Il Maestro Angelo Pagliuca si racconta: storia di un figlio illustre d’Italia

Nel cuore di Caracas esiste un complesso architettonico che sposa l’architettura moderna con l’anima della cultura classica: il teatro Teresa Carreño. E’ qui che incontriamo un uomo che ha speso la sua vita all’insegna dell’amore per l’arte, il Maestro Angelo Pagliuca.


I grandi artisti hanno una caratteristica che li accomuna: i loro occhi, specchio dell’anima, brillano di una strana luce quando parlano del loro grande amore, l’arte. Guardando il Maestro Pagliuca, riconosciamo subito quella purezza d’animo che solo pochi eletti hanno.


Ci guida attraverso il cuore del “Carreño”, fino a raggiungere la sede della “ Orchestra Sinfonica del Venezuela” dove veniamo accolti calorosamente da tutto lo staff.


 


– La passione per la musica è nata quando avevo solo otto anni. Nel mio paese, Montefalcione, in provincia di Avellino, c’è stata sempre la Banda musicale e tutti i ragazzi volevano  apprendere a suonare per potervi far parte. Era un buon trampolino per cominciare la carriera di musicisti. In più, sin da bambino ho sempre amato l’Opera. Passavo tutti i momenti liberi attaccato alla radio – a quei tempi non c’era ancora la televisione, ndr – ad ascoltare  i programmi di musica classica. Inoltre, vivendo vicino Napoli, quando potevo scappavo al San Carlo ad ascoltare le prove dell’orchestra. Non avrei mai pensato di diventare direttore d’orchestra, non avevo grandi velleità. Semplicemente amavo la musica, le emozioni che poteva darmi. Decisi quindi di studiare musica. La parte più difficile per noi musicisti è il solfeggio. Se lo apprendi bene dopo è tutto facile. Avevo un fratello più grande di otto anni, Alfonso, che già era musicista. E’ stato il primo clarinetto solista della banda marziale qui in Venezuela dove venne nel 54. Fu lui ad iniziarmi alla musica. Ma come spesso accade, studiare con un familiare rende la materia più antipatica. Io volevo giocare mentre lui mi bacchetava sempre


                                 Comprensibile, studiare con i parenti  può essere un problema… com’è andata avanti dunque la sua carriera?


– Sono andato a studiare con un maestro e durante l’inverno ho imparato il solfeggio. L’anno dopo ho cominciato a suonare la tromba. Ho suonato fino a tredici anni, dopo di che ho deciso di venire in Venezuela


– Cosa l’ha spinta ad attraversare l’oceano?


– Mio fratello è stato il vero pioniere. Lui era venuto qui a Caracas perchè aveva vinto il concorso per entrare nella “banda marziale” – banda di natura militare, ndr –  ed è diventato primo clarinetto solista, carica che ha mantenuto per circa quarant’anni.  Fu lui ad intercedere con il maestro per me. Spiegò che aveva un fratello piccolo che studiava la tromba in Italia. Mi mandarono a chiamare. Così cominciò la mia avventura in Sud America. A differenza di molti connazionali io avevo già un posto di lavoro ed una famiglia che mi aspettavano.


– Com’è stato il suo inserimento in Venezuela?


– In questo Paese mi sono trovato sempre bene. Considerate che ero molto giovane quando sono arrivato. Ho fatto qui gli studi di bachillerato. Contemporaneamente ho portato avanti lo studio della musica.


– Dove ha completato la formazione artistica?


– Alla scuola Superiore di Musica di Caracas, il conservatorio Josè Angel Lamas. Per pagarmi le spese extra lavoravo part-time come parrucchiere per signore. Avevo un piccolo compleso di  musicisti-parruchieri: molto divertente. Poi sono andato in Indiana, Usa, a studiare con Keith Brown dove ho perfezionato il mio stile. Nel 1972 torno  a Caracas e finalmente entro a far parte dell’Orchestra Sinfonica del Venezuela, come trombonista. Avevo 32 anni.


– Cosa significa per un giovane musicista entrare a far parte dell’Orchestra Sinfonica di un Paese?


– E’ il sogno di tutti noi. Ogni artista sogna di raggiungere il massimo livello. Nel campo della musica Orchestra Sinfonica significa questo. In quegli anni poi, era l’unica orchestra che funzionava. Cosi comincia la mia carriera. Sono diventato primo trombone ed oggi sono Maestro. Essere maestro è una sensazione unica. Tutti i problemi  si  dissolvono quando prendi la bacchetta in mano. Essere il direttore dell’Orchestra Sinfonica del Venezuela, oggi a 78 anni di vita, è un grande onore. Mi sento orgoglioso. La musica è per me la vita.


– Suo figlio Domenico è uno dei più grandi suonatori di trombone del Venezuela. Come si è avvicinato alla musica? Istinto o imposizione di un padre?


– Le racconto un episodio che spiega tutto. Quando era piccolo gli regalai un trombone giocattolo. Quando io studiavo lui  mi si metteva vicino e riproduceva perfettamente ogni mio movimento. C’è un passaggio nella Gazza Ladra – opera di Gioacchino Rossini, ndr – che  lui sapeva eseguire perfettamente a pochissimi anni di età. Una cosa unica. Io non volevo che suonasse il trombone. L’ho iscritto a Violino e lui ha studiato per circa 5 anni. Ma il suo strumento era il trombone e solo quando lo ha iniziato a suonare la sua carriera è decollata. Finite le scuole l’ho portato da Keith Brown, ha studiato  ed ha intrapreso la splendida carriera che ancora porta avanti. Suonando lo stesso strumento ci è capitato piú volte di suonare una accanto all’altro…una bella sensazione.


– Anche il suo secondogenito, Rodolfo,  ha seguito l’amore della musica. Le sue scelte sono state diverse. Che ci racconta di lui?


– E’ un chitarrista rock. Non ho preconcetti, lo ammiro. Suona in un gruppo che si chiama Malanga. Oggi ha 32 anni. Invece il terzo figlio, Riccardo, dopo una prima passione per il violino, si è allontanato dalla musica per dedicarsi alla sua vera passione. È un creativo, ha un’agenzia di pubblicità che va benissimo. Sono fiero di tutti e tre i miei ragazzi.


– La sua vita, professionale e privata, si è sviluppata in Venezuela. Qual è il suo rapporto con l’Italia?


– L’Italia è stata sempre nel mio cuore. Professionalmente cerco di renderle omaggio con un concerto che presento da 14 anni, Italia Sempre, interamente dedicato al Belpaese. Dal punto di vista personale il rapporto è stato più controverso. Inizialmente aspettai 10 anni prima di rientrare in Italia. Adesso invece vado spesso, sia come musicista, sia come italiano. Ma ciò che più mi rende orgoglioso è di poter portare il mio nome italiano in giro per il mondo. Mi sento italiano e sono orgoglioso di esserlo. Di recente abbiamo suonato per Bertinotti all’assemblea Nazionale. Il posto era piccolo e non ho potuto portare tutta la sinfonica, composta da 95 elementi.  Su invito dell’Ambasciatore Venezolano in Italia, Rafael Lacava, abbiamo suonato due classici: “Rose rosse” e “O sole mio”. È stata una cosa grandiosa.


– Quali sono i suoi prossimi progetti?


– Il 14 di febbraio andrò in Italia. Suonerò  il 19 ed il 20 al teatro municipale di Avellino dove eseguirò due Rigoletti. Successivamente andremo in Germania, ma il programma ancora non è definito. Mi piacerebbe riuscire a fare un gemellaggio di musicisti d’opera.


– La sua carriera è stata brillante. C’è ancora qualcosa che sogna il Maestro Pagliuca?


– Si, un grande sogno che non sono ancora riuscito a realizzare è di suonare al San Carlo di Napoli. Li è cominciata la mia passione. Sarebbe come chiudere un cerchio perfetto.


E noi non possiamo che augurare a questo figlio illustre dell’Italia di poter realizzare il suo sogno, più che meritato.


Maria Chiara Nicotra


(28/1/2008)