Xenofobia, un mostro che si risveglia

Xenofobia, razzismo, insofferenza. Si aveva la certezza che le tragiche esperienze vissute nel secolo scorso avessero lasciato una profonda cicatrice nella coscienza umana. Una traccia capace di insegnare il cammino verso la tolleranza e la convivenza. Invece…


Venezuela, Italia, Inghilterra. Realtà così lontane e, allo stesso tempo, tanto vicine. La cronaca di questi giorni le accomuna in vicende che non fanno onore; vicende, si credeva, ormai impossibili in nazioni civili, in società sviluppate. Eppure…


L’intolleranza etnico-religiosa, in Venezuela, ha assunto toni che, appena qualche settimana fa, erano impensabili. Nessuno dubita che l’immagine della sofferenza dei bambini palestinesi, vittime della violenza e dei bombardamenti dell’esercito israeliano, offende la dignità dell’essere umano. Né ci possiamo sottrarre dalla solidarietà spontanea, quasi automatica, verso il popolo palestinese costretto a vivere a Gaza, una striscia di sabbia trasformata in un immenso “lager”. Ma la speranza che un giorno, in quel lembo di terra, israeliani e palestinesi possano trovare finalmente la pace smarrita nel labirinto degli odi non può essere cancellata di colpo da manifestazioni di intolleranza che sfociano in azioni a cui stentiamo a credere; azioni nelle quali la società civile venezolana fortunatamente non si riconosce. Quanto accaduto nella Sinagoga di Caracas offende chi crede nella convivenza civile, nella protesta pacifica e rispettosa della fede altrui. Una cosa è contestare le azioni violente degli eserciti contro coloro che lottano per una patria, ed un’altra è assistere alla violenza contro un luogo di culto religioso senza reagire. Tollerare azioni del genere è rivivere la “notte dei cristalli”, anticamera agli anni bui del nazifascismo; nazifascismo che tanto censura il Governo attuale.


La società italiana, così come quella venezolana, vive un momento particolarmente difficile. La crisi economica, la disoccupazione, il precariato rappresentano un terreno fertile per chi predica la xenofobia e la violenza. I discorsi della Lega Nord, che criminalizzano l’immigrazione facendo credere che in essa risiedono i tanti mali della società italiana, coltivano il seme dell’odio. Odio, questo, che si esprime non già nella rabbia dei cittadini di Guidonia, e nel loro tentativo di linciaggio del “branco” reo della violenza su una giovane coppia indifesa, ma nel pestaggio dell’immigrante indiano, al quale poi è stato dato fuoco. Di cosa si accusava l’immigrante che ora giace in gravissime condizioni in uno degli ospedali italiani? Semplicemente di non aver trovato nel Belpaese l’Eldorado ch’è nei sogni di chi lascia la propria terra in cerca di un futuro migliore. Qual è la differenza tra l’immigrante indiano, ora in fin di vita, ed i tanti italiani venduti nel secolo scorso per una manciata di carbone? Quale la diversità tra i nostri morti nei cunicoli delle miniere del Belgio e le sofferenze e l’umiliazione dei connazionali negli Stati Uniti Joseph McCarthy e i tanti immigrati sbarcati a Lampedusa? Nessuna. Sono storie di vita parallele, di epoche diverse. Storie che oggi si ripetono per nostro sgomento. L’Italia, fortunatamente, non è quella che attribuisce all’immigrante le responsabilità per l’insicurezza, per la precarietà nel lavoro, per la mancanza di occupazione o per la carenza di posti letto negli ospedali. L’Italia, quella ch’è rimasta scolpita nei ricordi di chi vive all’estero, quella in cui tutti noi vorremo vivere, quella di cui andiamo orgogliosi non è la stessa di chi predica il razzismo, la discriminazione religiosa o, addirittura, la differenza incolmabile tra le regioni del paese.


Sorprende che ció accada in pieno secolo XXI. Ci riporta indietro negli anni, quando la nostra emigrazione era detestata, disprezzata ed umiliata in molti paesi di accoglienza. Anche quella storia oggi si ripete. Anzi, continua. Lo sciopero degli inglesi contro i lavoratori italiani, subito censurato dal Primo Ministro Brown, ci dipinge una realtà inquietante, in cui la crisi inasprisce gli animi e a volte trasforma la solidarietà della “classe operaia” in rivalità. In Inghilterra, come d’altronde nel resto del mondo, la recessione è ormai una realtà. Ma ció non è colpa dei lavoratori italiani. Se vi sono responsabilità da attribuire, semmai, è alla carenza di previsione nelle politiche economiche di chi ha avuto ed ha tutt’oggi il potere di decidere.


E’ compito di chi governa predicare la tolleranza e la comprensione. Quando si viene meno a queste responsabilità, allora ha il sopravvento chi semina odio. E oggi purtroppo l’Italia, il Venezuela e l’Inghilterra non ne sono esenti.