SPECIALE FUTURISMO – Jamar 14: il genio scoperto da Marinetti

Sognavano una democrazia nazionalista e libertaria, proclamavano “oggi comanda la poesia” volevano portare gli artisti e la fantasia al potere e diedero inizio ad uno stile di rivolta politica destinato ad avere molti eredi, fra i ribelli del Novecento. Erano i Futuristi. Così Emilio Gentile ritratta a grandi linee l’avvento del Futurismo e la pubblicazione del Manifesto Futurista avvenuta il 20 febbraio del 1909 sul giornale “Le Figaro” in Francia. Ed è un preambolo fondamentale per capire il futurista Jamar14 (acronimo di Maria 14), al secolo Piero Gigli, eroe della grande guerra. Aveva conquistato da solo tre trincee nemiche, riportando ferite gravissime. Dato per morto ed insignito della medaglia d’oro al valore e poi, poichè rimasto miracolosamente in vita, “degradato” all’argento: “Papà ci rimase male. Chiese d’intercedere presso Mussolini per riavere la sua medaglia d’oro, ma il Duce gli fece sapere che 50, in quel momento, erano i vivi con la medaglia d’oro, e il numero 51 si vedeva brutto. Era l’estetica della perfezione numerica del Fascio, per cui bisognava accontentarsi di quella d’argento. Papà la considerò un’offesa”. A ricordare questo aneddoto è la figlia di Jamar 14, Gigliola Gigli, da 50 anni  residente in Venezuela. Ha gli occhi vispi, nonostante gli anni e gli acciacchi.


“Fu in ospedale dove Papà conobbe Marinetti che era solito passare a visitare ‘a gran velocità’ i feriti della guerra. Un giorno si  fermò di colpo di fronte al letto di mio padre ed iniziò, tra la sorpresa degli astanti, un lungo colloquio con l’artista ferito”. Le visite tra i due s’intensificarono e la conversione al Futurismo fu per Gigli quasi immediata.


“Jamar 14, papà scelse questo nome d’arte per ricordare Maria, sua madre, e la data della sua nascita, il 14 maggio del 1897, e la sua rinascita, il 14 maggio del 1917 quando seppe che si sarebbe salvato. Sintesi di questa vicenda la tavola libera: ABBANDONO + MIRACOLO.


Lo stesso Jamar 14 racconta e spiega nei suoi appunti anche quali erano i sogni  che accompagnarono gli aderenti ai “fasci combattenti”, all’inizio non più di 130 persone: “Giovane, non potevo che essere anarchico ed eretico. Gli articoli di Papini furono il mio primo latte”. Su queste premesse l’incontro con Marinetti sembrava proprio inevitabile visto che nel primo manifesto politico futurista Marinetti scrisse: “Noi futuristi invochiamo da tutti i giovani una lotta ad oltranza  contro i candidati che patteggiano coi vecchi e coi preti”.


Nonostante il padre l’avesse fatto iscrivere alla scuola d’agraria, fin da bambino lo instradò al mondo dell’arte e della pittura in particolare: “Il mio primo incontro con la pittura risale al 1911. Fu mio padre a lanciarmici. Fu un orgia di colori e di immagini. Avevo 13 anni; da allora ne sono passati più di cinquanta… Uscii sotto un sole accecante stregato. E la carica dura ancora”. Si legge nei suoi appunti.


Gigliola Gigli con i suoi lineamenti che ancora fanno intravedere non solo la bella donna che è stata in gioventù, ma anche la “meraviglia” dello sguardo di chi ha vissuto in un mondo di artisti tra i duri colpi della guerra, racconta tra orgoglio e malinconia: “Papà fu un fascista della prima ora, di quelli che però credevano di poter cambiare il mondo non di conquistarlo, vedeva la guerra come un futurista, ossia l’unica possibilità di un cambiamento radicale del mondo, ma odiava la violenza. Una notte quando due squadristi attaccarono per strada un presunto socialista non indugiò, e sfoderò la pistola per mettere in fuga i picchiatori”.


Jamar 14 scrisse poesie futuriste, ‘parole in libertà’ e ‘tavole parole libere’ pubblicate sulla rivista “L’Italia Futurista”.


Creò la rivista “Il Montello”, gli illustratori erano Mario Sironi, Achille Funi, Carlo Carrà ( di cui ha lasciato un’analisi molto significativa in Dialoghi dell’incontro, Incontro con Carrà), Sinopico ed altri. Fu amico di Ada Negri, Eva Amendola, Sibilla Aleramo, Luigi Russolo, Fortunato Depero, Balla e De Chirico.


“Ricordo – continua Gigliola Gigli – che mio padre si era fatto uno studio futurista di cui aveva disegnato tutto dai mobili all’arredo. Quella stanza mi faceva paura, c’erano due mascheroni di legno con gli occhi che brillavano, che mi incutevano terrore e poi tutte le sedie erano belle a vedersi ma in qualunque posizione c’era sempre uno spuntone, lanciato verso l’alto, verso il futuro, che le rendevano molto scomode però belle a vedersi. Quando ristrutturammo la casa decidemmo eliminare lo studio. Fu un errore. All’epoca futurismo era sinonimo di fascismo e a nessuno interessavano quegli oggetti”.


Istigato da Marinetti scrisse  “Gli amori della donna idropica”, un breve romanzo comico che Jamar 14 lesse nella “Serata Futurista Jamar” alla galleria Moretti di Genova: “Quando la lessi a Marinetti egli urlò: Sei un genio. E’ un capolavoro – poi  non senza ironia scrive nei suoi appunti- Caro Marinetti, scopritore di geni!”. La serata suscitò scalpore e le donne se ne andarono offese come riportano i giornali dell’epoca.


Dopo aver vagato per mezza Italia spinto dalla famiglia ritorna a Finale Emilia, per laurearsi in Agraria ma in verità continuò l’attività letteraria, le sue poesie vengono pubblicate sulla “Nuova Antologia”  e quella politica.


Nel maggio del 1943 disse chiaro e tondo in una riunione con Mussolini quello che pensava dello stato, della nazione e della guerra: “Papà sempre ricordava che tutti si alzarono e gli batterono le mani e si complimentarono per aver avuto il coraggio di dire la verità. Sulla strada del ritorno venne arrestato e passò due mesi in carcere per poi “autoesiliarsi a Finale”.


Per Jamar 14 fu la fine del “Sogno Futurista” di cambiare il mondo, che lui come molti altri italiani ed intellettuali avevano visto incarnato nel Duce. Dedicherà il resto della propria vita alla poesia dialettale e alla critica d’arte.


Così scrive in uno dei suoi poemi intitolato:


Mediocrità


Mediocre è la mia misura umana


lontano il tempo dei propositi eroici


Sognare il colore scarlatto


e adagiarsi nel grigio.


Uno fra milioni di pellegrini


sulle strade del mondo,


senza orifiamma e corona d’alloro.


 


“Il più bel ricordo di mio padre fu quando, un giorno, mentre  scriveva sulla carta da pacchi, mi chiamò e mi disse di leggere. Era la lettera di risposta alla richiesta di sposarmi da parte di mio marito. Mi guardò sorridendo e mi chiese ‘gli dico di sì o di no?”. Era così un padre rigido come il fascismo richiedeva e tenero, sensibile ed ironico come un papà futurista.