Sequestri: fondamentale il contributo della Collettività

 


CARACAS – “E’ fondamentale il contributo della nostra Collettività. In questo momento, la Comunità è vittima della delinquenza; ma può trasformarsi nella componente essenziale capace di dare una svolta determinante in chiave di prevenzione e di collaborazione. Questo, a mio avviso, è il concetto fondamentale che va sottolineato”. Chiaro, prudente ma non schivo. Non evita le domande ed è preciso nelle risposte. E’ il dottor Carlo Mazza, vice Questore aggiunto della Polizia di Stato della Direzione Centrale dei Servizi Anti­droga. Un poliziotto, come ama definirsi, “prestato alla diplomazia”. Ed, in effetti, è il responsabile dell’ufficio antidroga della nostra Ambasciata. Un incarico, nel contesto attuale, assai delicato.


Il sequestro un problema grave?  Indubbiamente. La nostra Collettività è tra le più colpite? Purtroppo si. Il dottor Mazza non ha inconvenienti nell’ammettere quanto sia preoccupante il fenomeno che vive il Paese. Ma la sua è una lettura degli avvenimenti in chiave ottimista; una lettura dettata dalla consapevolezza che il fenomeno può essere sconfitto, come lo è stato in Ita­lia.


– L’esperienza che l’Italia ha in materia è molto importante – sottolinea -. Negli anni ’70 e ’80 è riuscita a sradicare un fenomeno che aveva raggiunto livelli molto simili a quelli del Venezuela. E lo ha fatto perché si è dotata di una normativa efficace, accompagnata dallo sviluppo di tecniche investigative efficienti.


– La normativa italiana, mi corregga se sbaglio, si basa sul “blocco dei beni”. Questa  non limita la libertà dei cittadini?


– Sicuramente è uno strumento invasivo – ammette senza indugi -. Incide nella libertà dei famigliari della vittima. Ma non deve interpretarsi co­me uno strumento di tortura.


Spiega che il “blocco dei be­ni”, per essere realmente ef­ficace, deve essere accompagnato “da un atteggiamento costruttivo e collaborativo dei famigliari”. E precisa:


– Il fine quindi, è che i delinquenti non possano raggiungere il loro scopo: l’arricchimento illecito. Il sequestro con proposito di estorsione ha un obiettivo: il guadagno. Il “blocco dei beni”, quindi, fa sì che i malviventi non possano raggiungerlo. Comunque, per essere realmente efficace, occorre che la famiglia della vittima non lo consideri un ulteriore strumento di pressione. E’ necessaria la maggiore collaborazione possibile.


 


L’Esperto Antisequestro


Paura di perdere la persona amata, terrore di commettere errori,diffidenza nei confronti di tutti coloro che non si conoscono, desiderio di collaborare e necessità di una voce amica, di una parola di conforto. Sentimenti opposti che s’intrecciano creando tanta confusione e incertezza. Ecco, questo è il drammatico e complesso contesto in cui opera il nostro esperto antisequestro. Ma qual è la sua funzione? Cosa ci si deve o ci si può aspettare? Quali sono i suoi limiti, i confini oltre i quali non può spa­ziare?


– Quella dell’ispettore antise­questri che opera in Venezuela – spiega il Vice Questore Aggiunto – è un’attività delicata, il cui ruolo è quel­­­lo di agevolare l’opera­ti­vità delle Forze dell’ordine. Come? Fornendo loro tutti gli elementi informativi utili alle indagini; promuovendo la partecipazione ed il contributo dei famigliari della vittima. Ed è questo un aspetto importantissimo.


Senza denuncia non c’è indagine. Questa, infatti, ha inizio dal momento in cui le Forze dell’ordine vengono messe al corrente dell’avvenuto rapimento. Le prime ore sono le più importanti, a volte quelle determinanti. E’ per questo che risulta essenziale rompere ogni indugio, vincere la diffidenza, non cedere alla paura e mettersi immediatamente in contatto con la polizia.


– L’impegno dell’esperto – prosegue – è imprescindibile in questo particolare momento. E’ sua responsabilità convincere i famigliari della vittima, che dispongono di tutte le informazioni, a collaborare. L’­esperto, che ha maturato un bagaglio di conoscenze ed esperienze durante molti anni, offre il suo contributo, il suo aiuto. Suggerisce tecniche investigative e promuove l’impiego di tecnologie particolari.


Riconosce che in un momento così drammatico, di tanta confusione, paura e rabbia, risulta difficile all’esperto antisequestro dire cosa fare ai famigliari delle vittime.


– Gli agenti della polizia – sottolinea – hanno bisogno di concentrare i loro sforzi in una unica direzione. Devono avere un solo avversario contro cui impegnarsi. Nei momenti susseguenti il sequestro è fondamentale avere la certezza che la famiglia del rapito abbia detto tutto ciò che sa, che non abbia nascosto nulla. E’ una corsa contro il tempo. Nessuno deve mettere “i bastoni tra le ruote”. Insomma, non devono essere adottati comportamenti che possano ostacolare e compromettere l’opera investigativa della polizia.


– Se l’esperto antisequestro, nonostante la famiglia non presenti denuncia e desideri mantenere il massimo riserbo sull’avvenuto rapimento della persona cara, ne viene ugual­mente a conoscenza, cosa deve fare? Quale deve essere il suo comportamento?


– Non ha istituzionalmente alcun potere che possa obbligare il connazionale a denunciare la scomparsa della persona – risponde preciso.


– Qual è allora l’approccio corretto in queste circostanze?


Ci dice che non esiste una procedura codificata. Quindi, l’approccio “è un contributo a 360 gradi alla soluzione del problema”. Puntualizza:


– Stiamo in Venezuela. Si rispettano le leggi del Paese. La funzione dell’esperto è quella di contribuire alla soluzione del problema nei termini già descritti. E’ chiaro che se viene a conoscenza di un atto criminale, di un sequestro non denunciato, può cercare di sensibilizzare la famiglia della vittima affinché si rivolga alla polizia. Lo può fare. E’ evidente che è nell’interesse di tutti che lo faccia. Ma, ripeto, non esiste una procedura che lo obblighi ad un atteggiamento piuttosto che ad un altro. Dipende dalla sensibilità degli attori. Sottolinea: la funzione principale dell’esperto è quella di fare da ponte tra la famiglia della vittima e la polizia.


 


Fiducia


nella polizia


Non un foglio fuori posto. Nella scrivania regna l’ordine: poche cartelle, la tastiera e lo schermo del computer, il telefono, il cellulare ed alcune biro. Alle spalle una macchina per distruggere i documenti ed a lato, adagiata su un mo­bile, la stampante-fax. Sulla parete, il ritratto del Presidente Napolitano ed un “affi­che” allusivo a 25 anni di lotta antidroga. In un angolo le bandiere dell’Italia e dell’­Unione Europea. Se è vero che il luogo di lavoro riflette la nostra personalità, allora l’ufficio del vice Questore aggiunto Mazza ci mostra un funzionario di polizia metodico e preciso.


Corso di formazione? Professori e alunni? Ne l’uno, ne l’altro. Meglio parlare di scambio di esperienze tra colleghi che hanno tanta professionalità e competenza. E’ questo, in pratica, ciò che hanno fatto gli esperti della Polizia di Stato e dell’Interpol che hanno interagito con i colleghi del Venezuela.


– Parlare di istruzione – commenta il dottor Mazza – può andare bene in un contesto scolastico. In questo caso, però, parliamo di poliziotti che hanno una altissima competenza. Parliamo, quindi, di professionisti che si scambiano impressioni ed esperienze. E’ impensabile poter trasfondere una professionalità su esperti che hanno la sensibilità del proprio Paese. Un poliziotto italiano non può pensare di fornire la bacchetta magica al collega venezolano che conosce meglio di qualsiasi altro il proprio  Paese e le sue proble­matiche sociali.


Si domanda quali risultati avrà l’iniziativa voluta dall’Ambasciata d’Italia e l’Unità di Crisi del ministero degli Esteri per poi rispondersi:


– Senz’altro quello di far capire ai colleghi venezolani che esistono strumenti investigativi particolarmente efficaci per agevolare loro il lavoro e persuaderli che in Italia siamo arrivati a sconfiggere la piaga del sequestro; una realtà molto simile a quella del Vene­zuela, con il contributo di tutti gli attori di scena.


 


Incontro con la Collettività


 


CARACAS – Gli incontri con la Collettività sono avvenuti a Caracas e a Maracaibo. I timori espressi, sempre gli stessi: preoccupazione per il clima di insicurezza che si vive nel Paese, paura per il dilagare del fenomeno dei sequestri, diffidenza nei confronti delle Forze dell’Ordine locali, interesse nelle misure di prevenzione. Così gli esperti della polizia italiana, in Vene­zuela per partecipare ai corsi di formazione organizzati per i colleghi delle Forze dell’Ordine locali, hanno avuto modo di rispondere direttamente ai quesiti postigli dalla nostra Comunità. A dire la verità, ci si attendeva un pubblico ben più numeroso. Ma è evidente che, nonostante cresca tra noi la coscienza che tutti ormai siamo obiettivi potenziali dei malviventi, resta ancora assai radicata l’idea che le vittime dei sequestri siano sempre facoltosi industriali. Insomma, si continua ad ignorare, co­­­me lo struzzo che mette la testa sotto terra, quanto avviene accanto a noi. Ed a ripetere: “a me non accadrà mai”, per poi affermare con amarezza: “non pensavo potesse accadere anche a me”. E le notizie che purtroppo con troppa frequenza si pubblicano anche nelle pagine della Voce, ne sono triste testimonianza.


Giunti a Caracas per tenere il corso di formazione in materia di lotta ai sequestri di persone, destinato a funzionari delle Forze dell’Ordine locali, Andrea Grassi, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato della Polizia Scientifica della Direzione Centrale Anticrimine, direttore reggente della Prima Divisione della Polizia Scientifica; Renato Pavino, Vice Questore dirigente della Squadra Mobile di Reggio Calabra; Andrea Maiora­ni, capitano dei Carabinieri e direttore della Sezione dell’Inter­pol a Roma; Simone D’Erme, della Sezione dell’Interpol a Roma, accompagnati dal nostro Ambasciatore, Luigi Maccotta, dall’incaricato dell’Ufficio Anti­droga della nostra Ambasciata, Vice questore aggiunto Claudio Mazza, e dall’esperto antise­questro , ispettore Gianluca Ro­ta­tori, hanno ascoltato con attenzione ognuno degli interventi dei presenti. In particolare, assai emotivo è stato quello dell’avvocatessa Teresina Giusti­niano, che proprio il giorno precedente aveva vissuto ore di angoscia per il sequestro di un carissimo famigliare; sequestro risolto fortunatamente in poche ore grazie all’intervento tem­pestivo delle Forze dell’Ordine  sollecitate anche dall’­ispet­­­tore Rotatori. Proprio a quest’ultimo sono state rivolte parole sentite di riconoscimento e ringraziamento dell’avvocatessa; ringraziamento per il suo immediato intervento ma anche per la pazienza mostrata e per le parole di conforto che l’hanno aiutata a superare il drammatico momento. In risposta, con modestia, l’ispettore Rota­tori sot­­­tolineava come quella sentita manifestazione di apprezzo rappresentasse la maggior soddisfazione che può ricevere chi, nella vita, si dedica a proteggere il prossimo.


Gli esperti inviati dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e dall’Interpol italiana hanno spiegato ai presenti che, pur nel contesto di una preparazione diversa, hanno avuto modo di riscontrare nei colleghi ve­ne­zolani una elevata professionalità, così come la coscienza e la conoscenza del fenomeno delinquenziale.


– Non siamo venuti per fornire ricette – ha spiegato il vice-Questore aggiunto della Polizia di Stato, Andrea Grassi -. Abbiamo raccontato le nostre tecniche ad una platea molto interessata.


Ha poi sottolineato che “il crimine non si combatte con il panico ma armonizzando leggi e realtà”. Ha quindi fatto riferimento al “blocco dei beni”, una misura in Italia osteggiata ma che ha permesso alla lunga di sconfiggere la malavita.


– Al corso – ha quindi affermato – hanno partecipato 55 colleghi che hanno manifestato tanto interesse.


A chi chiedeva consigli per evitare di essere vittima dei delinquenti è stato raccomandato di evitare atteggiamenti ripetitivi, di non ostentare ricchezze, quando si hanno, e di non indugiare nel denunciare il sequestro alle autorità di polizia. Ed infatti, l’esperienza insegna che l’opportuna denuncia permette alle forze dell’ordine il tempestivo intervento, molte volte risolutore.


L’Ambasciatore Maccotta, questa volta nella veste di padre di un giovane di 12 anni più che in quella di diplomatico, si faceva eco della preoccupazione dei connazionali presenti e manifestava soddisfazione per la presenza dei funzionari delle forze di polizia italiane e, soprattutto, per il successo del corso da loro tenuto.


Speriamo che, a questa, seguano altre iniziative mirate a contribuire alla lotta contro la criminalità organizzata o no.


 


 


 


Ruoli e responsabilità


 


 


Esperto antidroga ed esperto antisequestro. Non solo ruoli ma anche responsabilità diverse.


L’esperto antidroga è una figura contemplata dall’ordinamento giuridico del Ministero degli Affari Esteri. Ed infatti è previsto che possono entrare nei ruoli diplomatici figure prese “in prestito” dalla pubblica amministrazione. Queste, com’è ovvio, devono avere una qualifica e competenza specifiche per le quali il ministero non ha esponenti propri.


La figura dell’esperto, quindi, spazia in campi diversi. Nel caso di quello antidroga, è di riferimento il funzionario o l’ufficiale che opera all’interno della Direzione Antidroga del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. E’, quindi, un poliziotto prestato alla diplomazia. Ed assume la qualifica diplomatica. Per rientrare in questa categoria occorre superare un “iter” procedurale non semplice. Richiede la firma dei Direttori Generali degli Esteri, dell’Interno e del Tesoro. E’ un percorso che può durare mesi.


L’Esperto antisequestro, invece, è una figura “sui generis” inventata per il caso specifico del Venezuela. Non rientra nella categoria diplomatica ed è alle dipendenze funzionali dell’Unità di Crisi. Non è un funzionario di polizia “prestato alla diplomazia” ma una sorta di ufficiale di collegamento.


L’ufficio antisequestro permanente, che non esiste nelle altre sedi diplomatiche italiane, in Venezuela svolge un ruolo assai delicato e risponde ad una realtà che, si spera, possa essere  modificata in un futuro prossimo.