Un silenzio assordante

Contrattisti, petrolio ed espropriazioni. Si chiude un capitolo della nostra storia economica contemporanea; un capitolo che i pionieri cominciarono a scrivere nel secolo scorso. A cavallo degli anni ‘50 e ‘70, ad essere precisi. Allora l’industria petrolifera, la linfa che aveva alimentato le due grandi guerre, era in fase d’espansione. Aveva bisogno, soprattutto nello Zulia, di servizi. I nostri pionieri, in questa nicchia di mercato, videro un’opportunità di crescita. E la seppero cogliere a volo. Così nacquero tante aziende italo-venezolane. Aziende, è il caso di sottolinearlo, che negli anni seppero misurarsi con altre anche di portata assai maggiore, uscendo dal confronto sempre rafforzate. Per più di mezzo secolo, offrirono i loro servizi con responsabilità. Diciamo “offrirono” perché dall’inizio del mese, una ventata di espropri ha decretato l’emigrazione dei beni delle aziende contrattiste allo Stato.


Non erano, almeno per quel che riguarda la maggior parte delle ditte italo-venezolane, multinazionali che, come a volte accade, approdano in “periferia” per trarre profitti da riversare in “centro”. E cioè nella sede principale. Al contrario, erano aziende che, nonostante alcune smagliature, negli anni hanno creato posti di lavoro e reinvestito nel Paese.


Lo Stato, si sa, è sovrano. Nessuno lo discute. Ha la potestà di espropriare le industrie che operano nei “settori strategici”. O, in ogni caso, che possano considerarsi di “interesse pubblico”. E’ una sua prerogativa ed è bene che sia così. Non ci sentiamo di obiettarla. Ma non possiamo evitare di pensare ai connazionali che in quelle ditte hanno speso una vita. Agli italo-venezolani che sono rimasti per lavorare, che in questo paese hanno creduto e credono, che hanno seminato questa terra di figli e anche di tombe. Il loro problema è il problema della nostra collettività. E ci rammarica constatare, non soltanto, che tutto si stia svolgendo senza un dibattito nazionale che aiuti a valutare la convenienza o no degli espropri, ma anche tra l’assordante silenzio dei nostri eletti all’estero. In particolare, di quei deputati e senatori che rappresentano le comunità di questa parte del continente americano.


E’ una constatazione di fatto, il Venezuela è tornato ad essere la “cenerentola” del Sudamerica. I nostri eletti sono molto presenti in Argentina ed in Brasile; paesi dove risiedono, è vero, ma dove – non ci si può astenere dall’evidenziarlo – vi è anche un importante bacino elettorale. Nulla da eccepire. Ma oggi, è nostro dovere sottolinearlo, la loro presenza in Venezuela è quanto mai importante; rappresenterebbe un valido contributo alla difficile missione che è toccata ai nostri rappresentanti diplomatici. In passato la deputata eletta in Venezuela, Marisa Bafile, si interessò fortemente delle invasioni degli immobili di proprietà di italo-venezolani e ne scaturì un fermo intervento dell’allora ViceMinistro per gli Italiani all’Estero, Franco Danieli, presso le autorità locali. Ora i parlamentari eletti in questa legislatura non possono sottrarsi alle loro responsabilità. Non possono ritenersi estranei a quanto accade nel nostro Paese.


Non si tratta di esigere la restituzione delle aziende espropriate, ma di esortare le autorità affinché si proceda celermente ad un equo risarcimento. Un risarcimento che, se possibile, non tenga conto solo del valore dei beni espropriati ed il loro conseguente deprezzamento, ma anche dei sacrifici affrontati con coraggio da chi, tanti anni fa, ha fondato queste aziende. Dietro ognuna di esse vi è una storia, vi sono anni di lavoro, di sconforto e di speranze. E’, questa, una ricchezza intangibile che non dovrebbe essere sottovalutata. E’ il vero patrimonio di ognuno degli imprenditori italo-venezolani.