“Numeri chiusi per alcuni servizi consolari”

CARACAS – Più qualità, meno quantità. C’è stato anche chi, nell’ultima assemblea del Comites, ha suggerito di condimentare il tutto con una buona dose di produttività. Il tema del “numero chiuso”, per alcuni servizi consolari, desta preoccupazione. Si teme un ritorno al passato. Ed il passato risveglia brutti ricordi: lunghe file davanti al consolato, nonostante i mille pericoli in agguato in una città tanto violenta come Caracas.


– Sono cosciente del problema la cui soluzione, le assicuro, è tra le priorità. Sono appena arrivato a Caracas ma mi sono immediatamente reso conto che questo è un argomento che preoccupa. Non ci voleva molto a capirlo. Devo dire francamente che non  ho ancora una soluzione. Il nostro Consolato, comunque, non è in un quartiere particolarmente a rischio. Ad appena cinquanta metri c’è sempre parcheggiato un furgoncino della polizia che è a protezione dell’Ambasciata di Spagna. E poi, abbiamo la nostra vigilanza privata. Detto questo, siamo convinti sia necessario trovare una soluzione; una soluzione che è tutt’altro che semplice –. Sobrio, preciso. Non si dilunga negli argomenti se non il necessario: per chiarire punti di vista, per illustrare idee, per non lasciare spazio a dubbi. Il Console Generale, Giovanni Davoli, da poco più di una settimana a Caracas, è già al lavoro per affrontare le difficoltà che derivano dai tagli alla Finanziaria; tagli che, insistiamo, castigano ingiustamente gli italiani fuori d’Italia.


– C’è oggettivamente una difficoltà di risorse – ammette il Console Generale -. E la tendenza è ad averne sempre meno. Non è un problema solo nostro, del Consolato Generale di Caracas; non è unicamente una complicazione del nostro ministero. E’ una difficoltà globale. E’ una realtà che tocca vivere a tutti noi. Chi ha aziende si rende conto che la crisi obbliga ad affrontare ristrutturazioni. Ci sono momenti in cui ci si domanda se si può continuare ad ottenere le stesse risorse che in passato. Se si può fare ció che si faceva prima. Io, come Console generale, manager di questo Consolato Generale, mi pongo lo stesso problema, le stesse domande.


Tagli alla finanziaria e “numero chiuso”. L’uno è il prodotto dell’altro. E i disagi, per la Collettività crescono.


– Mi è stato detto – precisa il Console Generale – che in passato i connazionali erano ricevuti presso alcuni uffici solo su previo appuntamento. Erano obbligati ad attendere anche parecchi mesi. Allora mi chiedo: è meglio venire un po’ prima in Consolato ed essere ricevuti o attendere mesi? Non so.


Ammette che il numero chiuso ha certamente “il grosso svantaggio delle file”; ma sottolinea anche che assicura al connazionale “tempi ragionevoli per il disbrigo delle pratiche”. Non è da poco conto.


– Il numero chiuso –prosegue –  permette di accettare solo quelle pratiche di cui si ha la certezza che saranno studiate con attenzione. Ció vuol dire che ognuna di esse sarà oggetto di un esame accurato, che non sarà rimandata indietro e che non s’impiegheranno tempi eccessivamente lunghi. Non stiamo assolutamente affermando che il numero chiuso sia la soluzione migliore; neanche che rimarrà in vigore fino a quando io sarò capo di questo ufficio. No. Sto semplicemente affermando che questo procedimento ha aspetti positivi  e negativi. Insomma, i suoi pro e contra. Assieme ai rappresentanti della comunità cercheremo di capire qual è il sistema migliore.


– Quali sono i documenti più richiesti?


– La cittadinanza – risponde immediatamente -. Statistiche alla mano, anche se queste non dicono poi tutto, mi pare di capire che negli altri settori stiamo dentro tempi ragionevoli. Mi riserbo comunque qualche settimana prima di dare un giudizio definitivo.


Ricorda che quello di Caracas, se lo si compara con il resto della rete, è uno dei Consolati italiani nel mondo che rilascia più passaporti. Insomma, “ha una produttività notevole”. Si ritiene quindi fortunato d’essere stato trasferito “ad una sede che effettivamente funziona”.


– C’è un problema nell’ufficio cittadinanza – ammette -. Le richieste sono tante. I numeri che oggi riusciamo a dare ai connazionali sono inferiori alla domanda. E’ una questione da affrontare.


– In Argentina, in Brasile ed anche in altri consolati, si sono verificati casi di passaporti rilasciati nonostante la documentazione fosse incompleta se non addirittura falsa. Come è possibile che possa accadere una cosa del genere? Non c’è una doppia verifica, un controllo incrociato tra i consolati ed i ministeri competenti?


– Si spiega facilmente – commenta -. Il presupposto del passaporto è la cittadinanza. Se la pratica per la ricostruzione della cittadinanza non è ben fatta, tutto è inutile. L’atto diventa nullo. Se nel momento in cui si riconosce che l’individuo ha la cittadinanza italiana si commettono errori, sia perché non controllati sufficientemente i documenti sia perché non si applica la legge, tutto diventa nullo. Nel diritto italiano ciò vuol dire che è come se non ci fosse mai stato.


Anche dopo 10, 20, o 30 anni? Sí. Sottolinea che non ha alcuna importanza il tempo trascorso da quando si è venuti in possesso del passaporto. Se il funzionario del Consolato o della Questura si rende conto di una ricostruzione carente di qualche documento annulla la pratica. E’ un “dovere al quale non può venire meno”.


– Nessuno dubita della buona fede dell’individuo in possesso del documento – precisa -. Ma se c’è un errore, una carenza, il passaporto va annullato. Mi è stato detto che c’è stato un periodo nel quale in Consolato si ricevevano documenti fino ad esaurimento. Erano decine e decine di pratiche. E’ logico che il funzionario, di fronte ad un pacco immenso di carte corra il rischio di commettere errori. E l’errore, questo è quel che dobbiamo capire, si riflette sul cittadino; castiga la persona che credeva di avere un documento valido.


E’ trascorso un anno, forse più. Eppure dei passaporti biometrici neanche l’ombra. Perché? Lo chiediamo al Console Davoli che spiega come “attraverso una circolare sia stato informato dal ministero che il passaporto biometrico non entrerà ancora in vigenza”. Aggiunge:


– Ci sono adempimenti a livello centrale, in Italia, che non sono stati ancora completati. Quindi è tutto rimandato. Non si sa a quando. Probabilmente bisognerà attendere ancora qualche mese.


L’entrata in vigore del passaporto biometrico, comunque, non implica l’urgente richiesta del nuovo documento. Il Console sottolinea che “quello vecchio sarà valido fino alla scadenza”. Nessuna fretta, quindi.


Nonostante il Console Generale Davoli sia giunto a Caracas da appena poco più di una settimana non possiamo esimerci dall’affrontare, seppure “grosso modo”, un tema sul quale torneremo sicuramente tra qualche mese: il futuro dei connazionali meno fortunati. Cosa sarà di loro, ora che la scure dei tagli è caduta sui finanziamenti destinati alle collettività all’estero?


– Speriamo che i tagli ripercuotano il meno possibile – afferma -. Ma, è evidente, ci saranno riflessi. Anche questo, per me, rappresenta un tema prioritario. Ci sono stati tagli nel capitolo assistenza. Sarà nostro dovere riuscire a dare lo stesso servizio, allo stesso numero di cittadini, nonostante le risorse siano oggi inferiori. Sembrerebbe un’equazione impossibile, ma con un po’ di creatività…


Spiega che “come vi sono cittadini meno fortunati ve ne sono altri che, nella vita, hanno avuto molta fortuna”. Le nuove norme introdotte dal ministero “consentono al Consolato di ricevere la collaborazione fattiva di chi ha”.


– Si tratta semplicemente di essere creativi – afferma per poi sottolineare di nuovo:


– Non è molto quel che, in questa epoca di tagli, si può fare. Io offro la mia esperienza, la mia capacità d’ascolto, la mia disponibilità ad essere quanto più accessibile.


 


Una promessa


 


 “Il contatto con la Collettività non mi preoccupa. Non mi impensieriva ieri, quando ero in Sudafrica; non lo fa oggi che sono a Caracas. Francamente non credo sarà un problema. E’ mia intenzione improntare questa nuova missione sulla massima apertura. Cercherò di stare il più vicino possibile alla Collettività. Sono convinto che il Console Generale, la sua signora, i figli debbano farsi vedere, essere presenti. Insomma, rendersi accessibili. E questa presenza deve essere costante anche in provincia”. La promessa, quindi, è quella del contatto permanente con la nostra Comunità. In particolare, con quella che non risiede nella capitale. Una premessa senz’altro interessante. Rompe lo stereotipo dell’alto funzionario burocrata, poco disposto ad abbandonare il suo ufficio: quelle quattro pareti dentro le quali si sente sicuro, tra timbri e scartoffie. Fisico asciutto, sguardo attento. A Caracas solo da pochi giorni, il Console Generale, Giovanni Davoli,  ha l’aspetto del manager più che del diplomatico.


– Contatto, presenza… è giusto che sia così. Sarebbe una piacevole novità. La Collettività, quella anonima che non frequenta assiduamente il Consolato, avrebbe immenso piacere poter prendere, ogni tanto, un caffè col suo Console e parlare del più e del meno. Non è mai accaduto. Il Console lo si vede tradizionalmente solo in occasione di pranzi o cene ufficiali, di quelle che ogni tanto organizzano le nostre associazioni.


– Guardi –puntualizza-, le racconto una cosa. In Sudafrica, a Durban, ero il centroavanti della squadra  di calcio della comunità italiana. Tutti potevano vedermi in pantaloncini e maglietta; applaudirmi o fischiarmi. A volte, quando sbagliavo un passaggio o un gol, mi vedevano andare su tutte le furie. E’ un’esperienza che conto di poter ripetere in Venezuela.


Fin d’ora possiamo considerare aperta la campagna acquisti. Non conosciamo le qualità calcistiche del nostro nuovo Console Generale. Anche così, ci sentiamo nel dovere di consigliare ai dirigenti delle squadre di calcio del Civ di non perdere tempo. E’ questa un’occasione unica. Forse il Console Davoli non sarà bravo come Del Piero o Kakà, ma sicuramente sarà al centro dell’interesse; un motivo di richiamo che permetterà di colmare gli spalti dei nostri campi di calcio, almeno i primi mesi. Soprattutto, è l’occasione per trasmettere il calore di una Collettività integrata al tessuto sociale venezolano ma anche tanto vicina all’Italia.


– Nei limiti delle mie possibilità, la giornata è di 24 ore ed il lavoro è tanto – sottolinea -, andrò volentieri al Centro Italiano Venezolano a prendere un buon caffè in compagnia di quanti vorranno accompagnarmi.


 


 


 


 


La Carriera diplomatica


 


Quattordici anni di carriera diplomatica. Più della metà, ben otto, svolti in funzione consolare. Una breve parentesi anche da inviato speciale della Farnesina nel Niger nel 2006, in occasione del sequestro dei connazionali Claudio Chiodi e Ivano de Capitani. Insomma, il Console Generale Giovanni Davoli non è assolutamente privo di esperienza.


– Sono stato quattro anni in Sudafrica a Duban – ci dice -.  Ho svolto anche incarichi in due ambasciate dove, però, non c’è una grossa presenza italiana: Croazia e Costa d’Avorio.  E’ logico che, per me, questo incarico a Caracas ha una rilevanza particolare. In Venezuela risiede una comunità italiana di ben altre dimensioni


– Quali difficoltà ha incontrato, negli incarichi precedenti, nel contatto con la Collettività?


– Nessuno – afferma -. In Sudafrica, ad esempio, c’era una comunità senz’altro più piccola di questa; ma era comunque una bella Collettività. Con me, con la famiglia, è stata molto affettuosa. Avevamo stabilito un rapporto fantastico. E’ una esperienza che, in scala più ampia, cercherò di replicare.


Sottolinea che ha una efficiente e valida collaboratrice nella moglie Cristine, di origine lettone.


– Mia moglie – precisa – è italiana, ma è nata all’estero. Suo padre era diplomatico. Quindi ha una grande esperienza di vita in tal senso. Per me è stato un validissimo appoggio e in tantissime occasioni una guida. Sono situazioni che lei ha sempre vissuto.


– Quindi è proprio il caso di dire che lei si porta il lavoro in casa.


Sorride e risponde:


– Sí, direi proprio di sí.