Testamento biologico: Diritto alla morte e Dovere di vivere

CARACAS – A Roma, prove di dialogo sul testamento biologico: il Pdl ha riformulato il disegno di legge dichiarandosi disposto ad accogliere proposte dell’opposizione.


Gli emendamenti presentati dal relatore Raffaele Calabrò si presentano con un primo articolo dal titolo “tutela della vita e della salute” che, tra le altre cose, reintroduce le cure palliative, e con un secondo che istituisce il registro nazionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Si garantisce inoltre che “in condizioni di morte prevista come imminente, il medico possa astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura”.


Esprime perplessità Donatella Poretti, segretario della commissione Sanità del Senato, secondo la quale “la vera apertura sarebbe stato dire che le volontà della persona devono essere vincolanti per il medico”. Questo poco dopo che la commissione Affari costituzionali aveva auspicato un miglior ‘bilanciamento’ tra il diritto alla vita e il diritto all’autodeterminazione del paziente.


 


Ma se, invece del diritto alla vita, si parlasse di ‘diritto alla morte’ contro il ‘dovere di vivere’? E se il diritto all’autodeterminazione, sancito dalla Costituzione italiana, fosse valido anche per coloro che sono momentaneamente incapaci di esprimere la propria volontà?


In questo senso il testamento biologico si presenterebbe come strumento perfetto, in grado di garantire il rispetto delle volontà in materia di trattamento medico anche quando non si è in grado di comunicarle. In uno stato di lucidità mentale ci si potrebbe esprimere in merito alle terapie che s’intendono o non s’intendono accettare nell’eventualità in cui ci si dovesse trovare nella condizione di incapacità di esprimersi a causa di lesioni cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con sistemi artificiali che impediscono una normale vita di relazione.


 


E qui l’opinione pubblica si spacca. Sfera laica contro sfera religiosa, modernità contro tradizione, il ‘lasciateli morire’ contro il ‘non uccideteli’. Ma questa spaccatura si apre in un deserto di confusione. E quindi, prima di tutto, è da ribadire la differenza tra il concetto di eutanasia e quello di testamento biologico.


Il primo prevede la possibilità, da vivi, di pretendere una morte già annunciata. E’ la “buona morte” dell’eroe grego che sfidava il tempo morendo senza invecchiare o decadere. Il secondo mette invece in campo l’accettazione di una morte che è naturalmente già dentro di noi e che viene bandita da strumentazioni mediche moderne. Nel primo caso ‘si vuole’ la morte, nel secondo ‘la si accoglie’. Non la si cerca, non la si procura. Si pronuncia solo un dolce “vieni”. Non un ‘fatemi morire’, quindi, ma un ‘lasciatemi morire come la natura ha stabilito’.


In scena quindi le pluriutilizzate definizioni di ‘natura’ e ‘contronatura’, sbandierate come baluardi del bene e del male, parametri del giusto e dell’errore, della regola e della trasgressione peccaminosa. La natura è per la vita, si dice. Ma è vero?


 


Ci sono cose che vanno contronatura molto più dell’omosessualità, cose che solo gli uomini riescono a fare, come avere una religione o dormire in pigiama” diceva il professor Enquist.


Con il testamento biologico s’inciampa in una possibile massima della stessa tipologia. Infatti, chi davanti alla ‘richiesta di accogliere la morte’ difende il ‘diritto alla vita’ come effetto del ‘libero corso della natura’, non pensa che in realtà ogni cura è ‘contronatura’, mentre ogni malattia è ‘naturale’. Il sondino che teneva in vita Eluana Englaro era contronatura. La morte sopraggiunta dopo la  sospensione degli interventi medici era naturale. E così avanti. Noi – non la natura – abbiamo deciso che vogliamo un mondo dove tutti vivano quanto più a lungo possibile, quanto più sanamente possibile. Abbiamo provato il mal di denti ed il fastidio di non vedere bene, ed abbiamo inventato dentiere ed occhiali. I regolatori naturali contro la crescita illimitata dell’umanità, malattie e guerre, si sono voluti combattere: si lotta contro le spontanee epidemie; se le donne morivano di parto e i bambini dopo pochi attimi dalla nascita, abbiamo deciso per innaturali farmaci ed il taglio cesareo; se la legge dell’homo homini lupus trovava attuazione nella guerra, abbiamo risolto ‘culturalmente ed antinaturalmente’, non sempre purtroppo, con la legge di una convivenza pacifica. Ci siamo vestiti, ci siamo privati di piaceri carnali.


Chi difende la natura dovrebbe debellare tutto questo. Ed avvicinarsi alla naturalissima spirale di morte che l’accompagna. Una bella contraddizione etica: un mortifero rispetto per la “vita naturale”, difeso soprattutto dalla stessa Chiesa che, nell’articolo 2278 del suo Catecismo, recita che “l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate ai risultati attesi può essere legittima. Non si vuole procurare la morte, si accetta solo di non poterla impedire”. E ancora, “la morte è semplicemente prevista e tollerata come inevitabile”. La Chiesa è intrisa di valori che devono essere rinnovati. La mentalità è arretrata e non al passo con i cambiamenti di coscienza che sono avvenuti nella società” comenta la nota attrice Gioia Arismendi.


 


Naturale o no, decidere tra il “continuare a vivere” ed il “accettare di morire”, divide le coscienze. E, come ci dice il ventottenne Fabio Donato, insegnante, “la decisione di un singolo o di un gruppo di persone, sia esso il Parlamento o la Chiesa, non può valere come criterio universale. Questo dibattito etico è legato ad un concetto, quello di morte, in riferimento al quale nessuno, neppure i filosofi che hanno scritto e pensato molto, detiene la verità”. Tutti noi insomma, proprio perchè vediamo nell’esistenza quanto di più privato e personale possediamo, dobbiamo poter avere facoltà di scelta. Questo lo scopo del testamento biologico, il potere di decisione.


Come ci dice il programmatore ventitreenne Antonio Taormina: “Credo che ognuno debba avere la libertà di scegliere come morire. Non capisco perché la legge debba mettersi in mezzo a cose strettamente personali, soggettive”. E continua:


“Io per esempio sceglierei di morire qualora fossi affetto da una malattia estremamente debilitante. Mia madre invece la pensa al contrario. Combatte da diversi anni con un cancro al sistema linfatico. E per me è terribile vederla consumarsi lentamente”.


 


Gli italiani in Venezuela, con i dovuti distinguo, sono favorevoli ad istituzionalizzare il testamento biologico.


“Dovrebbe essere un documento legale, inviolabile, perchè ognuno deve scegliere della propria vita” ci dice la ballerina Estefani Catalani, 30 anni. Con lei anche la studentessa Marina Smith, 15 anni, convinta che sia “giusto riconoscere il testamento biologico perchè ognuno ha una propria visione e bisogna rispettare la volontà dell’individuo”. E ammonisce: “Ricordiamoci del libero arbitrio”.


Una libertà, quella del testamento biologico, che trascende le opinioni personali di ognuno. Perchè se Estefani preferirebbe “lasciarsi morire” solo immaginando di “svegliarsi un giorno senza mani e piedi, dopo aver investito una vita nella cura della propria immagine, come nel caso della modella brasiliana”, Marina si domanda: “Se oggi le macchine possono fare ciò che la natura non riesce a fare, perché lasciarsi morire? Io credo che, finchè c’è la speranza di tornare ad avere una vita, anche se limitata o dipendente da una macchina, sia giusto lottare”. “Credo che tutti dovrebbero fare, in piena coscienza, il testamento biologico” decreta Gioia Arismendi.


La commerciante 54enne Inda Brando, anche lei, con qualche timore, è a favore del testamento biologico:


“Credo sia giusto renderlo un documento con valore legale ma bisogna star attenti a non esagerare” ci dice. E si oppone all’innaturale accanimento terapeutico che allontana la morte, proprio richiamandosi alla religione: “Bisogna rispettare la volontà di Dio. Nel caso di Euana – spiega – se non ci fossero state le macchine a mantenerla in vita, sarebbe morta 17 anni fa. Ed allora a che pro tanta tortura? Capisco l’uso di macchinari per situazioni meno gravi, con una prospettiva di recupero, di ritorno ad una situazione vitale. Non altrimenti”.


 


Molti nella nostra Collettività sottolineano l’assurda politicizzazione di quei casi che, come per Eluana Englaro, hanno riportato alla luce il tema del testamento biologico. “In Italia è tutto un fatto politico e burocratico – commenta il biologo Andrea Fazio, 26enne -. E’ incredibile. Bisogna firmare un documento per scegliere di morire invece di passare una vita soffrendo. Comunque se serve per prevenirmi dal diventare un oggetto politico, come nel caso di Eluana, allora ben venga il testamento biologico”.


Commenta la studentessa Sofia Lari:


“Eluana aveva fatto testamento biologico quando, ai genitori, aveva detto che preferiva morire piuttosto che vivere in stato di coma irreversibile. Quindi, senza tante politicizzazioni, sia fatta la sua volontà!”. L’opinione di Gioia Arismendi è sulla stessa linea:


“Se Eluana aveva detto di preferire la morte ad una ‘non vita’ come quella che ha dovuto sopportare, io credo si dovrebbero seguire le sue direttive. Forse, credeva che quella che poi l’ha imprigionata fosse una vita senza dignità”.


Polemica anche la posizione dell’antropologo Carlos Ferri:


“Ritengo assurdo che una questione come questa venga discussa in Parlamento. E’ interessante notare – continua – come i politici si stiano sempre più comportando come gli ‘idioti’ nel senso classico del termine. Infatti l’idiótes, in latino, era colui che pensava solo alla sfera privata, in contrasto con il politico che invece si dedicava alla sfera pubblica. Per questo, i politici che che oggi vogliono occuparsi del privato io li chiamerei idioti”.


 


Prima di alcuni noti casi mediatici, Welby e Eluana in testa, non si parlava molto di testamento biologico. E così, oggi, sono molte le famiglie a dover prendersi cura di figli, mariti, mogli, nipoti, in stato di coma irreversibile. E senza un precedente testamento biologico.


Di queste famiglie, la nostra Comunità non si dimentica:


“Ritengo scioccante che la gente non accetti che una persona voglia morire in tranquillità togliendo, anche, un grande peso alla propria famiglia” ci dice Carlos Ferri. “Io sono completamente d’accordo con la decisione presa dai genitori di Eluana – opina Gioia Arismendi -. La sua situazione è un tragico stato permanente senza via d’uscita, senza speranze, senza possibilità di vita. Inoltre, un peso economico, sociale e soprattutto sentimentale per la famiglia che la deve accudire ogni giorno, costantemente”.


“Si dovrebbe aprire un dibattito sul come stabilire chi siano le persone ‘vicine’ al paziente” suggerisce Fabio Donato. Ma, il più delle volte, gli italovenezolani credono che, più che spose e mariti, siano i genitori a dover decidere le sorti di un figlio, nel caso questo non abbia espresso volontà antecedenti.


“Dopo la persona stessa le uniche persone ad aver diritto a decidere sono i genitori, perché sono coloro che ti hanno dato la vita” sostiene Estefani Catalani. Con lei Sofia Lari: “Credo che siano la madre ed il padre di una persona a dover decidere in casi simili”.


Oltre ai vertici del potere temporale e spirituale che alternano le grida, i pazienti ed i famigliari, non ci si deve dimenticare di quei medici che, nel giuramento di Ippocrate, promettevano di lottare per la vita.


“Si può essere d’accordo o meno sull’accanimento terapeutico – ci dice Fabio Donato – ma non bisogna chiudere i medici nella morsa dell’obiezione o della non obiezione di coscienza. La missione del medico è combattere la morte e quando questa gli viene richiesta da parenti o persone vicine al paziente, si rischia di far sentire un medico un assassino. E’ questo il pericolo che si corre quando si eleva a dibattito universale la divisione tra la vita e la morte, in cui chi è per la morte viene considerato contro la vita”.


Monica Vistali