Gli italiani di Cartagena

CARTAGENA (Colombia) – Passando dal Venezuela alla Colombia, la presenza italiana si dirada in ragione di dieci a uno: nel primo paese l’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) conta 81.481 nominativi, nel secondo 8.964. In ogni caso, non è raro, anche in Colombia, imbattersi in luoghi che evocano la penisola e i suoi abitanti, soprattutto in località dal forte richiamo turistico quali Cartagena, “città leggendaria – recita la nota guida Lonely Planet – per la sua storia e la sua bellezza”. Centro di un milione di anime sulla costa caraibica, Cartagena racchiude i suoi monumenti entro la cinta muraria fatta costruire dagli spagnoli dopo che Sir Francis Drake, alla fine del XVI secolo, mise a ferro e fuoco la città. Questa zona è la “città vecchia”, un intrico di stradine che esibiscono un mirabile esempio di architettura coloniale. E proprio qui, nella città vecchia, a ridosso del “Museo Navale” – un antico edificio a lungo conteso tra forze armate e Compagnia di Gesù – si trova uno dei ristoranti più eleganti della città, “Enoteca”. E’ stato aperto undici anni fa dalla famiglia Sale, imprenditori romani che, giunti a Cartagena come turisti, se ne sono innamorati al punto da decidere di viverci. Quello dell’Enoteca è un po’ un caso emblematico. Secondo quanto raccontatoci dalla signorina Patricia Garcia, segretaria al consolato onorario di Cartagena (sito nella calle El Colegio, nella città vecchia), la storia dell’emigrazione italiana in Colombia può così riassumersi: una prima ondata arrivò dopo la guerra, nel ’45; e negli ultimi anni sono arrivati altri italiani, soprattutto imprenditori, che hanno aperto chi ristoranti, chi discoteche (dalla dubbia reputazione, a detta di diversi commenti da noi raccolti). Attualmente, nella circoscrizione consolare di Cartagena risiedono circa 600 iscritti all’Aire, più altri 150 – stima la Garcia – che vivono qui ma che non hanno voluto rinunciare al loro status di residenti italiani. Siamo poi edotti dell’esistenza di una locale “Casa Italia”, e del fatto che anche questo consolato è sommerso da richieste di cittadinanza da parte di chi può vantare una discendenza italiana: avere un passaporto colombiano, ci spiega la signorina Garcia, moltiplica i problemi di un viaggiatore (ad esempio, in Italia è recentemente entrata in vigore la norma secondo cui un cittadino colombiano in transito in un aeroporto italiano deve esibire uno speciale “visto di transito”).


Stefano Sale, che ci ha accolti all’Enoteca, appartiene all’ondata migratoria più recente: si è sposato a Cartagena, ha due figli e qui manda avanti il suo ristorante, che si è dimostrato un ottimo affare: altri due “Enoteca” sono stati aperti a Bogotà e a Barranquilla, posti dove – assicura Sale – la “farandula” (cioé il jet-set colombiano) si fa vedere spesso. “Enoteca”, in effetti, offre un servizio di rango: sulle mensole sono esposti vini di assoluto livello (ci sono anche bottiglie di Brunello di Montalcino, costo: 150.000 pesos l’una, circa 60 dollari), i prodotti sono genuinamente italiani: o fatti sul posto, come la mozzarella che arriva da Bogotà, dove un imprenditore romano ha importato i fermenti lattici specifici; o trasportati in container che arrivano dalla penisola in Colombia due volte all’anno. E a garantire sulla corretta esecuzione delle ricette è l’abilità di un cuoco braccianese, anch’egli stabilitosi a Cartagena.


Altri locali italiani sono concentrati in piazza Santo Domingo, ai piedi della più antica chiesa cartagenera. O si trovano una traversa più in là, come il “Pizza & Pasta” di Bruno Mossi, aperto da sette anni. “Ma chissà, tra un po’ me ne andrò – dice Mossi, che pure non ci è sembrato a corto di clienti – anche qui stanno cominciando a mettere troppe tasse, troppi controlli. Beh, non sarebbe la prima volta che cambio paese”.