Il poeta navigante

CARACAS – “I soldi, invece di consumarli, li ho usati per pubblicare le mie poesie”. Così Vincenzo Di Marzo parla di una passione che ha portato avanti per tutta la vita: la scrittura.


Oltre, infatti, ad essere stato il creatore dell’impresa di pubblicità Style e ad essere padre di tre figli: i famosi musicisti Yordano e Evio Di Marzo e Gioia, Vincenzo si definisce come “un’artista inventato” e un “navigante dei mari”.


“Quando ho conosciuto mia moglie a Roma – spiega con sguardo sognante – lei era un’artista nata ed io no. Ho dovuto forgiarmi da solo come artista, così da giovane ho iniziato a scrivere per vivere ed essere qualcuno”.


Vincenzo racconta senza muoversi come ha tentato di assaporare ogni attimo della vita come un personaggio: con ambizione e sicurezza. Quando aveva cinquanta anni ha intrapreso, infatti, il giro del mondo in veliero “per realizzare se stesso”.


“Avevo tre figli grandi e la mia impresa era grande e solida. La gente che lavorava per me era parte del mio cervello, avevo già inventato tutto… – poi dice scherzando – avevo perfino inventato i clienti! – fa una pausa prima di dire in un unico respiro – Allora ho deciso di partire per un Viaggio”.


Rispetto all’intero tragitto non vi è stato un posto in particolare che meritava una speciale attenzione. Secondo Vicenzo tutto dipende da come uno vive e riesce a cogliere la bellezza dei luoghi che attraversa, senza dimenticare i pericoli reali che ha dovuto affrontare con i suoi compagni di viaggio.


“Ho scelto di partire in barca perché volevo vivere l’emozione della navigazione. Ciò che mi è rimasto dentro è il Mare”.


Oggi a 86 anni compiuti ha vissuto la maggior parte della sua vita in Venezuela, perciò ha sempre scritto e tuttora scrive i suoi poemi sia in italiano che in spagnolo. Rispetto al sentimento di appartenenza a un paese, Vincenzo commenta:


“Ho imparato le norme e le consuetudini del luogo in cui sono stato accolto e cercato di conoscere l’anima del Venezuela. Penso, dopo tanti anni, di essere riuscito a possedere un po’ di ‘venezolanità’. I miei figli sono cresciuti senza ombra di dubbio impregnati nella cultura venezolana. Ho cercato a modo mio di portare qui la cultura italiana e latina, e in cambio il Venezuela mi ha regalato la sua vitalità. Sarò sempre italiano nel senso di conservare dentro di me la cultura italiana”.


“Gli italiani arrivati in Venezuela negli anni ’50 come me – sostiene Vincenzo in merito alla nostra collettività – sono stati una generazione di mezzo. Una generazione in lotta fra rimanere italiani ed essere assorbiti dal Venezuela – poi conclude voltando lo sguardo – ormai non esiste più Quella collettività. Le persone vengono meno a poco a poco ed, essendo il Venezuela un paese d’integrazione fra residenti e immigrati, i figli e i nipoti sono venezolani con origini italiane”.


Riguardo a quell’amore che ha vissuto tutta la vita, la poesia, Vincenzo spiega che ha scelto di scrivere secondo la metrica “Haiku” perché: “Il lettore diventa attore ed è partecipe del verso. Anche se è molto difficile trasmettere le emozioni in soli tre versi, vale la pena tentare di comprimerle, senza spiegarle, in 17 sillabe”.


“La poesia: o la vivi, o la senti, o la soffri – dice commuovendosi fino alle lacrime mentre ricorda la sua giovinezza – se non lo sai fare: non vivi”.


“Io ho vissuto vivendo un poema”.