E’ di origini italiane la prima trans della tv venezolana

CARACAS – Mi apre la porta Giannina Cadenas, una ragazza di origini italiane, bellissima ed elegante. Sorride e sembra molto indaffarata. “Sto preparando due nuovi progetti per la televisione” mi spiega mentre guarda lo specchio dietro di me per aggiustarsi un po’ i capelli.


Giannina ha le unghie e il seno artificiali. Niente di strano per una giovane donna del piccolo schermo latinoamericano. Ma a differenza di tutte le altre ragazze in tv, lei ha un pene che per ora non intende eliminare.


“Sono una pioniera – mi dice con soddisfazione -. Sono la prima transgender a condurre un programma televisivo in Venezuela, “La Brujula sexual”. Resterò nella storia del mio Paese e questo mi riempie d’orgoglio”.


Giannina sa di essere fortunata. Ha un buon lavoro, una famiglia che ha accettato la sua “sessodiversità” ed un fidanzato, da ben sette anni. E’ l’esempio di come la parola “trans” non sia necessariamente un’icona morbosa o un sinonimo di “prostituta”.


“I miei genitori non si aspettavano questo da me, non erano preparati. Ma, con l’aiuto di uno psicologo, sono stati in grado di appoggiarmi in tutto. Se avessero reagito in modo diverso, se mi avessero rifiutato o abbandonato, sarei diventata una persona vulnerabile, debole. Sarei finita per strada, avrei abbandonato tutti i principi e i valori in cui credo”.


Ecco, a quel punto, la voce di chi ce l’ha fatta: fa eco a chi non ha voce. “Siamo esseri umani, come tutti. Ma per il solo fatto di essere noi stessi la comunità spesso ci condanna e ci travolge. Ti senti solo, inaccettato, depresso. Perdi la sicurezza in te stesso, l’autostima. E così, in un attimo, puoi cadere nella tossicodipendenza. Se a questo si aggiunge il fatto che il percorso medico per il processo di transito è altamente costoso e per noi è molto difficile trovare un impiego – aggiunge -, si capisce perchè molti transessuali e transgender lavorano sui marciapiedi. Quando in realtà potremmo, in quanto persone normali che siamo, fare qualsiasi lavoro”.


Giannina non ha torto. Per tutti, purtroppo, un transessuale allo sportello di una banca o al supermercato sarebbe una novità. Molto piu comodo pensare al trans in strada, o in uno streap club.


Con il suo programma irriverente, dedicato alla sessualità in tutte le sue forme, Giannina ha lottato contro gli “alti indici di discriminazione che ancora oggi pendono sulla vita di chi non rientra nei confini della società eterosessista dominante”. Ha combattuto per “eliminare la croce portata da tutti coloro che, per vivere, sono costretti a camminare per strada in giacca e cravatta e dentro si sentono infelici”.


Alla base della sterile tolleranza diffusa in questo momento storico nei confronti della diversità sessuale, “ben lontana dalla vera accettazione sociale”, secondo Giannina c’è una profonda ignoranza e una forte difficoltà a parlare della propria sessualità.


“Bisogna reinventare l’educazione, potenziarla. Sono stufa della gente che, per confermare la leggenda della particolare ‘dotazione’ dei trans, mi chiede quanto misura il mio pene. Bisogna far capire che essere transessuali non è una malattia, ma una semplice condizione di dissociazione tra anima e corpo, tra sesso biologico e psicologico”. Giannina è risoluta nella sua volontà: “Si deve eliminare dalla diversità sessuale e di genere la coltre morbosa che la circonda e la trasforma in qualcosa di negativo e sporco a livello sessuale, quando invece contempla rilevanti aspetti psicologici ed affettivi. Bisogna spiegare qual’è la differenza tra un transessuale ed un transgenero, illustrare il percorso di transito da un punto di vista medico, far capire che un uomo attratto da una transessuale non è gay. Quest’uomo cerca infatti la figura femminile. Bisogna poi chiarire la distanza che intercorre tra anosessualità e omosessualità. La gente – continua la conduttrice – deve avere un panorama chiaro di ogni orientamento affettivo e sessuale, a 360 gradi, e per far questo dobbiamo parlare e mostrare che esistiamo. Qui, non su un altro pianeta. La gente crede che dato che il mondo è configurato in un certo modo, non ci possono essere varianti. Eppure eccoci qui, in bella mostra, come tanti nella storia”.


C’è molto per cui lottare. Il percorso umano, per un sessodiverso, è arduo e spesso pieno di sofferenza. Fin dai primi anni di vita: “Quando sei piccola i vestiti che ti mettono ed i giochi che ti regalano non ti piacciono – racconta Giannina -. Già a cinque anni capisci che la realtà esterna non è quella che hai nella tua testolina, nel tuo piccolo mondo. E che sei costretta a seguire una strada per il solo fatto di avere un pene”.  


Crescendo, le cose diventano ancora piu difficili: “Durante l’adolescenza sei in un tragico limbo e ti chiedi chi sei. La gente attorno ti osserva e ti giudica. I compagni di classe ti prendono in giro dandoti dell’omosessuale quando in realtà tu sai che non sarai mai gay perchè semplicemente ti senti una donna, non un uomo”.


“E quando finalmente decidi di ‘diventare chi sei’ – prosegue Giannina – tremi per la paura. Temi la reazione della famiglia e degli amici, temi di non piacerti dopo un’operazione, temi per la tua salute, temi di restare sotto i ferri, temi al pensiero di vivere il resto della tua vita come un discriminato ed un segregato, inaccettato, solo. A causa di tutti gli omofobici e transfobici, vittime di un meccanismo incosciente che li porta a coprirsi le spalle di fronte al nuovo che non conoscono, a ciò che gli fa paura e li attrae. Hanno paura di essere toccati da quella debolezza della carne che nella nostra cultura è qualcosa di assolutamente negativo”.


Soprattutto in un Paese come il Venezuela governato dalle leggi della bellezza, sono particolarmente acute le difficoltà per le transessuali femminili. Come ci fa notare Giannina, “se ad un transessuale maschile spesso basta tagliarsi i capelli e adottare una postura particolare per sentirsi a proprio agio, non dare troppo nell’occhio e quindi sentirsi piu accettato, le transessuali femminili non particolarmente aggrazziate o affascinanti soffrono terribilmente: sono la categoria piu maltrattata ad ogni livello. Alla fine – si rammarica – quello che si approva è il bello, il gradevole esteticamente”.


A livello generale, per i transessuali restano intatte le remore a confessare la propria sessodiversità a familiari ed amici; gli inarrestabili episodi di violenza verbale e fisica a causa della transfobia; la pratica diffusa di ‘confinare’ il partner transessuale o transgenero in una sfera di clandestinità perchè, come ci spiega Giannina, “l’altro ha paura di mostrarsi in pubblico e quindi, anche se desidera una relazione stabile, non si sbilancia”.


Ma fortunatamente anche la nostra società è in transito: i giovani non hanno più eccessive difficoltà ad accettare la propria diversità; alcuni Paesi come Spagna, Colombia e Cile hanno iniziato a riconoscere la possibilità di cambiare nome sui documenti, la comunità trans è sempre piu visibile e preme in ogni parte del mondo per vedere rispettati i propri diritti di cittadini.


Essere riconosciuti come cittadini votanti e con pieni diritti è fondamentale per far sì che non solo la forma attuale della società sia un ostacolo. Anche la legge dello Stato, infatti, può configurarsi come un impedimento notevole per la vita quotidiana di un transsessuale o di un transgender. Un Paese che non riconosce il tuo percorso di vita è, infatti, un Paese che può non accettarti in una clinica perché il tuo corpo non rispecchia ciò che c’è scritto sui documenti, un Paese che legittima il caos quando una transgenero desidera utilizzare la toilette per signore o deve entrare in un reparto ospedaliero maschile o femminile; un Paese che ti costringe a raccontare e certificare qualcosa di assolutamente intimo ogni qualvolta devi utilizzare un passaporto o una carta di credito.


Un paese che viola la privacy di una minoranza per cui non esistono leggi di tutela.


Ma il risvegliarsi è generale ed il momento storico è perfetto per una lotta su tutti i fronti. Certamente, come si auspica Giannina, “c’è bisogno di un’unione profonda tra tutte le associazioni civili a livello globale, che portano avanti la loro lotta separatamente mentre dovrebbero fondersi e combattere come fronte unico”.


Nel frattempo, facciamo gli auguri a Ruben, un transessuale spagnolo che aspetta due gemelli in arrivo a settembre, frutto di un’inseminazione artificiale.