Mafia, arrestato a Caracas il superlatitante Salvatore Miceli

CARACAS – Non gli sono bastati gli accorgimenti messi in atto con fare da vero padrino: travestimenti, chirurgie plastiche e frequenti cambi di alberghi e residenze. Sabato sera, il boss Salvatore Miceli, che figura nella lista del ministero dell’Interno fra i trenta latitanti più pericolosi, è finito in manette davanti all’Hotel Caracas Cumberland, dove lo aspettavano i carabinieri del comando provinciale di Trapani che, insieme all’Interpol, dal 2001 sono sulle sue tracce.


Il ministro degli Interni e della Giustizia, Tareck El Aissami, ha dichiarato ieri che il Corpo di indagini scientifiche, penali e criminali (Cicpc) ha arrestato, in collaborazione con i carabinieri e l’Interpol, il boss Miceli, considerato uno dei cinque maggiori trafficanti di droga del mondo. “Tale azione – ha affermato – dimostra la costante lotta contro la delinquenza organizzata e il narcotraffico intrapresa dall’attuale governo”.


L’indagine conclusasi in Venezuela è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Il capomafia di Salemi, città dei cugini esattori Nino e Ignazio Salvo, a 63 anni ha così chiuso la sua carriera criminale. Elemento di spicco del narcotraffico internazionale, nel 2001 era stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Per capire la statura criminale di Miceli, basta ricordare un’intercettazione telefonica che risale al 2000, quando Pino Lipari, stretto collaboratore e consigliere di Bernardo Provenzano, gli affidò la gestione del traffico internazionale di stupefacenti per conto di Cosa nostra.


Nipote del boss di Salemi Salvatore Zizzo, morto nel 1981, Miceli era finito in manette nel marzo del 1983 (su di lui pendeva un provvedimento restrittivo della magistratura statunitense), nell’ambito di un’operazione congiunta tra carabinieri, polizia e finanza che aveva portato all’arresto di 22 persone.


Nel 2003 la polizia arrestò anche la moglie, Veronica Dudzinski, e i figli Ivano e Mario.


Sempre in Venezuela, nell’ottobre del 2007, fu arrestato dalla squadra mobile di Trapani un altro uomo legato a Miceli, Francesco Termine, anche lui dedito al narcotraffico.


Nell’ottobre del ’90, di Miceli si occupò l’allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, che lo fece arrestare grazie alle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Giacoma Filippello, la quale lo indicò come personaggio di spicco del traffico internazionale di droga. Legato al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, Miceli avrebbe avuto anche il compito di cucire rapporti tra Cosa nostra, la ‘Ndrangheta calabrese e i cartelli colombiani della cocaina.


Nelle fasi dell’arresto, quando Miceli si è trovato davanti i gendarmi, parlando in spagnolo ha fornito un nome falso. Ma il tentativo di nascondere la sua identità è durato poco, il tempo di capire che tra quegli uomini c’erano due marescialli dei carabinieri di Trapani. Ancor prima che gli prendessero le impronte digitali, il boss ha così rivelato il suo vero nome.


I carabinieri già da quattro giorni ritenevano di avere individuato il superlatitante, ma prima di passare all’azione hanno aspettato di avere l’assoluta certezza. L’ultima foto segnaletica del boss risaliva al ’93 e oggi il suo aspetto fisico è molto cambiato. Uno degli ufficiali dell’Arma che ha coordinato l’operazione, ha raccontato che Miceli cambiava look più volte al giorno ed evitava di frequentare gli stessi alberghi.


I ministri dell’Interno e della Difesa, Roberto Maroni e Ignazio La Russa, si sono congratulati per l’operazione con il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Gianfrancesco Siazzu.