Massimiliano e Fabio: “Eravamo gli schiavi del 2000”

Le prime grandi emigrazioni italiane verso il sud america sono avvenute durante gli anni delle due guerre mondiali. Si scappava dal disastro, dalla fame, si ricercavano nuovi lidi per ricominciare da zero.


L’emigrazione attuale è fatta da professionisti che lasciano l’Italia per compensi economici maggiori che ottengono negli Stati Uniti o negli emergenti mercati orientali. Chi viene in Sud America lo fa in tarda età per godersi i frutti di anni di lavoro ricercando esotismo, clima favorevole e tranquillità.


Si trova sempre chi rompe le regole, chi esce dalla massa. Chi sente sulle sue spalle il peso dell’angoscia dovuta alla lontananza dagli affetti, soprattutto la possibilità di non vedere crescere la propria figlia. Uno stato d’animo che attanaglierebbe nella morsa del dolore chiunque.


Una sfida: ritornare in Venezuela, remare contro la corrente, contro tutto e tutti, per ricominciare, per riacquistare l’amor proprio, la propria dignità. Una rivincita: la consapevolezza che il Venezuela gli sta dando ciò che l’Italia non gli ha mai dato.


Massimiliano Riccetti ha gli occhi di fuoco, carichi di rabbia e grinta.


– In Venezuela cerco di costruirmi un futuro migliore – ci dice. – In Italia non ho mai avuto il minimo apprezzamento, anzi la minima considerazione. Sul lavoro sono stato sempre un semplice numero, uno da sfruttare.


 


Periodo critico quello che sta attraversando l’Italia, il pensiero di Massimiliano è condiviso da milioni di italiani umiliati dalla crisi lavorativa che sta sfasciando la società e il paese.


– Non sono razzista – afferma. – Non lo sono mai stato. Ma il grande problema attuale è l’immigrazione. Chi arriva dall’estero è disposto ad essere sottopagato pur di lavorare e, almeno io, non riuscivo a competere a causa di un tenore di vita completamente differente.


 


Enorme problema che non affligge solo l’Italia, ma tutta Europa. Mercati aperti e libero scambio, conseguenza nefasta della globalizzazione che i paesi sviluppati non riescono a contrastare.


Conseguenze:


– In Italia ormai con 1.000 euro al mese è impossibile vivere: fitto da pagare, benzina alle stelle, spese varie, una moglie e una figlia. Almeno, io non ce la facevo – commenta con malinconia, consapevole comunque di non essere il solo. –  Così sono stato costretto ad andare via, e tornare in Venezuela. E’ dura, non sto vedendo crescere mia figlia, sono lontano da lei e questo mi angoscia, ma è la realtà.


 


Massimiliano dimostra grande coraggio, da sottolineare se si considera che ha un ricordo negativo del Venezuela.


– Sono arrivato nel 1998, ho vissuto quattro anni e mezzo. Ho sposato una venezolana, con cui ho una figlia e avevo un negozio di articoli per feste.


 


Sembrava che tutto andasse bene. Racconta:


– Ero felice, mi sentivo realizzato sia economicamente che affettivamente, ma una notte fui aggredito sotto casa, fui accoltellato al viso e alla mano.


 


Ennesimo episodio deprecabile a Caracas. Prosegue:


– Rimasi scioccato, presi un forte esaurimento, ero impaurito, così decisi di tornare in Italia .


 


E da lì inizia il calvario di Massimiliano.


– Tornai con la mia famiglia – spiega. – Ovviamente dovevo cercare lavoro, ma avevo 35 anni e c’erano ben poche possibilità lavorative a Roma. Così ho dovuto accettare compromessi e disagi enormi.


 


Un duro risveglio, dalla serenità economica in Venezuela, alla dura vita in Italia da precario.


– Tra colleghi ironizzavamo, ci definivamo gli schiavi del 2000 – commenta. – Avrei tanto da raccontare, ma non posso farlo perché chi lavora ancora lì ha famiglia e perderebbe il lavoro, ma ho tanta rabbia dentro che farei nomi e cognomi.


 


Non li può fare, non è mai stata fatta la denuncia; ma la sua storia e quella di tante altre persone ce la racconta ugualmente.


– Io ho lavorato nel settore dei trasporti. Un mondo sporco, quasi un feudo dove poche persone, le cooperative, sfruttano i lavoratori – un sospiro e approfondisce il suo pensiero. – Le grandi aziende del settore dei trasporti non riescono a gestire tutti i lavoratori che hanno, così affidano questa gestione a delle cooperative che in teoria dovrebbero fare gli interessi dei lavoratori. Ma non è così. In primis non sei in regola: non hai contributi versati, assicurazione sul lavoro, non ti vengono pagati gli straordinari, non hai nessun diritto; ma non è finita qui. Chi vuole lavorare per loro deve comprare il furgone e intestarlo alla cooperativa stessa, non ha nessun rimborso spese e ti obbligano a lavorare 11-12 ore al giorno perché devi consegnare tutti i pacchi che ti vengono affidati.


 


Sembrerebbe già molto per definire questa situazione scandalosa, ma Massimiliano ha altro da dirci:


– Sullo stipendio ti trattengono il 20%, questo serve alla cooperativa per coprire le spese in caso di furto o smarrimento dei pacchi, e non hai nessuna possibilità di controbattere, ci sono tanti immigrati clandestini che lavorano nelle cooperative e se alzi la testa ti minacciano dicendoti che avrebbero trovato qualcun altro.


 


– Nessuno ha mai denunciato il fatto?


 


– Mai – conferma Massimiliano. – C’è tanta paura. Abbiamo esposto il problema ai sindacati e all’Inps, ma la risposta è stata agghiacciante: sappiamo che le cooperative funzionano così, non ci possiamo fare niente.


 


Non c’erano altre soluzioni se non quella di andare via.


– La situazione era drammatica – prosegue col suo racconto. – Il rapporto con mia moglie ne risentiva e si stava deteriorando. Non ero mai a casa. Quando tornavo ero distrutto e sempre nervoso, lavoro in giro non si trovava. Così sono tornato qui e ricomincio da zero a 40 anni con la grande amarezza di essere lontano da mia figlia.


 


Massimiliano in questa sua nuova avventura in Venezuela non è solo, divide lavoro e appartamento con un amico di Roma arrivato a Margarita con lui.


Fabio Riolo è alla sua prima esperienza in Venezuela ed è la prima volta che approda in America Latina. Le storie personali sono ovviamente diverse, ma comuni sotto certi aspetti.


– Prima di approdare a Margarita – ci dice – ero conducente di auto da nolleggio, le NCC.


 


La situazione in questo settore non differisce molto da ciò che ha raccontato Massimiliano.


 


– Io percorrevo in media 600 km lavorando 12 ore al giorno, quando la legge italiana impone ai conducenti di guidare per non più di 6 ore consecutive:  prima irregolarità. Inoltre ero un oggetto misterioso, lavoravo a nero, senza nessun tipo di assicurazione. La gravità della cosa è che ufficialmente chi guidava l’auto non ero io, ma un’altra persona regolarmente registrata che  faceva altro o magari se ne stava a casa.  Ovviamente questa persona era onnisciente in quanto figurava non solo al posto mio ma anche di altri ragazzi che lavoravano per questa società. Immagini se facevo un incidente…


 


Anche qui nessuna denuncia e la sensazione di essere impotenti.


– Sono inattaccabili, super protetti e potenti c’è poco da fare – afferma. – Hai solo due opzioni: accettare le regole di questo mondo o non farne parte, come un Matrix. Io ho deciso di staccare la connessione e sono venuto qui.


 


Fabio è “recién llegado”.


– Sono arrivato il 12 febbraio di quest anno – ma già ha le idee chiare sul paese e sulle sue prospettive: – Il Venezuela è un paese forte, ci sono poche regole e devi prestare molta attenzione in ogni cosa che fai. Puoi fidarti di poche persone, purtroppo hai la sensazione che non sei protetto da nessuno, nemmeno dalle forze dell’ordine. Nonostante ciò si vive bene e se hai voglia di lavorare questo paese ti offre tanto.


 


Passati differenti, storie simili, ma su una cosa hanno una risposta comune:


– Il Venezuela ci sta dando l’occasione che abbiamo sempre inseguito con fatica nella nostra vita: siamo soddisfatti, felici, non siamo più frustrati, ma appagati e sereni. Lavoriamo con voglia e passione, ma soprattutto vediamo i frutti dei nostri sacrifici crescere giorno dopo giorno.


 


In fondo è come sedersi su un tavolo di poker, chiamare l’All-In e aspettare che il croupier giri le cinque carte per vedere se hai vinto.


Difficile ricominciare a 40 anni, ma loro hanno sbancato il tavolo.