“Ognuno è l’unico responsabile di tutto”

Silenzio, un profondo silenzio, come quello che può contenere un deserto anche se, forse, ancora troppo rumoroso. Silenzio della libertà, quella profonda, quella vera, quella che è conosciuta come conoscenza e quindi come responsabilità, come dovere.
L’essere atei non vuol dire non avere fede, ma non avere religione e considerare questa scelta né un merito o demerito, ma semplicemente un dato di fatto. Questo ci fa nemici delle differenti deità che percorrono le culture di tutti i Paesi? Ci riesce difficile crederlo. Vivendo la cultura e i canoni occidentali, il nostro punto di riferimento è il mondo cristiano ma non solo ad esso ci si rivolge.
Il libero arbitrio, ossia la possibilità di scelta, detto in termini forzosamente semplici, tra il bene ed il male e la condizione poi, per chi ha fede o l’ha incontrata, di emendare il proprio peccato. A noi, che non siamo “sperti” di teologia, ci fa pensare che per arrivare a dio è necessario anche sbagliare o se preferite peccare. E’ il sentire la nostra debolezza umana che ci obbliga a confrontare il nostro esistere con il nostro credere o visione del mondo e vederne così le contraddizioni. E affrontare le contraddizioni, secondo quella facoltà che è qualcosa di più del libero arbitrio ossia il diritto ad essere liberi, significa sopratutto essere liberi di sbagliare.
“Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti” recita una canzone. Nella sua ironia ci mostra un lato umano dell’uomo, forse il più importante quello, che a volte, sceglie deliberatamente di sbagliare. Non di errare senza coscienza ma con la lucidità, per nulla folle, che ci accompagna giornalmente. Un esempio: quanto costa rispettare un semaforo rosso, per non parlare delle strisce pedonali, oramai segnali intraducibili di una civiltà scomparsa, e non ci sono né leggi né multe che ci fermino. Non citiamo nemmeno l’idea di rispettare l’altro, in quanto desueta. Ed è questo il punto, non ci sono leggi che possano imporre il rispetto ad una piuttosto che ad un’altra forma di religione o di vedere il mondo. Ma ci devono essere leggi che portino al rispetto d’ognuna. E’ costruire una società dove lo Stato abbia la funzione di garantire la libertà di svolgere la propria vita secondo il credere, sia laico o religioso di ciascuno, e sottoporlo, proprio perché il mondo non è fatto di una sola forma di religiosità, alle scelte che gli impone la sua fede.
Un altro esempio: un ateo può non vedere nulla di sacro nel matrimonio, allora decide di sposarsi e poi divorziare e vivere in pace con se stesso. Chi è cattolico o di qualunque altra religione che consideri il matrimonio un vincolo sacro, se decide di sposarsi fa una scelta, in questa prospettiva, molto differente da quella di un ateo. E’ carica certamente di responsabilità spirituali e valori che ne fanno un “contratto” davvero grande spiritualmente. La possibilità che offre lo stato di divorziare rompe il vincolo dell’uomo religioso, inteso come persona che vive la fede, con il suo dio e le “leggi” impostegli dalla propria religione? Ci sembra difficile che un dono di dio possa essere messo in pericolo da una legge degli uomini.
Pensiamo ad una definizione dello scrivere del sacerdote Don Milani: “L’arte dello scrivere è la religione. Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo si intuiscono e le fa trovare a noi e agli altri. Per cui essere maestro, essere sacerdote, essere cristiano, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.
Questo è il punto: esprimere il pensiero e capire il pensiero altrui è l’amore, ovvero permettere a tutti di vivere la propria libertà. Comprendere, quindi, anche il pensiero di non voler vivere attraverso una macchina o dei tubi. Non un invito allo sbaglio o al peccato ma alla coscienza, come ricorda ancora Don Milani: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è d’obbedirla”. Dovranno osservare le leggi “quando sono giuste, cioè quando sono la forza del debole”, dovranno invece “battersi perché siano cambiate” quando non lo sono. Con il voto, lo sciopero e influendo “con la parola e con l’esempio”. Se serve, arrivando a “violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che prevede”. Perché “chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l’anarchico”. Dunque bisogna “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene fare scudo né davanti agli uomini, né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.