Onu: “Con la crisi a rischio 30 milioni di posti”

Roma – Il Fondo Monetario Internazionale taglia le stime della crescita e certifica una crisi economica che non ha precedenti dal secondo dopoguerra ad oggi: a livello globale il pil 2009 si fermerà allo 0,5 per cento per riprendersi al 3 per cento l’anno prossimo; per l’Italia sarà negativo anche nel 2010, -0,1 per cento, dopo il crollo previsto per l’anno in corso, -2,1 per cento.


Charles Collyns, vice capo economista del Fondo Monetario Internazionale, vede per l’Italia un futuro a tinte fosche: il pil “continua a contrarsi” e il Paese ha fatto il suo ingresso in questa crisi globale “in una posizione già estremamente debole’’. L’Italia “ora è colpita da un crollo nell’export e rispetto ad altri paesi ha uno spazio molto limitato di reagire con stimoli fiscali’’. Per questo, prosegue Collyns, “siamo particolarmente preoccupati per l’Italia e vediamo il bisogno di riforme fondamentali e strutturali anche una volta usciti da questa crisi globale’’.Intanto, i costi potenziali della crisi salgono a 2200 mld, quasi raddoppiati rispetto ai 1.400 stimati in ottobre. Gli aggiornamenti del World Economic Outlook, da una parte, e del Global Financial Stability Report, dall’altra, lanciano un allarme circostanziato, con il sistema finanziario che resta ancora “sotto forte stress’’, “deprimendo” l’economia reale, trascinata “in acque inesplorate”.


E l’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro), nel Rapporto annuale sull’occupazione, lancia l’allarme:allarme: sono a rischio, nel mondo, fino a 30 milioni di posti di lavoro nel 2009. La crisi economica globale, secondo lo studio, farà lievitare il numero di disoccupati e dei lavoratori che si trovano in condizioni di debolezza e povertà. Rispetto al 2007, quest’anno si dovrebbero contare tra i 18 e i 30 milioni di senza lavoro in più, con un tasso di disoccupazione compreso tra il 6,1 per cento e il 6,5 per4 cento, contro il 5,7 per cento di due anni fa.


Non solo. Se lo scenario economico mondiale dovesse continuare a peggiorare, il numero di lavoratori che perderebbero il posto potrebbe arrivare a 50 milioni e il livello di disoccupazione raggiungere il 7,1 per cento. E almeno 200 milioni di lavoratori in più, soprattutto nelle economie in via di sviluppo, verserebbero in condizioni di povertà estrema. I lavoratori poveri, infatti, potrebbero arrivare a sfiorare la metà del totale di occupati.


– Il messaggio dell’Ilo – afferma il direttore generale, Juan Somavia – è realistico, non allarmistico. Stiamo fronteggiando una crisi mondiale dell’occupazione. Molti governi ne sono consapevoli e stanno reagendo, ma serve un’azione internazionale più incisiva e coordinata rispetto al pericolo di una recessione sociale globale.


Somavia ribadisce, quindi, l’importanza del programma dell’Ilo per promuovere un ‘lavoro decente’ come antidoto contro la crisi globale.


Nel 2008, le aree che continuano a registrare i più elevati livelli di disoccupazione sono il Nord Africa e il Medio Oriente, rispettivamente con il 10,3 per cento e il 9,4 per cento, seguite dall’Europa centrale e sud-orientale e dai paesi del Commonwealth con l’8,8 per cento, dall’Africa sub-sahariana con il 7,9 per cento e dall’America Latina con il 7,3 per cento. Il tasso più basso, invece, ancora una volta, si segnala in Asia orientale con il 3,8 per cento, seguita dall’Asia meridionale e sud-orientale e dall’area del Pacifico, rispettivamente con il 5,4 per cento e il 5,7 per cento.


 


E sono tre regioni asiatiche ad aver contribuito per ben il 57 per cento alla creazione di occupazione mondiale nel 2008. Mentre nelle economie sviluppate e nell’Unione europea la creazione di occupazione ha evidenziato segno negativo, con 900mila posti in meno. In queste aree, infatti, si è verificato il più ampio incremento del tasso di disoccupazione regionale rispetto al 2007 (dal 5,7 per cento al 6,4 per cento) e i senza lavoro hanno raggiunto nel 2008 i 32,3 milioni, pari a 3,5 milioni in più in un anno. Ma è nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia meridionale che le condizioni di lavoro sono peggiori e si osserva la maggiore percentuale di lavoratori poveri, pari ai quattro quinti degli occupati.