La donna vista attraverso la pittura

CARACAS – “La donna bella, giovane, disponibile e a letto. Così la vuole l’uomo e l’ho dipinta nel mio quadro”. Queste le parole di Silvana Di Marzo mentre mostra uno dei suoi dipinti nell’atelier che definisce “il mio paradiso”.


Una donna dal carattere forte che ha saputo tener testa tutta la vita al marito e ‘poeta navigante’ Vincenzo Di Marzo, di cui La Voce ha pubblicato le strofe.


Gli occhi vispi come quelli di una ragazzina esprimono vivacità di spirito. A più di ottanta anni i suoi pensieri sorprendono infatti per modernità e anticonformismo. Silvana dipinge quasi tutti i giorni nell’immenso salone luminoso adibito per volontà della figlia ad atelier. L’artista integrale, oltre a dipingere, suona il pianoforte mentre il marito l’ascolta.


“Ho avuto due grandi amori nella vita – spiega la bella signora dal viso in cui ogni lentiggine parla -: i miei figli e l’arte. Ho amato sia la pittura, la scultura, la danza che la musica”.


Quest’amore l’ha anche trasmesso ai figli. D’altronde i primi due sono i noti cantautori Yordano e Evio Di Marzo.


Mentre cammina per il salone, in cui sono appesi i suoi quadri e le sculture sono poggiate su dei piedistalli, spiega ogni sua opera d’arte cercando di comunicare allo spettatore ciò che lei ha provato dipingendolo.


Oltre al quadro della donna nuda a letto, ve ne è un altro che, secondo Silvana, rappresenta bene la relazione tra i due sessi.


“Questo è uno dei miei preferiti – afferma sicura di quello che dice -: la donna ha appoggiata sul braccio una palla in perfetto equilibrio. Per la moderazione, la stabilità e la costanza della donna, lei non fa nulla e la palla rimane perfettamente al suo posto con il filo che vola libero sopra. L’uomo invece deve tener il filo dritto con forza, deve infatti imparare a reggere la palla”.


Nei suoi quadri, senza contare i ritratti di coloro che hanno più contato nella sua vita, i tre figli, predomina la figura della donna. Una donna a volte pensierosa, a volte provocatrice, a volte ballerina dei mari, a volte sfuggevole alla comprensione dell’uomo, a volte sola.


Le migliori sculture si trovano nel giardino della casa con vista sulle colline sempre verdi di Caracas. Mentre il vento fa frusciare le fronde del mango e dell’albero di caffé piantati dal marito, Silvana si aggira fra le sue opere e le tocca lievemente con le dita.


Ve ne sono due che colpiscono particolarmente: ‘La lacrima dell’universo’ e ‘La foglia’. La prima rappresenta il pianto dell’umanità causato dalle oscenità che lei stessa produce. Il secondo, spiega Silvana, è nato dallo stupore provato per la bellezza e la semplicità della caduta di una foglia che si ciondolava nel vento in un pomeriggio autunnale di New York. Il movimento ondulatorio e a spirale terminava solo quando la foglia raggiungeva la terra, da cui era sorto l’albero che le aveva dato vita.


Silvana ha cominciato a dipingere da bambina, a 19 anni aveva già cominciato a lavorare facendo degli schizzi. Ha dato lezione di educazione artistica in varie scuole medie mentre il marito Vincenzo faceva il direttore. Arrivata in Venezuela si è iscritta a una scuola d’arte ma non è stata accettata nel corso di pittura.


“Mi sono iscritta allora in scultura ed è stata una fortuna! Ho scoperto infatti quanto la scultura si addiceva al mio animo e mi dava la possibilità di esprimere delle sensazioni difficili da comunicare attraverso la pittura”.


Sono state poche le opere vendute da Silvana, anche se ha svolto più di un’esposizione a Caracas. “Da un lato ho avuto sfortuna a non vendere – dice riflettendo mentre sorseggia un caffé ristretto -, dall’altro ho vissuto l’arte per l’arte senza cercare una remunerazione”.


Ciò ovviamente è stato possibile poiché il marito, oltre ad essere poeta, ha lavorato tutta la vita gestendo un’impresa di cartelloni pubblicitari.


La storia dell’emigrazione di Silvana è particolare. E’ infatti partita per fuggire dalla sua famiglia e dal conformismo della borghesia romana.


Nata nel pieno centro storico di Roma (Trastevere), dalla capitale era scappata con l’allora fidanzato Vincenzo. A Torino avevano vissuto in un “buco di stanzetta pienamenti immersi nell’ambiente bohemien”.


“Lì abbiamo tirato avanti – racconta mentre tiene vari pennelli di tutti gli spessori fra le mani – e non ci importava dei bacarozzi in stanza: l’importante era stare insieme!”.


Dopo la prima fuga da casa nel Nord Italia, la giovane coppia Di Marzo aveva allora deciso di allontanarsi ancora di più dalla vita prestabilita e monotona che aspettava loro a Roma. Aveva deciso di Partire per un viaggio.


La scelta del Venezuela e non di un altro paese è stata totalmente casuale:


“Avevo visto un film messicano che aveva una colonna sonora splendida – conclude l’artista che si lascia trasportare dai sentimenti, mentre fa scorrere i ricordi dinanzi ai suoi occhi lucidi -. Volevo ascoltare quella musica nella mia quotidianità! Alla fine non è stato possibile il Messico e siamo finiti in Venezuela. Mi piace questo paese, ma sono tuttora arrabbiata per non essere mai più andata in Messico”.


 


Barbara Meo Evoli