Ventisei miliardi di dollari verso l’Italia

CARACAS – Ventisei miliardi di dollari: a tanto ammontano gli appalti assegnati alle imprese italiane dal governo venezolano, tra contratti già conclusi e contratti in via di definizione. Il dato è fornito dall’ambasciatore d’Italia in Venezuela, Gerardo Carante, in un’intervista concessa in esclusiva alla Voce d’Italia nel corso della quale viene annunciato l’imminente arrivo in Venezuela di due alti esponenti dello Stato italiano: il viceministro Vittorio Craxi, che da lunedì sarà impegnato in un tour nei Caraibi per promuovere la candidatura di Milano come sede alla Expo 2015; e il pg antimafia Pietro Grasso, che firmerà “importanti accordi” di cooperazione nella lotta alla criminalità col governo venezolano.


 


Qual è lo stato delle attività delle imprese italiane in Venezuela?


– Da quanto abbiamo comunicato ufficialmente a Roma possiamo stimare i contratti già firmati dalle imprese italiane negli ultimi due o tre anni sicuramente superiori ai dieci miliardi di dollari. Ci sono poi 7-8 miliardi in contratti ‘disattivi’, cioé in via di finalizzazione: sono pronti ma non sono ancora stati firmati. E abbiamo contratti per altri 7-8 miliardi sui quali già il presidente Chávez si è pronunciato a favore e che sono in via di negoziato. Speriamo di poter riprendere il negoziato una volta che la situazione politica si stabilizzi. Come è noto, c’è una nuova squadra di ministri, a cominciare dal vicepresidente Jorge Rodríguez, che si occupa delle pratiche commerciali. E’ cambiato anche il presidente di Iafe (Instituto autonomo de Ferrocarriles del Estado, ndr), l’istituto che si occupa delle ferrovie con i cui funzionari le nostre imprese devono contrattare. Abbiamo di fronte tutti uomini nuovi, tanti nuovi ministri ognuno dei quali ha portato con sé nuovi funzionari; per di più ci troviamo in una situazione politica nella quale mi pare ci sia, a differenza della fine dell’anno scorso, una maggiore attenzione verso l’aspetto politico – l’unificazione dell’opposizione, l’unificazione dei partiti di governo, la riforma della Costituzione, le leggi abilitanti. Tutto questo ha un po’ bloccato, secondo me, la trattativa economica. Ho avuto modo di accennare la cosa anche al vicepresidente Rodríguez, il quale mi ha detto che sarà suo compito riprendere, appena possibile, il filo del negoziato.


 


Quali sono gli appalti andati alle ditte italiane?


– Fondamentalmente riguardano il settore delle infrastrutture. Innanzitutto le ferrovie, su cui ci sono contratti firmati, contratti finalizzati ma ancora non firmati, contratti in via di negoziazione. Poi ci sono i metrò. Le imprese italiane stanno lavorando, o direttamente o inquadrate in consorzi, praticamente a tutte le nuove linee del paese. L’ultimo contratto firmato è il raddoppio della linea per Los Teques, che è stata inaugurata solo pochi mesi ‘one way’.


Siamo presenti nel settore delle dighe, negli stati Amazonas-Bolívar. Siamo presenti nel settore dei porti, con appalti per porti d’acque profonde (a Maracaibo, ndr). Il contratto è pronto, non è ancora stato firmato, c’è stato anche lì un cambiamento. Il governo ha affidato a un altro ente, Corpo Zulia, la gestione della materia. Il presidente di Corpo Zulia mi ha assicurato che è solo questione di tempo. Poi ci sono i contratti negli ospedali, e questi sono stati finalizzati direttamente dal vicepresidente. Mi ha detto che in questo campo le cose si rimetterranno in moto appena possibile. Fino a ora, comunque, ci siamo aggiudicati il maggior pacchetto d’appalti per Barrio Adentro 4 (l’ultima fase di sanità popolare, quella in cui si attivano ospedali e ambulatori, varata dal governo Chávez – ndr), di cui siamo il primo contractor. E poi ci sono negoziati in essere per tantissimi settori, dalle joint venture per autobus a gas alle forniture in campo navale alle joint venture nel settore dell’industria pesante, dall’acciaio all’alluminio.


 


Quali sono attualmente le attività italiane in Venezuela nel campo dell’energia?


– Snam progetti ha qui una fabbrica di fertilizzanti, l’Eni mantiene una grossa concessione nel settore del gas assegnata un anno fa e ha la proprietà – assieme ad altre società – di una concessione petrolifera nell’oriente del paese. Si tratta di attività che restano importanti, pur avendo perso alla fine dell’anno scorso la concessione del maggior pozzo petrolifero del paese, il pozzo Dacíon, che era in grado di produrre 60-70 mila barili al giorno, con punte di 90 mila barili al giorno. Non è stato trovato l’accordo, tra Eni e Pdvsa, nel passaggio alla società mista, perché la Pdvsa aveva sottostimato, secondo noi, il valore del pozzo. Eni ha ritenuto di dover adire a un arbitrato internazionale, accolto presso un organismo della Banca Mondiale, e i negoziati si sono completamente fermati perché Pdvsa, a torto o ragione, ritiene che con un arbitrato di mezzo non abbia più niente da discutere con Eni. Eni, da parte sua, afferma di essere pronta a riaprire il negoziato, ma la chiusura della controparte mi fa pensare che il contenzioso possa essere risolto solo a livello politico, come ritiene anche il ministro Ramírez. A livello tecnico, ormai, resta solo la via dell’arbitrato, che darà il suo responso all’inizio di maggio. Eni ha naturalmente tutte le ragioni, perché Pdvsa aveva sottoscritto un contratto, un contratto da rispettare. Non si è potuto arrivare a un’intesa, si è ricorsi all’arbitrato.


 


Quali sono a suo avviso i settori nei quali, in prospettiva, il sistema Italia dovrebbe insistere per entrare ancor di più un Venezuela?


– L’industria pesante: è l’unico settore importante dove il Venezuela ha quello che si definisce ‘vantaggio comparato’ rispetto ai paesi potenziali concorrenti. Qui il prezzo dell’energia è bassissimo e sarà sempre più basso, perché la produzione di energia aumenterà anche col potenziamento del settore idroelettrico. Questo è vero soprattutto nell’oriente, nello stato Bolívar, dove le industrie italiane risultano particolarmente avvantaggiate dalla presenza di una folta comunità italovenezolana. Il Venezuela ha poi quantità incredibili di ferro e carbone, non in miniere – come si sente purtroppo in questi giorni in Russia – che si addentrano per centinaia di metri nel terreno, ma in superficie: i costi di estrazione sarebbero stracciati. Ha risorse umane a prezzi ovviamente non comparabili a quelli dei paesi sviluppati, e anche a quelli dei grandi paesi dell’Asia. Di conseguenza, è questo, secondo me, il settore dove investire. E si comincia a vedere, si cominciano a vedere imprese italiane interessate oltre ad imprese italiane che agiscono qua già da parecchio tempo, come la Danieli. Questo è un settore in cui l’Italia può fare ben di più. Ricordiamoci che furono gli italiani ad inventarsi Puerto Ordaz, e a costruire la più grande acciaieria che esiste in Venezuela; e che una famiglia italoargentina, i Rocca, è proprietaria della Sidor, la più grande impresa siderurgica del paese.


 


Altri paesi hanno iniziato a sfruttare queste opportunità, magari sopravanzando l’iniziativa italiana?


– Naturalmente tanti paesi sono interessati, ma relativamente allo stato Bolívar, l’Italia ha il grande vantaggio che Puerto Ordaz è praticamente una colonia italiana, sono loro che sono arrivati per primi portando l’Innocenti e le acciaierie. E poi c’è una particolare predisposizione del presidente Chávez verso l’Italia, decisamente migliore, debbo dire, che rispetto a tanti altri paesi europei. Certamente Italia e Spagna sono, e lo si vede, le grandi beneficiate nel campo delle opere pubbliche pagate dal governo.


In generale, qui l’industria è in gran parte da sviluppare. Il Venezuela vende materie prime, manca il passaggio al lavorato e al semilavorato. O meglio, si fa ma si fa poco. Sviluppare l’industria è proprio quello che vogliono fare le autorità. L’istituto delle imprese di Stato, il Conipa, si occupa proprio della trasformazione delle materie prime da parte dell’industria pesante; il suo presidente, tra l’altro, è un italovenezolano di origini venete, Carlos Valter Bettiol, già viceministro degli Interni. E’ una persona capace e assolutamente felicissima di fare affari… naturalmente con tutti, e in particolar modo con gli italiani.


 


Sono in programma visite ufficiali Italia-Venezuela?


Sì. Lunedì arriva a Caracas il sottosegretario agli Esteri Vittorio Craxi. Sempre lunedì arriva una persona molto importante, il procuratore generale antimafia Pietro Grasso; si fermerà tre giorni, nel corso dei quali firmerà con il fiscal general Isaias Rodríguez un accordo di cooperazione contro il crimine organizzato. Il viceministro Craxi si fermerà un giorno a Caracas, poi partirà per un giro dei paesi caraibici. Scopo della visita, promuovere la candidatura di Milano come sede dell’esposizione mondiale del 2015. Di questo parlerà Craxi con il vicecanciller suo omologo qui a Caracas e con i governi caraibici, si tratta in tutto di 15 voti (14 paesi del Caricom più Venezuela, ndr) in seno all’Ufficio delle fiere internazionali, organismo dell’Onu con sede a Parigi.


 


Qual è la situazione della cooperazione italiana in Venezuela?


Col Venezuela non c’è cooperazione, perché questo paese ha un Pil pro-capite di 5.500 dollari. Tuttavia qui operano quattro Ong italiane, i cui progetti – tutti a carattere umanitario, quali aiuti ai bambini abbandonati o affetti da Aids o sessualmente sfruttati – sono finanziati dal Mae. Oltre a questo, eravamo arrivati a conclusione di un accordo del valore di 10 milioni di dollari per la ricostruzione dei laboratori dell’Università Simón Bolívar; però il penultimo ministro dell’Istruzione superiore non ha ritenuto di utilizzare questo denaro, per motivi poco chiari. Adesso è arrivato un nuovo ministro, ho proposto di riprendere in mano il discorso e vediamo cosa ci dirà lui. Ho l’impressione che non fossero interessati a sviluppare l’USB, però l’accordo generale era stato fatto in un certo modo e non si può cambiare. Non è che si possono prendere quei dieci milioni di dollari messi insieme per i laboratori dell’USB e farci qualcos’altro, che so, viviendas nel Mato Grosso. I progetti di cooperazione sono specifici, i fondi vanno utilizzati per ciò per cui sono stati concessi. Dobbiamo ringraziare queste Ong, che lavorano qui e che sono l’unico aspetto concreto della cooperazione italiana in Venezuela.


 


ESPROPRIAZIONI


Una precisazione dell’ambasciatore Carante in merito alle cinque torri di proprietà italovenezolana espropriate a Caracas con un decreto del consiglio comunale:


“Stiamo operando con l’alcalde mayor Barreto per cercare un’intesa con le compagnie italovenezolane che hanno avuto degli edifici espropriati. Il sindaco ha istituito una commissione incaricata di cercare questa intesa, starà alle imprese valutare se le offerte che presenterà l’amministrazione comunale siano vantaggiose oppure no, e se ricorrere o meno alle vie legali. Altri problemi specifici nel settore economico non ne vedo. Col governo credo che l’unico contenzioso che non abbiamo risolto è proprio quello dell’Eni. Però, anche qui, il governo di Caracas ci ha assicurato di essere disponibile a discutere la questione a livello politico; sta all’Eni decidere cosa più le convenga, se una soluzione di questo genere o procedere sul piano legale”.


 


 


Ditte e appalti


Il dettaglio su appalti e imprese italiane impegnate in Venezuela è fornito dal consigliere Nicola De Santis, addetto commerciale dell’ambasciata italiana a Caracas.


Ferrovie: le ditte italiane che operano nel settore ferroviario sono Astaldi, Ghella e Impregilo, unite nel consorzio “GEI – Grupo Empresas Italianas”. Si sono aggiudicate la tratta Caracas-Puerto Cabello, lunga poco più di 200 km. I primi 50 km di questa tratta, la Caracas-Cua, sono stati inaugurati in pompa magna da Chávez pochi giorni prima delle elezioni. Adesso resta da completare la tratta Cua-Encrucijada, denominata “Ezequiel Zamora”: si prevede che sarà ultimata per il 2010-2011. LA GEI si è aggiudicata altri due appalti, lungo la direttrice Nord-Sud del paese: quelli per le tratte San Juan de Los Morros-San Fernando de Apure e Chaguaramas-Cabruta. Tutte queste opere si inquadrano nel piano generale per le ferrovie, che punta a dare al Venezuela entro il 2030 una rete ferroviaria ragionevolmente estesa. “Si tratta di appalti molto ricchi – precisa De Santis – ma diluiti in diversi anni”, però “con importanti possibilità di crescita”: sia per la possibilità di aggiudicarsi altre tratte, sia per l’assistenza da fornire sulle tratte esistenti.


Metropolitane: in questo campo opera la ditta CoeClerici, con sede in Venezuela, di proprietà della famiglia italovenezolana Clerici.


Dighe: l’Impregilo è in consorzio con la brasiliana Odebrecht nella costruzione della diga di Tocoma, un appalto del valore di circa un miliardo di dollari.


Sanità: appalti già assegnati a ditte italiane – la GEI più la fiorentina Inso – per la costruzione di due banche del sangue e due ospedali. I venezolani, spiega De Santis, chiedono ospedali “chiavi in mano”, vale a dire che alla consegna devono già essere dotati di apparecchiature mediche e personale. Quest’ultimo punto è il più delicato: in Venezuela c’è scarsità di personale medico, soprattutto nel settore pubblico, dove i salari sono molto bassi (in media, un milione e mezzo di bolivares, al cambio ufficiale 700 dollari). In ogni caso l’Italia si offre di collaborare alla formazione di personale; in questo senso, ci sono diversi accordi in fase di discussione.


Trasporti: “C’è un interessamento delle aziende italiane”, in particolare della Iveco, a collaborare al “piano di trasporto pubblico” annunciato dal governo venezolano, che prevede di sostituire i mezzi esistenti con mezzi a gas non inquinanti. Un progetto ambizioso, che avrà bisogno di migliaia di nuovi autobus ecologici, “campo in cui l’Italia è all’avanguardia”. Diversi mesi fa, Chávez, con parole entusiaste, prospettò l’idea di costruire teleferiche di trasporto pubblico, ad esempio dai barrios di Caracas: si risolverebbe a “costi sostenibili”, spiega De Santis, il problema di dotare di mezzi di trasporto una popolazione che vive in schiere di case tanto fitte da rendere praticamente impossibile trovare lo spazio per una strada, in zone spesso dalle pendenze pronunciatissime (si pensi a Carapita, o a Petare). Un campo, quello delle teleferiche, in cui l’Italia è fortissima; ma su questo punto, al momento – sottolinea De Santis – non c’è nulla di concreto.