Nel cuore di Caracas, nelle strade animate da fiumi di persone, una coppia di conigugi italiani ha speso la sua vita inseguendo il “sogno americano”.Vincenzo Fischietti eAnita Lucci sono sposati da ben 57 anni e da 53 vivono in questo Paese in cerca di fortuna.
“Sono arrivato alla Guaira nel maggio del 1954 sulla nave Castel Bianco. Avevo 27 anni, la mia signora è venuta il 3 novembre del 1956, quando l’ho richiamata in Venezuela con i nostri due bambini. Bisognava emigrare perché in Italia non c’era lavoro, la gente era disperata e si soffriva la fame” racconta lasciandosi trasportare dall’emozione il signor Fischietti
La signora Anita racconta che la famiglia versava in una brutta situazione, era il post guerra e non si riusciva a trovare un lavoro decente. La giovane coppia con i due bambini era costretta a vivere insieme alla madre di lei, cercando di sopravvivere.
“A Castel di Sangro, si era formata una compagnia, una cooperativa per emigrare in Venezuela. Un cugino mio mi ha chiesto se volevo unirmi alla cooperativa. Io ero orfano di padre e madre, avevo solo i miei fratelli e la mia giovane innamorata. Accettai e pagai la quota d’iscrizione di 100 mila lire, che ai tempi era una gran somma, con i quali avrebbero dovuto garantirmi il mio viaggio in Venezuela. Io non avevo tutti quei soldi, stavo aspettando che mi chiamassero dalla polizia, avevo passato tutti i concorsi. Ero già fidanzato con la mia Anita, e mia suocera mi prestò i soldi a patto che mi sposavo prima. Eravamo fidanzati da tre mesi quando, il 1 ottobre ci sposammo. Dovevo partire l’otto ottobre…ma la cooperativa falli, e non fui mai chiamato per partire. Mio cugino era riuscito ad andare, e una volta lì aveva fatto “l’atto di chiamata”(ossia una richiesta per ricongiungimento) per sua moglie e mio fratello Raffaele. Dopo sei mesi mio fratello mi fece l’atto di chiamata e finalmente parti per il Venezuela. Non era facile riuscire a venire qua… c’erano tantissimi problemi…
La suocera firmò delle cambiali e Vincenzo s’imbarcò per il Venezuela.
Costretto a lasciare una moglie con due bambini piccoli, il minore di soli sette mesi. In Italia era panettiere ma qui dovette lavorare per un anno come manovale, vivendo nella pensione della cugina, dormendo in un’ unica camerata con otto letti.
Un paesano amico decide di aprire un panificio e finalmente ritorna a fare il panettiere. Si trasferisce in un’altra pensione più vicina al luogo di lavoro, è il 1955.
I primi segni della fortuna si presentano di lì a poco. Un altro amico siciliano apre un secondo panificio e gli offre di andare a lavorare con lui proponendogli un salario di 18 bolivares settimanali al posto dei 12 che prendeva nell’altro forno, più vitto ed alloggio. Cosi pian piano Vincenzo riesce a mettere da parte un po’ di soldi da mandare alla moglie per finire di pagare le cambiali del biglietto.
A dicembre un altro piccolo colpo di fortuna. “ Giocavo al 5 e
Senza la moglie vicina non aveva senso niente. Con il resto della vincita richiamò la moglie ed i bambini. Bisognava però trovare una sistemazione adeguata ad accogliere la sua giovane sposa ed i suoi piccoli bambini. Vincenzo si fa in quattro ed ottiene una consiergerie. Era solo una piccola stanza ma Vincenzo mise in pratica quanto appreso durante l’anno come manovale e costruisce una seconda stanza chiudendo la terrazza.
“ Lo stipendio che mi davano- racconta la signora Anita- era di 100 bolivares il mese”; decidono di tenere la consiergerie per un anno e mezzo, fin quando non decidono di rilevare una piccola pensione. Il prezzo era di 8 mila bolivares, troppi per il solo Vincenzo. Decide allora di coinvolgere il fratello “ che aveva lavorato per tanti anni come cuoco personale del generale Marcos Pérez Jiménez” ma lui voleva restare a Caucagua dove lavorava come cuoco in un albergo. Per rimediare i soldi che gli mancavano chiese aiuto ad alcuni parenti e riuscì a comprare la pensione. La signora Anita si occupava di gestire i figli e di mandare avanti la pensione, mentre Vincenzo cambiò panificio pur continuando a lavorare come fornaio. La pensione non fruttava molto ma bastava, cosi il sig. Fischietti decide di investire i suoi soldi ed aprire un Caffè biliardo; trovò il locale, in Avenida pantheon, trovò un socio, ma presto rilevò anche l’altra quota e divenne padrone unico. “Con la caduta di Pérez Jiménez, molti italiani andarono via e i guadagni del caffè diminuirono notevolmente” racconta Vincenzo, al quale certo non mancava il senso degli affari. Si rende conto subito, infatti, che il guadagno poteva arrivare togliendo il biliardo e trasformando il cafè in un piccolo ristorantino. Vi era una fabbrica di vestiti lì vicino e le impiegate avevano bisogno di trovare un posto dove mangiare. “ Per sette anni ho tenuto il ristorante, mentre mia moglie lavorava duramente per mantenere la pensione”racconta “poi ho deciso di metterlo in vendita perché stavo male, ero diventato nervoso. Non si guadagnava niente e gli impiegati mi rubavano; addirittura uno dei cuochi si era messo d’accordo con il macellaio e mi facevano pagare la carne ad un prezzo più alto per poi dividersi il ricavato” con un po’ d’amarezza riesce a vendere il ristorante ad uno spagnolo. Dopo sette mesi decide di aprire una Cartolibreria dove vendeva testi scolastici e dischi, sempre in Avenida Pantheon. E’ molto comune tra gli emigrati, l’uso di restare attaccati ad un determinato quartiere, ad una particolare zona, del Paese ospite, come a voler cercare di costruire un po’ la dimensione del “paesino” tipico italiano. Per ritornare nel loro paese d’origine Anita e Vincenzo devono aspettare il luglio del
Dopo una vita spesa in cerca della fortuna, dedicando anima e corpo al lavoro Vincenzo ha bisogno di riposarsi e si rivolge allo stato italiano per chiedere la pensione. Aveva lavorato in Italia, era stato alpino nell’ottavo reggimento de L’Aquila, e scrupolosamente aveva con se tutti i documenti dell’Inps. “ Mi recai all’inas per chiedere aiuto e devo ringraziare la signora Anna Maria Fiore che mi ha dato fiducia e mi ha aiutato a chiedere la pensione che ho ottenuto finalmente nel 1999 e grazie alla quale ora posso passare una vita serena”. Se gli si chiede qual’è il ricordo più bello che ha qui a Caracas la sua risposta è “Nel 1964 abbiamo comprato la casa in cui viviamo… è stata mia moglie a cercarla e a trovarla… Mi ricordo la forza dell’emozione quando la prima sera andai a chiudere la porta e pensai questa è casa mia!” racconta con gli occhi lucidi per l’emozione “Ero riuscito a dare un tetto alla mia famiglia e a comprare un posto dove far crescere i miei figli. Mi sentivo felice.”