Dai mobili di “caoba”alle piantagioni di caffè

CARACAS – “La vita è un’illusione che gira nella mente e la mente stessa, talvolta, ti dà l’opportunità di trasformare il sogno in realtà” ci dice  Claudio De Fla­viano. E le sue parole sembrano perfettamente sotto­titolare lo scorrere dei suoi giorni da quando lasciò l’Italia per sbarcare in Ve­nezuela e diventare, con gli anni, responsabile dell’impresa Alimentos CDF, dedita principalmente alla produzione e lavorazione di caffè e cacao.


“Dal caffè si possono ottenere biocarburanti”, “Il caffè è un ottimo stimolante sessuale per donne”, “Bere tre tazzine di caffè riduce il rischio di malattie cardio­vascolari”. Questi i titoli di alcuni articoli che Claudio ha inserito nel sito web della sua attività (http://alimentoscdf.com/portal/) per spronare potenziali acquirenti. Perché è un imprenditore. Ma è anche un italiano classe 1949, quella dei primi anni del dopoguerra.


“Sono l’italiano del sacrificio, l’italiano della ricostruzione” ci dice.


E, come molti in quegli anni, è un italiano che ha detto “arrivederci” all’Italia.


“Lasciai un paesino nella provincia di Teramo con mia madre, mio fratello e le mie due sorelle. Decidemmo di raggiungere mio padre che, insieme ad altri italiani, era emigrato in Venezuela appena finita la seconda guerra mondiale”.


E’ il 1965 quando Claudio sbarca in America Latina.


“Come ogni emigrante inizialmente ho fatto un po’ di tutto – racconta -. Poi mi sono sposato con un’italiana di Avellino, anche lei figlia di emigranti, ed ho conosciuto mio suocero, maestro falegname. Insieme creammo una ditta nel settore del mobilificio”.


Ma la vita, si sa, riserva sorprese impreviste. E Claudio, da operatore del mobile diventa coltivatore di caffè.


“Un amico filippino, che doveva lasciare il Vene­zuela, mi ha affidato una piantagione di caffè di 25 ettari e così, quasi per scherzo, è iniziata la mia attività”.


A Claudio il nuovo lavoro piace, adora “essere circondato dalla natura, dall’ambiente tropicale e dalla vegetazione sana”. Decide quin­di di ampliarsi affittando altri 25 ettari di terra. E, nel frattempo, si gode la solarità del Venezuela, l’accoglienza della sua gente.


“Gli emigranti qui sono sempre stati accettati molto bene. Sembrava essere diffusa la convinzione dell’utilità di ciascuno e della necessità della convivenza pacifica. Raramente ci sono state tensioni xenofobe o razziste tra i venezolani e le genti d’oltreoceano – ci dice – e l’integrazione della colonia italiana non è stata problematica. Forse perché – ci spiega – l’italiano è l’emigrante pensante, trasparente, lavoratore. Non è quello dei soprusi e degli sfruttamenti economici. E’ quello che porta sul volto il sacrificio e le lacrime che ha sofferto in silenzio quan­do ha dovuto lasciare la patria e la famiglia”.


A fine anni ’80 tutti i familiari di Carlo tornano in Italia. Ma lui decide di non lasciare il Paese.


“Io e mia moglie decidemmo di far crescere qui, ad Aca­­­rigua, nello Stato Portu­guesa, i nostri tre figli” ci racconta.


E’ a questo punto che le parole di Carlo tradiscono il sentimento di un cuore spaccato tra due continenti divisi dal mare. E raccontano la storia di un uomo che, come si definisce lo stesso Claudio, “continua la vita dell’emigrante classico che non ha dimenticato la sua terra”.


“L’obiettivo dell’emigrante non è quello di arricchirsi, ma quello di accumulare i risparmi sufficienti per ritornare nel proprio Paese. Perché ritornare in Italia è il sogno di tutti noi italiani all’estero” dichiara. E continua:


“In famiglia parlo sempre la mia lingua d’origine e mi piace pranzare all’italiana. Sia io che i miei figli abbiamo l’Italia nel cuore, e l’italianità è sempre dentro di me”.


Racconta che i suoi figli hanno voluto frequentare università italiane e ci dice che, con loro, visiti spessissimo la famiglia in Italia. Claudio, inoltre, è stato an­che uno speaker all’italiana.


“Negli anni Settanta – racconta – ho creato un programma radio, ‘Direttis­sima’, destinato ai miei connazionali in Venezuela. Fino al 1995, oltre ad approfondire notizie e cercare di trasmettere i valori del Belpaese, ho fatto conoscere la musica italiana, che è il nostro vero patrimonio culturale”. 


Claudio, anche ora che avrebbe la possibilità, non vuole lasciare il Venezuela.


“La mia vita è un gioco che purtroppo scorre troppo velocemente. Ed ormai, dopo tanti anni, qui mi sento comodo. Mi sono pienamente e felicemente integrato al sistema, al modo di vivere venezolano” confessa. Ma, come ci confida rammaricato, i tempi sono cambiati.


“Già dagli anni ’60 – ’70 stava mutando l’andamento del Paese, anche economicamente. E gli italiani hanno saputo dare un contributo sostanziale al Vene­zuela, alla sua crescita ed al suo cambiamento. Sono stati un beneficio. Siamo andati avanti per poi, adesso, tornare indietro”.


M.V.