ma, dal modo in cui ne parla, si capisce che l’operato dei missionari dell’associazione è più “tollerato” che favorito dalle istituzioni locali. C’è tuttavia qualcuno che li sostiene apertamente, il giudice minorile, che, riferisce il missionario, li ha pubblicamente ringraziati per quanto stanno facendo. L’attenzione ai bambini è la ragione essenziale.


“Nel barrio ci sono circa 200 bambini”, spiega Giorgio, “molti non vanno a scuola, le famiglie sono smembrate e di solito sono le madri sole ad occuparsi di loro e non sempre ce la fanno, nei casi più difficili noi siamo disponibili ad accoglierli. La nostra casa si trova in una urbanizzazione diversa, una zona dove è stato possibile rispettare i requisiti di legge per un’attività come la nostra. Da quando abbiamo cominciato, vincendo diffidenza e superando vari ostacoli, sono passati nella nostra casa otto minori per periodi più o meno lunghi”.


Da circa un anno l’attività dell’associazione Papa Giovanni XXIII a Merida è rafforzata dalla presenza di tre volontarie – Valeria Voglino, Silvia Pati e Angela Ducange –, che concretamente gestiscono il centro diurno e il dopo scuola nel barrio, in locali messi a disposizione dalla diocesi.


Immagino che i finanziamenti per il lavoro dell’associazione arrivino dall’Italia ma chiedo conferma direttamente a Giorgio. “Sì, è così”, risponde. “Per reperire ulteriori fondi recentemente sono stato in Italia dove ho presentato la nostra attività in alcuni incontri pubblici. Ho trovato due banche del Piemonte disponibili ad aiutarci, tuttavia sarebbe bello ricevere qualche aiuto dalla comunità italo-venezolana. Gli italiani emigrati in Venezuela in buona parte sono benestanti, forse tra di loro c’è qualcuno interessato a darci un mano”.


Giorgio Galvagno spera che proprio attraverso le pagine de La Voce d’Italia si possa raggiungere questo obiettivo. L’email dell’associazione è [email protected].