Corsi di formazione, nessuna nuova

CARACAS – Ad agosto, proprio su queste colonne, davamo la notizia: un milione e 900mila euro per Caracas, 600mila per Maracaibo. Risorse che il ministero del Lavoro aveva  predisposto per gli italiani all’estero. Fondi per corsi di formazione dedicati alle seconde generazioni: una platea di potenziali studenti molto ampia.


Gli italiani tra i 18 e i 64 anni sono quasi 60mila, di cui il 50,8% uomini e il 49,2% donne. Una percentuale rilevante svolge attività di lavoro autonomo (circa il 35%), o risulta dipendente del settore pubblico (circa il 15%); pochi sono invece i dipendenti del settore privato (meno del 2%) e gli imprenditori (0,2%). La maggior parte lavora come libero professionista (27%), commerciante o artigiano (32%). Pochi sono i disoccupati, mentre una percentuale non trascurabile è alla ricerca del primo impiego (poco meno del 15%). Proprio a questi i corsi si rivolge. Visti i numeri, i cittadini italiani residenti a Caracas in cerca di occupazione sono un segmento prioritario verso cui il ministero ha deciso di dirigere i propri sforzi. Tutti i progetti dovevano essere presentati da istituti di formazione italiani in parternariato con istituzioni venezolane. Già questo primo punto ha suscitato qualche critica, perché non ribaltare la procedura e permettere agli enti venezolani di organizzare i corsi?  Cosí si otterrebbero i fondi più facilmente. Brucia ancora la bocciatura di due anni fa. L’Ice, capitanato da Tremiterra, aveva strutturato un corso di formazione di ampio respiro. Sarebbero stati beneficiati decine di connazionali, quelli interessati ad occuparsi del commercio estero. Dopo un anno e mezzo il ministero è stato impassibile: nessun fondo, mentre in Argentina tutto è andato decisamente meglio. Da allora è maturata anche una volontà di riscatto. L’obiettivo? Non perdere più altre occasioni, soprattutto adesso che le risorse sono destinate unicamente al Venezuela, e non c’è competizione con gli altri paesi dell’America Latina


Da un’analisi del mercato del lavoro, sono emerse opportunità di interventi formativi in vari settori: industrie petrolifere, agro-alimentari e minerarie c’è poi il settore dell’edilizia, del turismo e dell’artigianato. Settori rivitalizzati dalla crescita economica venezolana, spinta dai petrodollari. Le proposte, questa volta, si dovevano presentare entro il 4 ottobre. Poi sarebbe toccato al Consolato e ai Comites dare un proprio parere, non vincolante ma sicuramente indicativo. Oltre una decine di enti hanno tentato di contribuire con i propri progetti, tra cui la stessa Cavenit o il politecnico di Milano. Quali siano stati i pareri dei Comites e del consolato, mentre la procedura è in corso, non si sa. Quello che è certo sono i risultati che non arrivano, nonostante il termine sia scaduto da oltre sei mesi. Il ministero del Lavoro non brilla per rapidità: ai tempi del progetto Ice c’è stato un anno e mezzo d’attesa, per niente. C’è ancora questo rischio? In realtà sí, nonostante questa volta i fondi siano solo “venezolani”. Come ci confermano dall’Ambasciata italiana, se nessuna proposta avrà i requisiti minimi richiesti dal ministero, il paese si troverà con una sequela di bocciature. Ma è possibile che su dodici progetti, presentati da istituti di tutto rispetto, nessuno sar valido?  Difficile pensarlo. Se quei fondi non dovessero arrivare, saranno stati solo uno specchietto per l’allodole, un’enorme partita di giro: soldi che il Ministero ha predisposto non per gli italiani in Venezuela, ma affinché rimanessero nelle proprie casse.