Una denuncia che amareggia

Paura. E come non averla? Paura di accompagnare i propri figli al giardino d’infanzia o a scuola. Paura di recarsi al lavoro o al mercato. Paura di andare al teatro o al cinema. Paura di uscire da un ristorante o da un Centro Commerciale. Paura anche di stare a casa di amici o nella propria, nonostante l’uscio sia ben chiuso a chiave. Insomma, paura di tutto; ma proprio di tutto. Una paura che ci limita, che condiziona la nostra libertà, che incide nella qualità di vita di tutti noi. Ma, volente e nolente, è questa la realtà che viviamo oggigiorno. E’ il clima che regna in tutto il Venezuela, nella piccola città dall’aspetto provinciale e nella megapoli con la sua immagine cosmopolita. E’, sì, il prodotto della crescita accelerata e della modernità, ma anche dell’apatia e della negligenza con cui per anni si è affrontato il tema della sicurezza. E della violenza che la fa da padrona in ogni angolo del Paese, ne siamo ormai tutti coscienti; “in primis”, stando alle sue ultime dichiarazioni, il ministro degli Interni Ramón Rodriguez Chacín.


Se a Caracas si ha la consapevolezza che si può essere l’ennesima tragica vittima di uno scippo, di una rapina, di un furto o, se più fortunati, di un semplice “sequestro-express”, sequestro che nella stragrande maggioranza dei casi dura appena qualche ora e non viene neanche denunciato alle autorità di polizia; nelle città grandi e piccole dell’Occidente del Paese si è coscienti di vivere ogni giorno nel pericolo di essere vittima del rapimento; rapimento, questo, che non dura un’ora o un giorno ma settimane e mesi e può concludersi tragicamente. Rapimento che trasforma profondamente e per sempre la vita delle vittime e delle loro famiglie.


Non deve sorprendere, quindi, le lettera alla dottoressa Elisabetta Belloni, capo dell’Unità di Crisi della Farnesina. Lettera, questa, firmata da esponenti della nostra Collettività nell’Occidente del Paese. Anzi, se un motivo di sorpresa deve esserci,  questa è per il ritardo con il quale è stato lanciato l’Sos.


La richiesta è la logica conseguenza di un susseguirsi di sequestri che ha visto coinvolti i nostri connazionali: un ispettore della Polizia di Stato esperto antisequestro. Un esperto non “residente” nella capitale, di cui pure c’è bisogno, ma con “dimora fissa” nell’occidente del Paese. Insomma, che faccia capo al Consolato di Maracaibo.


Certo, si ha la consapevolezza, ed è stato più volte ribadito dalla Belloni e anche dagli ambasciatori di turno, che il controllo del territorio è responsabilità unica delle forze di polizia locali. Ma nessuno ha mai affermato che l’esperto antisequestro debba sostituirsi a loro. Il suo compito è un’altro e ben più delicato.


I primi momenti del sequestro, vale la pensa ripeterlo, sono i più difficili, i più critici e, per questo, i più importanti. I primi contatti con i malviventi, per le famiglie delle vittime, sono sempre traumatici. E’ scioccante dover trattare con individui per i quali la vittima è solo una mercanzia di scambio. E’ sconvolgente ascoltare la minaccia di non rivedere più la persona amata o di riaverne il corpo martoriato. E’ qui che diventa indispensabile la presenza del nostro esperto. Una presenza fisica immediata che riesca a stabilire un rapporto di solidarietà. Non è con una telefonata da Caracas che si riesce a rompere il muro della paura, a distruggere la barriera invisibile della diffidenza. E’ l’esperto antisequestro che ha la delicata responsabilità di seguire in prima persona la vicenda; di aiutare e consigliare la famiglia della vittima durante i negoziati con i malviventi; di confortarla con parole di speranza nei momenti di debolezza e di disperazione; di suggerire l’immediata denuncia presso le autorità di polizia locali e fungere da ponte tra queste e la famiglia della vittima. Lo sappiamo, non è una missione facile. E non certo, a nostro avviso, da poter gestire dalla capitale. E’ per questo che si chiede, si sollecita con la lettera che pubblichiamo nella seconda pagina di questa edizione, l’Unità di Crisi perchè assegni a Maracaibo un secondo ispettore: un secondo esperto che possa agire “in loco” e in stretta collaborazione con la polizia locale e con il collega di Caracas.


Nella lettera, poi, oltre alle preoccupazioni delle nostre Collettività di Merida, Táchira e Zulia, delle quali ci siamo fatti più volte interpreti e portavoci, vi è implicita una grave denuncia; una denuncia che ci amareggia; una denuncia che non possiamo ignorare. Si afferma che l’azione dell’ispettore della Polizia di Stato “sarebbe condizionata”, una maniera assai diplomatica per dire “ostacolata”, da “funzionari della nostra Ambasciata”; funzionari le cui gerarchie sono sufficientemente importanti da, appunto, “condizionare” l’attività dell’Ispettore. Se ciò risponde a realtà è grave, gravissimo! Tanto più grave in quanto quel “condizionamento” può rappresentare la differenza tra la vita e la morte; tra il successo o il fallimento del negoziato con i malviventi. E’ un atteggiamento che non si deve assolutamente permettere; che la nostra Collettività non può tollerare. Sarà responsabilità del nostro ambasciatore Maccotta, che ha già dimostrato interesse per le sofferenze dei connazionali vittime di rapimenti, appurare la verità. Insomma, far luce su questa gravissima denuncia. Siamo certi che lo farà senza incertezze, senza esitazioni. La Collettività attende una risposta.