Campanella e la fusione in bronzo. Quando l’artigianato diventa arte

CARACAS – Biagio Campanella in terra venezolana è l’artigiano prediletto dagli scultori. Nella sua bottega, la sua “amata fonderia artistica” come usa chiamarla, sono passate tutte le opere di Victor Valera, Pedemonte, Harry Abend, Pizzo, Carlos Prada… e naturalmente Cornelis Zitman e Marisol, che da subito lo elessero fonditore personale dei loro lavori.


Lo scultore-fonditore è nato nel 1922 ed i segni del tempo sono evidenti. “La mia aspirazione è sempre stata quella di essere un bravo scultore e non perdo la speranza” confidava ad un giornalista nel lontano 1976. Oggi, a molti anni di distanza, generoso di parole dal sapore di bilancio esistenziale, confessa alla ‘Voce’ la consapevolezza di “aver contribuito più come fonditore per opere di altri artisti che come scultore”. Nel raccontarsi mostra umile fierezza e non riesce a nascondere i rimpianti. “Credo di non essere un grande scultore” ci dice con rammaricata consapevolezza.


Su quelle “linee figurative con un alito di astrazaione e poesia”, come l’artista stesso definisce la sua scultura, le opinioni si scontrano.  


C’è chi lascia impolverare le sue opere nel dimenticatoio, c’è chi ancora non riesce a trovare un posto adatto per quella statua in arenaria rossa donata dall’artista stesso al Centro Italiano venezolano, lasciandola abbandonata a sè stessa. Ma a chi non gli riconosce un talento significativo fa da contraltare quell’ottobre 1957 in cui, al Museo di Arte contemporanea di Caracas dove alcuni amici italiani avevano organizzato per lui un’esposizione, Campanella riscosse un successo tale da meritargli anche la cattedra alla Scuola di Arte Plastica Cristobal Rojas, che conservò gelosamente per più di trent’anni.


Nel suo percorso artistico, inoltre, non mancano premi e riconoscimenti. A Caracas in particolare, un suo “Cristo” comprato da Monsignor Raghezza fa capolino al San Pietro della città.


Una significativa notorietà, lontana però dai livelli cui Campanella aspirava. Comiso, il paesello siciliano che gli ha dato i natali, è terra d’artisti. Vanta una lunga tradizione di scultori, artigiani, scalpellini che Campanella ha custodito nel cuore. Fu l’aria del suo paese a spingerlo alle Belle Arti di Napoli, prima, e di Firenze poi. E proprio a Firenze, nella bottega del maestro Romanelli dove per vivere lavorava il marmo, il siciliano apprende l’arte della fusione in bronzo.


“Erano anni difficili per gli artisti e così decisi d’emigrare in Svizzera con altri scultori, in cerca di lavoro – ricorda -. Realizzai vari ritratti per un’importante famiglia. Ma mi negarono la residenza e così partì per per Buenos Aires, città bella ma povera. All’inizio ho sofferto molto. Ho capito cos’è l’emigrazione”.


Durante i sette anni trascorsi in Argentina, Campanella crea una fonderia tutta sua. “Mi è sempre piaciuta l’idea di fondere le mie sculture, di seguire passo passo tutto il ciclo della mia opera” ci spiega.


Conosce anche il celebre Libero Badii, il cui studio oggi è stato trasformato in museo.


“Andava tutto bene ma l’Italia mi mancava. Volevo tornare per provare ad inserirmi nel mondo artistico italiano. E così feci”.  


Ma l’Italia non era nel destino dell’artista. “Tutti gli amici che incontravo tornavano dal Venezuela o stavano per andarci. Me ne parlarono benissimo e mi convinsero a partire con loro organizzandomi una mostra a Bellas Artes. Ero entusiasta”.


Campanella sbarca per la seconda volta in America Latina. Il momento è buono. Con la vicina caduta di Perez Jimenez “tutti gli artisti tornarono a Caracas e la città ritrovò la sua vivacita culturale, la sua età dell’oro” ricorda il siciliano.


Come a Buenos Aires, si destreggia tra esposizioni e commissioni. Realizza anche qualche schizzo. “All’Amerigo Vespucci davo lezioni di disegno ed acquarello” ci ricorda. Diventa maestro e consigliere artistico di fiducia, collaboratore nei musei, divulgatore della fine tecnica della fonderia della cera persa.


A El Lanito costruisce un grande studio-fonderia dove esegue opere per importanti musei d’Europa e d’America, sostituendosi alle fonderie del vecchio continente dove inizialmente venivano realizzati tutti i lavori con dei costi non sostenibili da tutti gli artisti.


Sempre in bilico tra arte ed artigianato, Campanella continua fin quando possibile a svolgere per l’arte il suo ruolo indispensabile. Tutti oggi gli riconoscono il titolo di maggior esperto fonditore del Venezuela, artigiano capace di tradurre in bronzo le opere dei grandi nomi.


Campanella ci mostra la sua casa. Bozzetti alle pareti, alcuni bronzi fusi da lui. Alcune sue statue fanno capolino in salotto. Non sono per nulla mediocri. L’artista ce le mostra con un sorriso. E’ cosciente di non essere mai diventato, come sperava, un grande scultore. Forse a causa di quella “responsabilità” che lo ha spinto a non abbandonare mai il suo artigianato.


“Qui in Venezuela siamo in pochi. Qualcuno deve pur fare questo lavoro. Per dedicarmi alla scultura ho bisogno di tempo e tranquillità. Tra qualche anno, forse…” diceva ad un giornalista negli anni Ottanta.


Gli anni sono passati. Quello che gli resta, accanto a rimpianti e ricordi, è l’omaggio dedicatogli dall’amico-artista Cornelis Zitman:


“Biagio diventò indispensabile per il mio lavoro già dagli anni Settanta. Senza il suo aiuto e la sua totale collaborazione non avrei potuto sviluppare la mia arte. La maggior parte della sua opera si trova nel patrimonio tecnico-artistico che ha lasciato in tutti gli scultori del Venezuela”.